Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento del sito stesso.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.

   

ROLE PLAYING IN UN VECCHIO FILM DI BILLY WILDER di Tania Dimartino

Non ho ricordi di favole lette nella penombra da mamme o nonne compiacenti. Cappuccetto Rosso e La bella addormentata non hanno mai dormito al mio fianco nel letto d'infanzia. Appartengo alla generazione nutrita da altre favole: quelle cinematografiche e televisive.

Il piacere della lettura è venuto dopo, ma, abituata a cogliere con lo sguardo i personaggi di quelle particolari fiabe, poi ho sempre letto vedendo. E ho visto, nella mia infanzia, centinaia di storie alla televisione. Pensavo addirittura che i personaggi abitassero dentro quella scatola e che la sera, fattisi piccolissimi, ne uscissero per andare nelle loro case, chissà dove. Poi, cresciuta, ho imparato a chiamare film quelle fiabe e il piacere infantile ha trovato supporto e forse anche esorcizzazione in quello adulto della conoscenza. Ho rivisto molti di quei film che mi avevano affascinata da bambina ed ho imparato i nomi dei registi e degli attori. Ma fra tutti, uno, fino a poco tempo fa, tenacemente si era rifiutato di farsi catturare come film, preferendo restare nelle nebulose fiabesche. Eppure ne  avevo un  ricordo  molto vivo.  Sapevo  che  l'attore  era  Tyrone Power (mia madre lo adorava e il nome mi era quindi familiare), ricordavo perfettamente il finale. Ma il resto mi era sempre sfuggito. Chi l'aveva diretto? Di cosa parlava? Molte volte ho chiesto in giro se qualcuno si ricordava di quel finale di film ambientato in un'aula del tribunale. Ma come... c'era Tyrone Power con un'espressione buonissima!   Niente. Forse è di Hitchcock mi dissero. Ma i libri sul re del giallo cinematografico e i suoi film non mi rivelarono niente sul "mio film". Poi di recente, in occasione di una rassegna dedicata a Billy Wilder (1), ho rivisto animarsi quella favola. C’erano tutti  gli stessi personaggi. Tyrone Power con la faccia da cane bastonato, la cattivissima Martene Dietrich, il burbero avvocato. Era il mio film. Adesso so che si chiama Testimone d'accusa (Witness for the Prosecution  1957), è tratto da un racconto di Agata Christie (forse si spiega così l’equivoco Hitchcock), l'ha firmato Billy Wilder ed e un film molto imparentato con lo psicodramma (2). Protagonisti sono un vecchio avvocato (Charles Laughton), il suo cliente, Leonard Vole (Tyrone Power) accusato di omicidio e la moglie dell'imputato, Christine Vole (Marlene Dietrich). L'avvocato, Sir Wilfrid Robarts, è vecchio e reduce da un attacco cardiaco. È stato uno dei più famosi penalisti di Londra e la saggezza popolare ha reso giustizia alla sua scaltrezza affibbiandogli il soprannome di Wilfrid la volpe. All'inizio del film Sir Wilfrid fa ritorno a casa, dopo la degenza in ospedale, accompagnato da una terribile e sollecita infermiera che ha fatto suo il detto secondo il quale i vecchi sono come i bambini e tratta come tale l'ex volpe del foro. In sintesi la vicenda procede così: l'avvocato si lascia convincere, nonostante il parere contrario del medico, ad assumere la difesa di Leonard Vole, imputato di aver ucciso un'anziana e ricca signora, da lui aggirata per riceverne l'eredità. Sir Wilfrid, pur essendosi convinto dell'innocenza di Leonard, dubita che la giuria creda all'alibi fornitogli dalla moglie. Le consiglia quindi di non testimoniare in tribunale. Christine si presenta lo stesso al banco dei testimoni, ma non in difesa del marito, bensì per accusarlo dell'omicidio. È il primo eclatante colpo di scena del film. L'avvocato pensa ormai di aver perso la causa, quando una donna sconosciuta per telefono viene in suo aiuto. Lo convoca in un bar della stazione: è brutta e alcolizzata e — secondo colpo di scena — gli vende per poche sterline un pacco di lettere che la moglie di Leonard ha scritto all'amante. Le lettere che l'avvocato porta in tribunale, rivelano che Christine accusa ingiustamente il marito, d'accordo coll'amante, per farlo condannare, liberarsene e godersi da sola l'eredità dell'assassinata. I giudici scagionano Vole, tutti tirano un sospiro di sollievo, giustizia è fatta.  Nonostante il successo, l'avvocato non è contento. A ragione, poiché a


cose fatte, mentre sono ancora nell'aula — terzo colpo di scena — la moglie di Leonard gli rivela, a lui solo, che il marito è davvero colpevole e che lei ha architettato il piano dell'accusa e delle lettere per scagionarlo. Christine si è dunque inventata le lettere e lei stessa, travestita, le ha vendute all'avvocato. « Ricorda? — dice la donna allo sbalordito Sir Wilfrid — Lei disse che nessuna giuria avrebbe creduto a un alibi di una moglie devota, per quanto potesse giurare che il marito era innocente; ciò mi diede l'idea, l'idea che dovevo testimoniare non per mio marito ma per la pubblica accusa, e dire che Leonard era colpevole, così Lei mi avrebbe smascherata come una maligna bugiarda e solo allora avrebbero creduto all'innocenza di Leonard ». Innocenza che non esiste, come ora sappiamo e come sa anche Sir Wilfrid ormai sconfitto visto che la legge inglese vieta di processare due volte per lo stesso reato. Ma giustizia sarà fatta lo stesso, e proprio dalla moglie di Leonard. Ci sarà infatti un quarto colpo di scena. Leonard, adesso libero, entra anche lui nell'aula dove l'avvocato ha appena ricevuto la rivelazione della sua colpevolezza, seguito da una giovane donna, la sua amante. Leonard dichiara che fuggirà con lei e che intende lasciare la moglie. A questo punto la decisa Christine, con un ennesimo insospettabile ribaltamento della vicenda, gli pianta un pugnale tra le cestole. Sir Wilfrid approva il gesto e decide immediatamente di assumere la difesa della donna.
Anziché un film nel film, come in tutta una tradizione cinematografica che va da Il silenzio è d'oro di Clair a Otto e mezzo di Fellini, da Effetto Notte di Truffaut a La donna del tenente francese sceneggiato da Pinter, questo di Wilder è piuttosto  « teatro nel film ».
E, tra le decine di opere analoghe, si imparenta a piccoli capolavori come Vogliamo vivere di Lubistch, L'ultimo metrò di Truffaut, La recita di Anghelopulos, Luci della ribalta di Chaplin. Ci sono varie commedie recitate dai protagonisti della vicenda, vari giochi, in senso psicodrammatico, che si dipanano parallelamente o intersecandosi con quella che i protagonisti stessi definiscono la 'commedia' centrale, e cioè il gioco architettato da Leonard e da sua moglie per ingannare l'avvocato.
È un film in cui tutti 'giocano' in una distribuzione dei ruoli che a volte è determinata dagli stessi partecipanti al gioco, altre invece è stabilita da chi, dal di fuori, ordisce il gioco ai danni dell'ignaro partecipante.
La prima scena giocata riguarda l'avvocato e la sua infermiera. Il ruolo giocato da Sir Wilfrid nella vita, prima dell'attacco cardiaco, è stato quello dell'avvocato famoso. Adesso lo ritroviamo vecchio e malato ma sempre arzillo e pungente. I medici gli hanno vietato di lavorare perché le sue condizioni di salute non glielo permettono, e gli hanno messo alle costole miss Plimsol, l'infermiera, perché controlli che l'avvocato segua le loro prescrizioni. Sir Wilfrid arriva così a casa sua. Tutti sanno delle sue condizioni di salute e il maggiordomo per sancire l'addio del vecchio al suo lavoro, gli mostra la sua parrucca da avvocato, in naftalina. « Tanto vale che procuriate una scatola più grande e mettiate in naftalina anche me » risponde però l'avvocato con spirito combattivo. Ed è proprio così, senza parrucca, visibile supporto della sua persona sociale, l'avvocato non è più tale. Deve assumere un altro ruolo, giocare un altro gioco. L'infermiera gliene offre subito uno: il gioco della mamma e del bambino


dispettoso. E l'avvocato, privo di altri giochi, vi si cala subito. Come un bambino l'infermiera lo tratta, preparandogli il 'bagnetto' o il 'tettuccio' e come un bambino Sir Wilfrid si comporta: nasconde i sigari nel suo bastone, fuma di nascosto, ecc. Fa poi molto arrabbiare la mamma-infermiera andando su e giù per le scale a bordo di un ascensore-giocattolo fissato alla ringhiera, che i medici gli hanno consigliato per non affaticarsi, gioco questo che ricorda molto gli "scivolamenti" sul corrimano che tutti da bambini abbiamo sperimentato alle spalle delle nostre terrorizzate mamme. Il gioco tra l'infermiera e Sir Wilfrid fa da cornice per tutto il film a quello centrale tra la coppia Leonard-Christine e l'avvocato. Se da una parte Sir Wilfrid è consapevole interprete del gioco mamma-bambino, dall'altra l'identificazione nel bambino gli impedisce di svelare l'inganno che Leonard e sua moglie gli stanno preparando e l'avvocato diventa così inconsapevole interprete del loro gioco.
Ancora sospeso tra l'avvocato e il bambino, Sir Wilfrid accetta di difendere Leonard poiché questi gli è simpatico. E anche perché è convinto della sua innocenza. L'ha infatti sottoposto al "test del monocolo" da lui inventato, probabilmente dopo una lunga esperienza coi criminali, e che gli permette di distinguere i colpevoli dagli innocenti puntando sul loro viso il riflesso imbarazzante del suo monocolo.
Nella scena del monocolo Leonard e Sir Wilfrid inseriscono all'interno del gioco centrale un altro gioco. Da una parte l'identificazione di Leonard nel suo falso-Se innocente è talmente forte che gli permette di superare la prova del monocolo. Dall'altra, lo sguardo di Sir Wilfrid, il suo terzo occhio, non riesce a smantellare l'identificazione di Leonard nel falso Sé innocente, perché l'impostura di quest'ultimo coincide con il desiderio dell'avvocato. Infatti ciò che Sir Wilfrid desidera è un cliente, una causa, che gli permettano di sbarazzarsi del ruolo del bambino per assumere quello dell'avvocato. Ma è condizione inalienabile che il cliente sia innocente: l'etica di Sir Wilfrid non gli permetterebbe di difendere un colpevole. E poiché Sir Wilfrid lo vuole innocente, Leonard diventa tale e supera brillantemente la prova del monocolo. Sarebbe possibile un confronto con la situazione in cui la difesa del paziente fa corto circuito col controtransfert del suo terapeuta. "La resistenza del paziente, disse Lacan, è la resistenza dell'analista". Quando cioè il punto cieco dell'analista e quello del paziente coincidono, il terapeuta, come ha rivelato Paul Lemoine, "è abbagliato dal desiderio del paziente e se ne fa complice" (3).
Ed è pure ciò che succede nei gruppi di psicodramma quando i partecipanti precipitano con piacere nei giochi altrui. Se il gioco viene condiviso da più persone perché esplicita il loro problema comune, i partecipanti non possono più assumere la funzione strutturante di io ausiliari né usare lo sguardo per svelare il senso del gioco poiché essi "sono il ruolo" e non "fanno il ruolo".
La menzogna di Leonard si fa dunque vera. D'altronde verità e menzogna in questo film si ribaltano continuamente. C'è un oggetto che Wilder ha inserito e che costituisce una metafora del film. È il termos che l'infermiera da a Sir Wilfrid durante il processo. Lei l'ha riempito di cioccolata, ma il furbo avvocato ha sostituito il termos con un altro pieno di brandy dal quale beve sotto lo sguardo compiaciuto dell'infermiera. Ma, quando alla fine del film la verità viene a galla, anche la menzogna di Sir Wilfrid verrà scoperta.


Anzi semplicemente esplicitata. L'infermiera era al corrente della sostituzione del termos. Ha lasciato che Sir Wilfrid la ingannasse, un poco, gli ha allentato le briglie, come una mamma responsabile ha responsabilizzato suo figlio. E quando l'avvocato ormai al corrente dell'inganno di Leonard, deciderà di assumere la difesa di Christine, la infermiera stessa gli porgerà il termos dicendogli: "Sir Wilfrid ha dimenticato il suo brandy", dopo avergli messo la parrucca in testa e aver così ristabilito le parti: Sir Wilfrid ritorna ad essere l'avvocato Robarts, non è più il suo bambino capriccioso, e insieme si avvieranno conciliati verso l'uscita dell'aula. Con la parrucca si apre e con la parrucca si chiude il gioco dell'avvocato e dell'infermiera, così come il film. Il termos, dicevamo, ne è la metafora. La menzogna centrale, quella della coppia Vole, è come il brandy che l'avvocato cerca di far passare per cacao. Allo stesso modo Leonard e la moglie "danno a bere" ai giurati e all'avvocato la loro menzogna facendo passare per cacao quello che invece è un alcolico. Ma abbiamo già visto, almeno per quello che riguarda Sir Wilfrid, quanto le scotomizzazioni inconsce dell'avvocato siano compiici dell'inganno.
Finché ognuno di questi personaggi per un'ora e mezza, ricopre con fedeltà il proprio ruolo, tutti i giochi procedono simmetricamente. Abbiamo: marito innocente-moglie colpevole; avvocato bambino-infermiera mamma; coppia ingannatrice-avvocato ingannato. Ma nell'ultimo quarto d'ora lo svelamento del 'ruolo', il riconoscimento dell'identità fittizia di uno dei personaggi, ridistribuisce diversamente tutte le parti. E poiché i personaggi sono intimamente legati da rapporti speculari, si muovono parallelamente. Non appena si scopre la colpevolezza di Leonard, la moglie, che tra l'altro ha detto sempre la verità facendo credere di mentire, diventa automaticamente innocente. E rimane innocente, almeno di fronte alla simpatia del pubblico e a quella di Sir Wilfrid, nonostante abbia ucciso il marito. "Ucciso? — dirà Sir Wilfrid dopo la pugnalata che Christine Vole da al marito — Non l'ha ucciso, l'ha giustiziato". Non si è quindi macchiata di alcun delitto e le parti si sono ribaltate: adesso a marito cattivo corrisponde moglie buona. Una moglie che con un sorprendente intreccio di verità e menzogna, al processo come testimone d'accusa ha detto la verità sul crimine di suo marito, allorché tutti credevano che mentisse. E che nel momento in cui commette un omicidio diventa innocente perché ristabilisce giustizia. Se il marito è un innocente colpevole, lei è certo una colpevole innocente. Sospesa tra il ruolo della bugiarda e quello dell'innocente, Christine, con l'acting out dell'uccisione del marito, sembra definire la sua adesione a quella ambigua parte. Resta insomma una colpevole-innocente.
Prevedibilmente, ciò che accadrà dopo il film, ciò che Wilder lascia immaginare agli spettatori, è ancora un ribaltamento dei ruoli. Al nuovo processo, quello contro Christine Vole, colpevole di aver ucciso il marito, Sir Robarts ingannerà, stavolta consapevolmente, i giudici facendo suo il ruolo che era stato per tutto il film di Christine. Mentre l'imputata assumerà il ruolo del suo defunto marito ottenendo l'assoluzione per un crimine che ha realmente commesso.
Ed è giusto fermarsi a questa ipotesi con cui la vicenda non trova un punto finale ma una linea dinamica di ribaltamento gene-ratrice di senso come lo è la teoria dei ruoli.


(1) Roma, Giugno Wilder, 1-10 giugno 1982. TESTIMONE D'ACCUSA (Witness for the prosecution) - regia Billy Wilder - soggetto dalla pièce di Agata Christie -sceneggiatura B. Wilder e H. Kurnitz - fotografia Russell Harlan - scenografia Alexandre Trauner - musica Matty Malneck - montaggio Daniel Mandell - interpreti Marlene Dietrich (Christine Vole), Tyrone Power (Leonard Vole), Charles Laughton (avv. Robarts), Elsa Lanchester (miss Plimsoll), John Williams, Henry Danieli, lan Wolfe, Una O'Connor - produzione E. Small e A. Hornblow, 1957 -durata 114'.
(2) Altri film di Wilder condividono con Testimone d'accusa questa parentela: in Arianna (Love in the Afternoon, 1957), A qualcuno piace caldo (Some Like it Hot, 1959), Irma la dolce (Irma la douce, 1963), i travestimenti utilizzati dai personaggi per diventare "come se" finiscono per costituire una corposa assunzione di ruoli dei quali si servono per ottenere un cambiamento. In tutti questi film, il "ruolo", che apparentemente è un mezzo di seduzione si rivela poi un'efficace tecnica per assumere su di sé le parti proiettate nell'altro. I due musicisti di A qualcuno piace caldo, travestiti da donne per sfuggire ai gangsters, vivono come donne per un lungo periodo e almeno ad uno di loro il ruolo serve per "portare in luce" le sue parti femminili. Tanto che alla fine accetterà di sposare un ricco milionario che l'ha scambiato per una donna. Anche Arianna, nell'omonimo film, e Nestor Patou, in Irma la dolce si travestono e assumono identità fittizie, complementari a quelle degli oggetti d'amore. Chi poi abbia in mente la Barbara di Morene, si stupirà nel trovare in Baciami, stupido (Kiss Me, Stupidi, 1964) due figure che sembrano prese di peso dalla storia della famosa attrice che diede a Moreno l'occasione di inventare lo psicodramma. In questo film Polly la Bomba, una prostituta di provincia, diventa per una sera una moglie pantofolaia, ruolo che ha sempre sognato di ricoprire. Mentre Zelda, tranquilla moglie borghese, finisce nella roulotte di Polly e si trova a vivere, consenziente, il ruolo di prostituta. Alla fine del film tutto si ricompone: Zelda tornerà a casa sua cambiata da quell'esperienza ludica, mentre Polly abbandonerà la città e forse in un altro posto finirà stavolta davvero per sposarsi.
(3) Paul Lemoine, "Lo psicodramma e il punto cieco", in Atti dello Psicodramma, Astrolabio, Roma, anno quinto, n. 1-2, p. 79.

 


SUMMARY

Role playing in an old film by Billy Wilder
The A. gives us a critique of Witness for the Prosecution, a film by Billy Wilder (1957). The protagonist, guilty of a crime, succeeds in getting himself a verdict of innocent, deceiving the judge and jury and even the lawyer defending him. The film developes, as does a session of psychodrama, with the taking on of various complementary roles. The characters are so involved in their roles that they can't uncover the mechanism of deception.
The relationship between the lawyer and his client is compared to a particular psychodramatic session in which the partecipants can't take on the structuring function of the auxiliary ego. In this situation they find it impossible to reveal the meanings hidden in their psychodramatic plays, precisely because these contend with a common unconscious problem.

Sky Bet by bettingy.com
primo small secondo small terzo small quarto small quinto small sesto small settimo small settimo small