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Dibattito al Teatro Stabile di Trieste su "Ciascuno a suo modo" regia di Giuseppe Patroni Griffi - 1988

Clicca qui per il sociodramma del TST (1986) diretto da Ottavio Rosati
"La Moreno (che tutti sanno chi è) per Pirandello e Ciascuno a suo modo" 

 

 

FATE PARLARE IL PUBBLICO - "La Repubblica" (2 Novembre 1988)

recensione dello spettacolo diretto da Giuseppe Patroni Griffi

TRIESTE Dei tre pezzi composti da Luigi Pirandello per la Trilogia del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo è senz' altro il meno noto e il più scarsamente rappresentato. Quindi anche il più debole? Di fatto nel progetto del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia la pièce arriva buona ultima, mentre l'ordine logico la vorrebbe al secondo posto, prima di Questa sera si recita a soggetto. Eppure, quando Luigi Squarzina nel ' 61 ne diede al Teatro di Genova un' edizione critica di alta ricercatezza stilistica, il successo fu clamoroso anche sul piano del dibattito culturale. Ora, dopo il silenzio intercorso, forse sarà il caso di sottrarre la commedia all' ombra dei due giganti che la schiacciano, di soffermarsi su quest' opera rara da riscoprire, già dalla sua struttura in due o tre atti col terzo mai scritto e due intermezzi nel ridotto, dove un finto pubblico discute gli eventi rappresentati con i finti personaggi. In Ciascuno a suo modo antagonisti non sono più come nei Sei personaggi l' immaginario autore e le figure da lui create e destinate a vivere una sola volta una rappresentazione che non dovrebbe potersi ripetere. Di fronte ai personaggi stavolta a chiave c'è una realtà che dalla finzione su di essa modellata prende esempio; gli spettatori e non più gli attori sono arbitri di un conflitto che si rivela insanabile: e l' impossibile rappresentazione viene interrotta. Come può la realtà prendere a modello la finzione? Un' attrice ha causato il suicidio del fidanzato, mettendosi con miglior amico di lui; entrambi si ostinano però a negare la loro passione, finché vedono le loro copie sul palcoscenico, nella stessa situazione, non resistono al bisogno di abbracciarsi; e allora sono indotti a riprodurne i gesti e ripeterne le parole. La vita quindi copia l'arte; oppure, dal momento che non sappiamo cosa fosse realmente avvenuto nella cronaca precedente, la vita accetta se stessa solo dopo aver ottenuto la conferma del teatro, e attraversato il giudizio del pubblico, messo in scena nelle sue componenti mondane, critiche, con connotazioni legittimamente risibili. L' azione rappresentanta può trovare due parametri: uno tipico di un mezzo fondato sulla ripetizione come il cinema, perché nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore Pirandello pochi anni prima concepiva filmicamente un' analoga meccanica di rapporti tra la realtà e la sua imitazione.
L'altro sta invece nell' applicazione delle tecniche sceniche da parte dello psicodramma per sviluppare terapeuticamente un dato reale; e Ottavio Rosati ha studiato la fattispecie, colpito anche dalla curiosa omonimia tra Jacob Levi Moreno, fondatore di quel procedimento, e la Moreno (che tutti sanno chi è), ovvero l' attrice vera della pièce. Ma in nessuno dei casi la vicenda ha importanza.
Anzi, come significativamente afferma Patroni Griffi, la vicenda non c' è. Esiste solo come pretesto per suscitare dei rapporti, allargando i suoi effetti a onda, dai soggetti del conflitto, fuori dalla commedia tra gli spettatori consenzienti e dissenzienti immaginati dall' autore; nella commedia tra i personaggi spettatori, divisi tra la verità dell' attrice e la verità del suo amante, le quali del resto non esistono e non divergono; ed ecco queste pedine pronte a cambiare radicalmente partito o a farsi plagiare dai loro idoli, arrivando a sfidarsi in un duello per darsi ragione. L' operazione di svuotamento dei fatti e delle loro interpretazioni è condotta da Diego Cinci, che come il Laudisi di Così è, se vi pare, non crede a una verità che ha troppe possibili proiezioni: è l' autore in primo piano in questo vertiginoso scambiarsi di copie, piani, doppi, creato per l' esaltazione del meccanismo teatrale protagonista, non senza autoironia. La trilogia di Patroni Griffi è acutamente basata sul gioco dell' autorappresentazione. Nei Sei personaggi avevamo assistito alla messinscena del Teatro; in che cosa può consistere praticamente Ciascuno a suo modo se non in una moltiplicazione d' immagini che nel vuoto ostentino la funzionalità dell' ingranaggio?

Un gioco degli specchi senza specchi, una scatola cinese che, nell' elegantissimo involucro ideato da Aldo Terlizzi, rinvia geometricamente da una tenda all' altra, allungando ombre nere in fondo sullo schermo verde, poi rosso, poi grigio, attorno a un nucleo che sfugge come nella cipolla di Peer Gynt. L' azione, rotta due volte dagli intermezzi in corridoio, si apre e si chiude con un ballo, come nascesse da un flash back dentro a un rito di società; e il ballo è spiato all' inizio da un sipario semiabbassato come in quella sintesi futurista d' epoca che lasciava vedere solo le gambe di chi stava in scena. Successivamente le prospettive sceniche si rovesciano, le tracce futuriste riappaiono in velari alla Severini, prima che le volute di altri sipari suggellino questo gioco della forma. Ogni sequenza è spezzata da momenti sospesi, sostenuti da lievi musiche d' archi, conducendo plasticamente l' analisi sul gesto del tempo e sottolineando la forbitezza del linguaggio, di cui son fini portatori in primo piano il razionale Mariano Rigillo, il persuasivo Marcello Donati, lo spiritoso Vittorio Caprioli. L' impeto passionale è riservato alle apparizioni da cinema muto di Ilaria Occhini, intensa e enigmatica, della fatale Laura Marinoni, di Giovanni Crippa e Totò Onnis, mentre gli attraversamenti di Caterina Boratto tutta in bianco sulla carrozzella impongono il loro segno figurativo. I bei costumi di Gabriella Pescucci, raffinati e curiosi, caricano l' aspetto di manichini da sfilata imposto ai molti giovani del ricercato contorno, dal biliardo alla sala di schermo, al foyer del teatro.

Mariano Rigillo ricorda Patroni Griffi

Franca Valeri ricorda Patroni Griffi

dal nostro inviato FRANCO QUADRI02 novembre 1988 

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