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INIZIO DEI CORSI IPOD A ROMA - 2009

Un bricconaggio memorabile (e molto conflittuale) è quello che realizzai subito dopo la fondazione della scuola di formazione in psicodramma IPOD. La storia comincia col fatto che per anni mi ero rifiutato di fare la domanda al Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica per il riconoscimento della nostra attività didattica. Temevo che una burocratizzazione ufficiale potesse nuocere allo spirito dello psicodramma ma in questo mi sbagliavo: anziché affontare il pericolo, lo tenevo alla larga con un ritiro narcisistico. Quando finalmente ci arrendemmo al principio di realtà e presentammo la documentazione, il MiUR bocciò la domanda nonostante la nostra competenza e il nostro indiscutibile primato nell'aver inserito lo psicodramma nella cultura italiana come tanti avevano riconosciuto in libri e articoli. L'idea che gli psicologi del comitato Miur privi di esperienze di psicodramma e conoscenze sull'opera di Moreno e company, potessero riconoscere la nostra competenza mi faceva sentire malissimo. Andai a Londra una settimana e, per scrivere una seconda domanda, mi chiusi nella biblioteca del British Museum dove Marx aveva scritto "Il Capitale" ma ci bocciarono anche questa volta accusandomi di essere un "dilettante di genio" non abbastanza scientifico. Come se non avessimo il diritto a lavorare e insegnare in un modo diverso da loro. Con un diverso tipo di ricchezza, un diverso genere di narcisismo, un diverso modo di concepire la psiche, la scienza e la cultura. 
Non è facile per me parlarne ma, evitamento a parte, un altro motivo per cui avevo rimandato il più possibile la domanda erano le difficili implicazioni economiche di una Scuola di Psicoterapia. Negli anni più che bastevoli della mia formazione sia di analista che di psicodrammatista (iniziata nel 1973 con Aldo Carotenuto e tuttora in atto con Stefano Carta, passando per Paolo Aite, Mario Trevi, Claudio Modigliani e altri) il rapporto didattico avveniva solo col maestro o coi maestri specialisti della scuola di psicoterapia, come era sempre avvenuto dai tempi di Freud e Jung. Non ho mai capito la necessità di infarcire i corsi specifici di lezioni di professori universitari su materie come psicologia dinamica o psicofarmacologia o psicologia clinica che (in teoria e in pratica) gli psicologi iscritti all'ordine avevano appena finito di studiare all'università pochi mesi o pochi anni prima. O meglio, non l'ho capita dal punto di vista della didattica mentre mi sembra chiara dal punto di vista dei didatti: serviva a procurarsi qualche ora di ripetizioni extra universitario, più o meno ben pagate, senza tener conto che i costi ricadevano sul budget della scuola sfinendone le già modeste finanze. Tanto più, anzi tanto meno, che una parte degli studenti fanno fatica a versare la loro retta. C'era poi la necessità di trovare dei locali adatti e attrezzati secondo il regolamento, che a loro volta richiedevano una forte spesa sempre che qualcuno non fosse così fortunato da disporre di locali propri o di famiglia.
A mio parere dovrebbe essere l'università a sostenere le scuole di formazione più valide e non il contrario. Per esempio mettendo a disposizione i suoi locali nei fine settimana con un intelligente criterio di rotazione o consentendo agli studenti di ri-frequentare gratuitamente con dei "biglietti di invito" alcune ore di lezione universitaria delle materie ritenute indispensabili per la loro formazione di terapeuti.
Noi del gruppo Plays ci trovavamo invece di fronte a una situazione grottesca. Come psicodrammatista didatta dovevo inchinarmi a degli esperti di psicocrazia per avere il permesso di insegnare il modello in cui credevo, pena la scomparsa della nostra identità clinica dal panorama culturale italiano.
Tutto questo creava un clima penoso dove alla simpatica povertà degli studenti (nel migliore dei casi aiutati dai genitori, nel peggiore dei casi costretti a marchette di vario genere) corrispondeva l'accumulo di marchette didattiche da parte di docenti generati dalla piccola borghesia rimpannucciata, alcuni dei quali non sapevano nulla di psicoanalisi e non avevano fatto un'ora di psicoterapia in vita loro. Essendo, più che intellettuali organici nel senso di Gramsci, zanzare tigri di San Lorenzo. Noiose spesso. E spessissimo annoiate dalle loro stesse pozzanghere recintate con cura.

Che fare?
Con un gruppo di allievi ben intenzionati tra cui Renata Biserni, Enrico Santori, Giampaolo Mazzara, Lorella Versari, con la collaborazione di avvocati, geometri, grafici, medici, astrologi, consulenti, massaggiatori e farmacisti, tra uffici e sportelli e con un misto di sforzo, buona volontà e incompetenza organizzativa fondammo una srl e redigemmo il programma richiesto. Esausto, ebbi persino poche buone idee. La migliore fu quella di rivolgermi per i locali ai generosi frati francescani di Santa Dorotea in Trastevere a pochi metri dalla sede di via lungara. E qui trovammo una spazio vecchiotto, eccentrico e di grande comodità: a room with a view sul Gianicolo tra Porta Settimiana, la John Cabot University e i giardini dell'Accadenia dei Lincei. Niente di strano: Francesco è il patrono dello psicoplay. Basti pensare che un giorno mentre il mio brillante allievo-assistente Francesco Marzano aspettava l'autobus, per venire a Trastevere, un francescano in tonaca, mai visto prima, si girò e gli disse "Buongiorno, Francesco!". E quando lui domandò: "Scusi, ma come fa a sapere che mi chiamo Francesco?", il frate rispose che ce l'aveva scritto in faccia. Quindi cose così, incontri così sono il ricavo in positivo delle punture delle zanzare tigri che decollano dall'aeroporto del MiUR. 
Un mese dopo mi rivolsi a V., uno dei miei più cari amici storici che, da quando andavamo al Savoy a vedere i film di Totò, con me era sempre stato leale e generoso. Sin dal primo giorno (a diciasstte anni) che l'incontrai a Capri in preda a una dispersione di identità tipo Suddenly Last Summer e lui mi tranqullizzò come un fratello maggiore. Ricordo che ero stato io a presentarlo ad Aldo Carotenuto e che poi, ventenni, quando andavamo insieme alla sua biblioteca di via Severano, ridevamo a crepapelle come due scemi a prendere un gelato al bar sotto casa, dicendo di segnare il cornettoalgida sul conto del professore. Solo che V. era molto cambiato nel corso degli anni in cui era diventato anche lui professore ordinario: aveva abbandonato il suo giovanile personaggio di globe-trotter con guide e spinelli, per diventare sempre più serio e sempre più coinvolto nei reticoli del potere accademico e nelle sinapsi delle neuroscienze. Anche fisicamente era irriconoscibile: da Arsenio Lupin che pareva, ormai sembrava un Lex Luthor sovrappeso. Un capitalista disegnato da Grosz. Terribile. Ma questo non gli impediva di fare da supporter della mia tipologia fanciullesca, a suo parere, lontana dalla "realtà" universitaria italiana. Ormai V. mi riteneva ingenuo, sognatore e inaffidabile: un giorno mi spiegò che, dopo l'avvento delle neuroscienze, il vecchio Jung (di cui Boringhieri stava per pubblicare "Il Libro Rosso") era "morto" e mi mostrò con orgoglio una sua creazione artistica: una tela quadrata in corso d'opera coperta di strati di bitume nerastro. Immaginai si intitolasse "La mia Università". Parafrasando Philip Roth, potrei dire che V. "al posto dell'anima emanava scientismo da tutti i pori. Quel che restava di lui era l'ordinario potere di un ordinario". Rispose alle mie proteste per il Miur, dicendo che i miei psicodrammi televisivi di Rai3 (ripresi da quattro camere) non avevano spessore clinico ma erano una cosa "Hollywood". Questo giudizio sommario mi fece infuriare e non glielo nascosi. Tuttavia V. accettò la carica di Presidente Garante della nostra scuola e, nel mio stato depressivo, mi aiutò a formulare un terzo programma (volutamente piatto e senza vita) e a proporre alla commissione del Miur una scuderia didattica che sarebbe stato impossibile rifiutare. Non tutti i Coppola vengono per nuocere: devo dire che tra i nomi dettati da V. c'erano anche quelli di insegnanti bravi, colti e stimabili, come Anna Maria Speranza e Accursio Gennaro che oggi mi ospita qui al suo seminario e di cui sono diventato amico. Fatto sta che questa terza volta la scuola col maquillage immediocrente ottenne il riconoscimento per il solo fatto (così V. mi disse) che la presentava lui, senza che la Commissione nemmeno aprisse il dossier della domanda. Potete immaginarvi la mia gioia e il mio orgoglio di sentirmi italiano.

In cambio V. mi chiese (oltre a qualcosa che preferisco tacere) di assegnare un paio di borse di studio a delle sue allieve. Le neo psicologhe erano più giovani che colte ma le borse di studio le concedemmo volentieri. Purtroppo, dopo pochi mesi, la dinamica di gruppo degli studenti regolarmente paganti rivelò un fatto imbarazzante di cui dovetti prendere atto. La borsista meno bellina manovrava segretamente in combutta con G. (un piccolo tirapiedi di V. "amico" di entrambi) come una piccola Mata Hari che riferiva quanto accadeva nella scuola allo scopo di far supervisionare la mia direzione didattica. Era vero? Non era vero? Era vero ma solo in parte? Mi ritrovai dilaniato tra silenzio e protesta. Amicizia a parte, avevo un debito di riconoscenza nei confronti del mio Good Father. D'altra parte ciò che insegnavo agli studenti era una psicoterapia basata sul passaggio dal Falso Sè al Vero Sè. Che fare? 

Non me ne resi conto ma la mia risposta fu un vero bricconaggio: per celebrare la pubblicazione del nuovo libro di V. per la casa editrice Ubaldini, alla quale tanti anni prima lo avevo presentato, organizzai un incontro dibattito alla scuola e pochi giorni prima informai gli studenti (little-spia compresa) che l'avremmo completato con un grande sociodramma aperto al pubblico. Nel corso dell'evento ogni persona, compresi il Direttore e il Presidente Garante, avrebbe potuto raccontare e mettere in scena la loro versione dei recenti conflitti tra allievi sullo sfondo delle vicende che avevano portato al riconoscimento della scuola. Questo incontro dialettico sarebbe avvenuto davanti a un paio di videomaker che avrebbero ripreso il socioplay in chiave non hollywoodiana ma di Cinema Verità. Il mio progetto mi sembrava onesto e coerentemente moreniano perché permetteva di abbracciare e confrontare diverse versioni mettendo insieme gratitudine ed equanimità. Mi rimettevo al parere del gruppo e invitavo testimoni di ogni parte. Ammettevo che V. ci avesse aiutato, se non salvato, ma volevo anche relativizzare il suo punto di vista che la "realtà adulta" di cui era portatore fosse l'unica realtà concepibile. A ben vedere, anche il mondo accademico della commissione del Miur aveva molto da imparare dal mondo della cultura, del teatro, dell'arte e dello psicodramma. Allorché il prof. Nino Dazzi mi impedì di chiamare la scuola "Plays" perché lo faceva pensare a una scuola di videogames, mi resi conto che ignorava la distizione fatta da Roger Caillois tra giochi di play, game, ilinx e alea. Non a caso, del resto.

Fatto sta che, quando gli dissero del sociodramma, V. esplose. Mi apostrofò al cellulare per circa un'ora mentre da piazza S. Maria in Trastevere arrivavo fino a Villa Pamphili salendo per il Gianicolo in fiore, senza ascoltare una mia sola parola di spiegazione. Tra insulti e accuse in stile berlusconiano, rassegnò le dimissioni dalla sua carica, mi attribuì irriferibili, difetti (molti dei quali su base proiettiva) e minacciò di far revocare la sentenza del Miur nello stile dei quelle madri arcaiche del Sud che dicono al figlio: "Tu sei solo un mio sotto-prodotto: come ti ho fatto, ti distruggo". Rimasi senza parole e senza saliva in bocca. Però era emerso il rifiuto di V. di parlare in pubblico. E questo rifiuto parlava chiaro: ogni Good Father, a ben vedere, è una Great Mother.
A conti fatti il Bricconaggio del Sociodramma Annunciato ci fece risparmiare un sacco di tempo slatentizzando un precario stato di cose che prima o poi si sarebbe sgretolato. Il tutto portò alla nomina di un nuovo Presidente Garante, il prof. Vezio Ruggieri, al quale vi propongo ora di dedicare un applauso e al quale dedicammo subito una lunga video intervista di benvenuto che non fu hollywoodiana ma (ahinoi!) solo scientifico-culturale. 

 

 

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