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LO PSICODRAMMA NELLA PSICOTERAPIA INFANTILE JUNGHIANA (Convegno del 1982 all'Ospedale Bambin Gesù di Roma)

Organizzato dall'Ospedale Bambin Gesù di Roma in collaborazione con 
la rivista "Atti dello psicodramma"

IL CORRIERE DELLA SERA martedì, 01 giugno 1982

SI E’ SVOLTO A ROMA IL PRIMO CONVEGNO DI PSICOTERAPIA INFANTILE JUNGHIANA

La psicoanalisi nell’oscuro universo del bambino

Genitori “trattati” due mesi prima del parto - Osservazione del neonato che va considerato come soggetto e non come oggetto – L’analisi non serve affrontare il fenomeno droga

ROMA – Nello splendore soleggiato del Gianicolo, a Roma, si è svolto nella attrezzatissima Sala dei Congressi dell’Università Urbaniana, col patrocinio della Regione Lazio e davanti a 270 iscritti ai lavori, il 1° convegno di psicoterapia infantile junghiana della storia: altri convegni si erano svolti in Europa, ma a indirizzo freudiano e questo è comunque il primo in assoluto sulla psicoanalisi del bambino tenuto in Italia dalle varie scuole.

Ad assumersi una responsabilità così pesante sono stati quattro giovani psicoanalisti romani, Francesco Montecchi, Stefano Marinucci, Daniela Tortolani e Ottavio Rosati. I primi tre lavorano da anni in équipe all’Ospedale del Bambino Gesù nel Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile e il quarto è uno specialista di psicodramma analitico. Montecchi Marinucci Tortolani hanno fatto le loro esperienze al distaccamento dell’Ospedale a S. Marinella e sono i soli in Italia, coi colleghi dell’Ospedale di Pisa e del Gaslini di Genova, ad avere avviato questa esperienza di psicoterapia infantile ospedaliera sull’esempio già realizzato da anni negli ospedali inglesi, col vantaggio per i pazienti di avere un day hospital, cioè nelle sedute grtuite in ospedale, anziché delle terapie costose praticate negli studi professionali. L’esempio di Londra è importante anche per un aspetto più tecnico, e cioè la capacità di superare gli antagonismi ideologici tanto da permettere ai kleniani, di discendenza freudiana, di lavorare acanto agli junghiani. Questo convegno ribadisce la tipica apertura junghiana al confronto scientifico dei lavori, e l’indirizzo è confermato dal patrocinio dell’ Aipa (Associazione Italiana Psicologia Analitica).

I lavori sono così cominciati con una relazione rigorosa e nutrita di Paolo Aite allievo del grande Bernhardt e specialista nella terapia del sand play, gioco della sabbia, nel corso del quale il paziente esprime le sue problematiche inconsce  disponendo nella sabbia oggetti scelti da un enorme campionario allestito dal terapeuta che interpreta lo sviluppo della sua composizione in termini simbolici: una terapia creata da Dora Kalff, a Zurigo, alla quale si ispira l’équipe organizzatrice del convegno e alla quale è stata dedicata la terza mattinata conclusiva resa illustre dalla presenza della Kalff stessa. Nei giorni precedenti si sono alternati psicoanalisti famosi a giovani che lo diventeranno. Hanno parlato di casi clinici tra gli altri Anna Perez ricca di umanità,  Walter Zublin di Berna con le sue diapositive di tormentati disegni infantili, Bianca Jaccarino sacrificata dall’orologio, Enrico Longo, Nadia Neri e Daniela Tortolani con l’autorità che le viene dall’esperienza ospedaliera. I temi erano le fantasie inconsce, il rapporto tra il bambino e il suo contesto, le tecniche terapeutiche del gioco, la baby observation (l’osservazione del neonato), la formazione del terapeuta.

Poi sono iniziati i dolori degli scioperi aerei, non so se dei piloti o dei pompieri, degli assistenti di volo o dei benzinai, ma sufficienti a impedire ai relatori inglesi, attesissimi di arrivare in tempo per i loro interventi: durante il tea break, la pausa per il tè, mentre mangiavano pasticcini e dolcetti gli intervenuti si chiedevano in quali cieli stessero vagando Barry Proner e Mara Sidoli, discepoli del caro, vecchio Michael Fordham, che con la Kalff sarebbe stato la grande stella del Convegno.

In loro attesa hanno parlato Yvonne Arthus, che molti anni fa ha fondato col marito la psicoanalisi junghiana a Lione, Ottavio Rosati con una imprevedibile scelta di diapositive sulla “decadenza” della Vienna fin di secolo dalla quale nacque il lavoro di Jacob Moreno con i bambini, Anna Michelini Tocci, Gabriella Gabriellini e Simona Nissim del Centro di Pisa, Giuseppe Maffei e altri illustri analisti (circa una ventina di donne e una decina di uomini). Volavano frasi in psicoanalese stretto nonostante ogni relatore si vantasse di aver semplificato il linguaggio per rendersi comprensibile a tutti, con qualche frustrazione quando un intervenuto coi capelli bianchi, dopo essersi qualificato come “un pediatra di base che visita centinaia di bambini al mese negli ospedali” ha invocato una maggior valorizzazione del linguaggio.

Le sabbie di Dora Kalff

Passeggiando nel parco ho chiesto a Marcello Pignatelli, presidente dell’Aipa, che cos ne pensa dei problemi trattati nel Convegno. Da una lunga chiacchierata ricavo poche parole, che bisogna considerare il bambino come soggetto e non più come oggetto, che bisogna seguire l’esempio della clinica Tavistock di Londra dove si comincia a “trattare” i genitori due mesi prima del parto e a osservare il bambino appena nato e via via che si sviluppa prima di iniziare la terapia.

Tutti i discorsi riconducevano a Londra, e quando Barry Proner e Mara Sidoli sono arrivati e hanno letto le loro relazioni molto fordhamiane li ho interrogati. “Lavoro alla Società di Psicologia Analitica, nella day clinic pediatrica C. G. Jung” ha detto Proner, un giovane analista sorridente sotto i baffetti castani. “Mi si presenta una larga gamma di bambini e delle loro famiglie, che hanno vari disturbi dai disordini psicosomatici denunciati dai medici, all’aggressività, delinquenza, malattie psicotiche, autismi. Vado al Charing Cross Hospital una volta a settimana, il resto del tempo lavoro nel mio studio”. E la droga? “ In Inghilterra abbiamo un programma per il quale diamo metadone gratuito; ma il metadone da assuefazione e poi le cliniche hanno lunghissime liste d’attesa. Ho avuto un giovane drogato in analisi: stava molto male e aveva sostituito l’affetto della madre con la droga. Sono andato avanti con l’analisi finché non ce l’ho fatta più. Non ha funzionato niente, continuava a drogarsi. Ha sempre pagato le sedute, ma in realtà non voleva l’analisi, voleva solo la droga. Quando si è tossicodipendenti non si ha bisogno dell’analisi perché non si sente ansietà. E’ come con gli alcolizzati: non vogliono l’analisi, vogliono l’alcool, l’unica cosa che duri è un affetto che duri 24 ore al giorno. Bisogna adattarsi agli insulti, a essere trattati come oggetti pronti ai loro bisogni. Conosco analisti che se ne sono presi in casa per assisterli in continuazione ma l’analisi serve solo a chi può usarla”.

Ho fatto la stessa domanda a Mara Sidoli, che si è stabilita a Londra nel 1974 affrontando le difficoltà di adattarsi con la famiglia alla nuova cultura: una bella signora serena che ha imparato l’inglese dalla madre bilingue e si è avvicinata la pensiero di Fordham cercando una tecnica per riuscire a insegnare con successo ai suoi studenti  fino a trasferirsi a Londra.  “ In Italia - mi ha detto - il problema della droga è equivalente a quello che c’è stato in Inghilterra negli Anni Settanta. Attualmente è meno drammatico in Inghilterra perché da allora si sono sviluppate molte strutture di prevenzione di quartiere chiamate Child’s Guidance Clinic, esistenti già dal 1945 per risolvere i problemi dei bambini evacuati dalle grandi città; questo ha arginato la diffusione della droga”. Le ho chiesto se la psicodipendenza del bambino può prevenire lo sviluppo di una tossicodipendenza futura. “Non solo la terapia può affrontare il problema della carenza affettiva nella prima infanzia – ha detto - ma può affrontare il problema della prevenzione in settori più vasti fornendo agli insegnanti, agli assistenti sociali e a tutti quelli che lavorano in stretto rapporto col bambino e la famiglia un insight nelle dinamiche psichiche della coppia madre bambino”. Fuori della droga, le ho chiesto se ritiene possibile riprodurre in Italia l’impostazione amministrativa circa la terapia dei bambini adottata in Inghilterra. “Non in tutta l’Inghilterra – ha detto - c’è lo sviluppo della psicoterapia e analisi che si può godere negli ospedali della Child’s Guidance di Londra, perché nelle zone suburbane e periferiche prevalgono ancora concetti pedagogici tradizionali che non differiscono molto da quelli italiani”.

Ho fatto qualche domanda anche a Dora Kalff, soffice come una grande madre buona, che ha offerto un’appassionante spiegazione quasi divulgativa di una dozzina di diapositive di “sabbie” composte in fasi successive da una adolescente guarita alla terza “sabbia” da un’ulcera duodenale. La signora si interessa di buddismo, è di casa a Pomaja ed è l’unica o fra le pochissime terapeute europee a esercitare la professione anche in Giappone, dove i suoi libri sono tradotti. Le ho chiesto se crede che ci sia una relazione tra la sua formazione e la fede buddhista. “Vedo il buddismo – mi ha detto -  come una psicologia molto differenziata, con la quale si può imparare molto per l’attitudine verso l’uomo e la vita. La psicologia junghiana lavora verso l’unione della totalità, il buddhismo va oltre la psicologia”.

Ritrovare la spiritualità

Ho chiesto anche a lei se ha avuto qualche esperienza di lavoro col gioco della sabbia su giovani drogati. “Si – mi ha detto - . I drogati hanno un desiderio enorme di realizzare un aspetto spirituale che non sia fatto di parole ma di esperienza. E’ l’esperienza cui sperano di arrivare attraverso la droga, ma con la droga non ci riescono perché il processo è troppo veloce, mentre col gioco della sabbia si può arrivare fino al fondo della personalità. Ma se sono già danneggiati dalla droga non possono venir raggiunti. I pazienti che sono riuscita a guarire non erano gravi e comunque la terapia richiede un tempo molto lungo”.

Le ho chiesto come definirebbe al vasto pubblico non scientifico il suo metodo terapeutico del gioco della sabbia. “E’ un metodo – ha detto – che si può spiegare anche in termini non junghiani ma della nostra vita. Quello che spiego riguarda un processo di individuazione. Sotto l’influsso della civilizzazione ci siamo orientati verso una coscienza intellettuale e tecnica, ma è necessario che ritroviamo la spiritualità”.

Con questa proposta vorrei chiudere una cronaca che ha dovuto trascurare troppi interventi, troppi spunti, troppi interessi. Dora Kalff è uscita dal convegno come una figura altamente carismatica e la sua personalità ha spiegato da sé le ragioni che inducono tanti giovani, tra cui gli organizzatori stessi del convegno, a seguire il suo esempio.

Fernanda Pivano

 

 

 

 Articolo di Luciana Sica pubblicato su "PAESE SERA", 24 maggio 1982

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