LA PERSONALITA' E LO PSICODRAMMA di Aldo Carotenuto
Oggi, entrando al Teatro Flaiano mi chiedevo perché il mio allievo Ottavio Rosati ha sposato in chiesa la psicologia se poi la tradisce sempre col mondo dello spettacolo. Ma sono d'accordo con Cesare Musatti a proposito di Pirandello e della sua psicologia. Non dobbiamo dimenticare che Freud, quando qualcuno gli chiedeva a quali autori si fosse ispirato, non mostrava certo gli orribili testi di psichiatria del suo tempo, né i libri di psicologia, ma faceva vedere i classici greci.
Questo ha un significato ben preciso. Quelli che hanno approfondito la natura umana sono gli artisti e in particolar modo i grandi narratori. Mi viene in mente tutta l'opera di Dostoevskij, oppure le opere di Shakespeare, dei testi così fondamentali che dovrebbero essere inseriti nei programmi di studio degli Istituti psicoanalitici. Dostoevskij (penso per esempio a L'idiota) è un profondo conoscitore della psiche: per poter scrivere certe opere bisogna avere una profonda conoscenza della propria psiche, che ci permette poi di illuminare la psiche altrui.
Tornando a Pirandello, ci troviamo di fronte a vari problemi. Per esempio il problema delle esplosioni conflittuali di tutti i suoi personaggi. Si è parlato della logica del doppio e per quanto riguarda me, come psicologo che si ispira alle teorie di Jung, il doppio ha a che fare con l'ombra. Ora in Pirandello queste esplosioni conflittuali, che sono poi esplosioni dell'inconscio, hanno a che fare con la proiezione dell'ombra sull'altro. Tutti i personaggi pirandelliani si muovono all'interno di una logica nella quale, in virtù della proiezione, il colpevole è sempre l'altro. Pirandello avrà avuto anche una conoscenza dei testi freudiani, ma non è questo il punto. Il punto è che egli ha avuto una capacità introspettiva tale da fargli afferrare delle situazioni chiave dello sviluppo psicologico umano. Per Pirandello la conflittualità emerge all'improvviso: i suoi personaggi sono spinti da forze che non riescono a dominare e che diventano poi predominanti nella loro vita quotidiana. Se ne può dedurre che Pirandello aveva capito come la mancata integrazione dell'inconscio faccia sì che la persona sia vissuta da qualche cosa di estraneo.
Un altro tema è quello della pazzia nelle opere di Pirandello. Probabilmente questo motivo ricorrente allude alla perdita del controllo da parte dell'Io. I personaggi pirandelliani sembrano caratterizzati da una struttura di personalità assolutamente rigida, severa, priva di dubbi. In questi casi, però, ci troviamo sempre in presenza di una qualche compensazione, e la compensazione più radicale consiste appunto nello scatenarsi della follia. Ma accanto al tema dell'Io" forte" c'è anche una visione meno monolitica del soggetto, una visione evolutiva, per la quale se una volta si è "peccato" non è detto che si debba rimanere eternamente legati a questa colpa. Pensiamo a quello che dice il padre nei Sei personaggi in cerca d'autore quando reclama che non è giusto incatenare per sempre un individuo a un destino, a una definizione dovuta all'errore di un attimo, a una momentanea trasgressione. Tuttavia, nonostante questo desiderio di riscatto, sembra che il conflitto esistenziale non possa trovare soluzione, e quindi che la vita finisca sempre in un naufragio. Da parte mia credo che neanche la consapevolezza di un inevitabile naufragio ci esima dallo sforzo di costruire la nostra esistenza, anche sugli errori. Sappiamo bene che non possiamo sottrarci alla morte, ma ciò non significa che dobbiamo sottrarci all'impegno di vivere pienamente la nostra vita con tutte le sue contraddizioni e le sue gratificazioni,
II tema della follia nelle opere di Pirandello trova un collegamento con un aspetto della sua vita personale: la moglie; infatti Antonietta Portulano, soffriva di gravi disturbi mentali. Io non ho alcun dubbio che il matrimonio con questa donna abbia consentito a Pirandello di approfondire la sua conoscenza dei processi psichici. D'altra parte, tale scelta non poteva essere legata al caso, poiché ogni scelta, anche se del tutto inconscia, è comunque indicativa della propria dimensione interiore. Da un certo punto di vista possiamo dire perciò che Pirandello ha sempre lottato contro la sua stessa pazzia. Si potrebbe anche pensare che un gioco masochistico lo abbia costretto a sposarsi con una donna che non smise mai di tormentarlo, Credo tuttavia che nel caso di Pirandello si debba parlare di un tentativo, probabilmente riuscito, di estroflettere nell'altro il proprio nucleo psicotico: questo meccanismo proiettivo è anche un modo per poter elaborare una condizione altrimenti inaccessibile.
C'è poi il problema del fascismo dì Pirandello. Molte volte il giudizio politico richiede una speciale sensibilità e si deve pure ammettere che anche nei grandi uomini ci sono elementi di stupidità. Croce, ad esempio, solo dopo il delitto Matteotti riuscì a capire che c'era qualcosa che non andava. Per quanto riguarda Pirandello si deve però ricordare che in prossimità della morte rifiutò funerali di stato, con grave imbarazzo del regime.
Un elemento che mi pare interessante da un punto di vista psicologico è il suo passaggio da un inconsapevole "freudismo" all'inconsapevole "junghismo" che si esprime nell'ultima opera, rimasta incompiuta: I giganti della montagna. Questo mutamento di ottica, e di stile, segue a mio parere un percorso analogo a quello di chiunque si occupi di psicologia senza preconcetti o preclusioni dogmatiche: in nessun caso si può prescindere dalla visione di Freud quale presupposto fondamentale di ogni riflessione sulla struttura della psiche, ma, via via che le conoscenze si affinano e le indagini si approfondiscono, nasce l'esigenza di una visione più ampia e più comprensiva che, senza negare la prima, tenga conto anche delle dimensioni più complesse della vita psichica. La concezione di Jung risponde a questa esigenza e quindi non mi sorprende che nella sua evoluzione spirituale Pirandello arrivi all'espressione di un criptojunghismo.
Per quanto riguarda la disputa storica sulla genesi dello psicodramma, e cioè il problema di chi, tra Pirandello e Moreno, lo abbia inventato per primo, io non ho alcuna difficoltà ad ammettere che possa essere stato ideato contemporaneamente e autonomamente, all'interno di uno stesso Zeitgeist, uno "spirito del tempo" che rendeva concepibile e formulabile quell'idea. In altri termini, i tempi erano maturi perché si dicessero certe cose. La storia del pensiero è piena di esempi analoghi, basti pensare alla famosa disputa Newton-Leibniz sul calcolo infinitesimale, oppure alle identiche formulazioni circa l'evoluzione della specie da parte di Wallace, in Australia, e di Darwin, in Inghilterra. Allo stesso modo, leggendo la bellissima opera di Ellenberger, possiamo scorgere tutta una linea di sviluppo che risale a Mesmer e confluisce nella psicoanalisi. Dall'esorcismo al magnetismo e all'ipnosi, si creò pian piano quella situazione culturale e, spirituale che permise a Freud di formulare un nuovo metodo terapeutico. Allora, anche per l'invenzione dello psicodramma e per il riconoscimento del valore simbolico e terapeutico dellattualizzazione drammatica, si può dire che nei primi decenni del secolo esistevano i presupposti, intellettuali e psicologici, perché ciò avvenisse: in questo senso i tempi erano maturi.
Se è irrilevante il problema della priorità tra Pirandello e Moreno, non lo è altrettanto il fatto che Moreno abbia reso attuabili e utilizzabili praticamente quelle intuizioni, così come Freud rese operativa la presenza di quell'inconscio che già i poeti romantici avevano riconosciuto come forza attiva nell'uomo. Pirandello ha sicuramente capito moltissime cose, ma è stato Moreno a dare al teatro e alla drammatizzazione dei personaggi un carattere terapeutico e pratico.
Un fenomeno psicologico molto importante è quello che Moreno indica con il termine tele, che si definisce come un momento di appercezione empatica dell'altro, un incontro non mediato da distorsioni: un incontro diretto da uomo a uomo. Questa concezione ha dei punti di contatto con quella che Jung chiamava utilizzazione em-patica del controtransfert. Tutti i nostri rapporti sono dei transfert perché, ovviamente, noi portiamo la nostra storia nel rapporto: nel momento in cui ci colleghiamo con un'altra persona non possiamo che parlare con il nostro linguaggio e cercare di capire l'altro con le nostre categorie. In questo senso si parla di transfert, perché si sovrappone la propria esperienza a quella dell'altro. Tuttavia, con la maturazione psicologica e con l'approfondimento del rapporto, diminuisce l'incidenza di questo linguaggio interiore assolutamente personale e nello spazio fra i due che sono impegnati nella relazione si crea un nuovo linguaggio, specifico di quella relazione. A quel punto si può fare a meno delle esperienze precedenti per capire l'altro, esperienze inconsce naturalmente, poiché la comprensione si struttura all'interno di una esperienza condivisa. Credo che in questo senso il tele si riferisca a una struttura primaria, appunto perché svincolato da ogni condizionamento che derivi da esperienze estranee al rapporto in atto. Moreno infatti parlerà del transfert in termini di struttura secondaria, in quanto esso implica la proiezione di proprie fantasie inconsce che costringono la percezione dell'altro entro canali determinati. Ma quando si instaura un rapporto con l'altro è possibile depurarlo gradualmente di queste dimensioni inconsce e arrivare alla esperienza déll'hic et nunc, che è un'esperienza primaria. Sono talmente d'accordo con Moreno da poter dire che la conclusione di un'analisi coincide con la relativizzazione del transfert e con l'emergere del tele.
Un problema ulteriore, che mi sta particolarmente a cuore, è quello della spontaneità. Un primo livello di questo problema si può esprimere in questi termini: la psicoterapia, intesa nel senso più ampio, è un'arte e non una scienza. Ciò significa che non la si può imparare: o sono uno psicoterapeuta o non lo sono, anche se naturalmente è sempre possibile affinare le proprie capacità. Nessuno penserebbe mai che un grande musicista sia diventato tale solo perché ha studiato musica. Egli è un grande musicista perché ha perfezionato un'attitudine interiore. C'è da dire però che in una certa misura il successo, in qualsiasi attività umana, è sempre legato all'utilizzazione di un'attitudine naturale. Ciò è particolarmente vero per la psicoterapia.
Ci sono individui che sin da piccoli sanno trattare gli altri, hanno un modo e una capacità relazionale che permette loro di entrare in contatto con le persone senza che queste si sentano ferite, distrutte o massacrate. Detto questo è ovvio che lo psicologo è tale perché studia delle cose; ma il momento terapeutico è formato da tante e tante di quelle variabili che, pur avendo in mente un costrutto, si deve essere capaci di intervenire in maniera originale. Questo significa che lo psicoterapeuta deve essere capace di vivere in maniera originale qualsiasi rapporto, e quanto più ogni rapporto acquista la sua originalità, tanto più si è vicini alla guarigione. L'altro non può guarire se si sente compreso con categorie altrui, poiché è proprio questa la causa della sua sofferenza, il sentirsi inquadrato in un sistema che gli è estraneo. Occorre dunque liberarlo da questo incapsulamento e ciò è possibile solo trovando, insieme a lui, un involucro originale: torniamo qui al problema del tele e del transfert. Quindi questo modo di essere "unici" è fondamentale.
Originale però non significa incompetente. La gente non sa che Jung lesse a ventidue anni i cinquanta grossi volumi di tutta la psichiatria contemporanea, o che Einstein, nel periodo in cui lavorava come impiegato aveva letto tutti gli annali di fisica.
Si può essere originali solo a patto di conoscere tutto, perché se non si conosce la storia non si può fare altro che ripeterla. I "ciarlatani" sono proprio coloro che non fanno altro che scoprire cose che sono state già dette trecento anni prima. Gli psichiatri che fanno i filosofi, per esempio, fanno rabbrividire di vergogna, poiché dicono male quello che Fiatone e Aristotele hanno detto benissimo duemilacinquecento anni fa.
Un altro problema riguarda l'acting out che per Moreno è terapeutico in psicodramma. Che cos'è l'acting out? Da un punto di vista psicoanalitico si può dire che l'importante è ricordare e non agire. Però, e qui mi trovo d'accordo con Moreno, se l'acting out manifesta ciò che si muove all'interno del paziente, allora questo agire è comunque una comunicazione che fornisce allo psicoanalista ulteriori elementi per la comprensione del paziente. Io penso che Freud non abbia colto il vero significato dell'acting out, perché era spaventato dall'intensità delle cariche libidiche che si attivano nel setting e che sono naturalmente rivolte verso la persona dell'analista; egli temeva dunque la messa in atto di impulsi erotici da cui si difendeva con il riferimento immediato di tali desideri alla storia passata del paziente.
Ma i nostri pazienti sono inconsci ed è per questo che agiscono invece di ricordare: il poter ricordare è già segno di guarigione.
SUMMARY
Personality and Psychodrama
The Author analyses the personality and work of Pirandello from a Junghian point of view. The Author explains why Pirandello's Six Characters in Search of an Author was staged in Rome and Moreno's Das Stegretftheater opened in Vienna, in the same year: 1921. Finally the ideas of "tele" and "spontaneity" are drawn nearer to the Junghian conception on transfert/countertransfert dialectic.