AFFETTI ED EFFETTI SPECIALI intervista a Bernardo Bertolucci a cura di Fabio Bonvicini
Quando il maestro Bertolucci mi ha accolto nella sua grande casa di via Lungara a Roma, ho notato che indossava una maglietta di Mars Attacks e il mio imbarazzo di fronte a un regista da premio Oscar è subito scomparso. Passando con leggerezza dalla psicoanalisi al buddismo, l'incontro con Bertolucci mi ha fatto capire che c'è qualcosa di più importate della tecnica quando si parla di 3D e di effetti speciali. Creando mondi paralleli e virtuali creiamo quello che siamo.
Per cominciare, l'ho invitato a rievocare le circostanze e i modi in cui fu realizzata la famosa sequenza del confronto tra Buddha e Mara ne "Il Piccolo Buddha".
Intanto vediamo perché abbiamo deciso di utilizzare questa tecnologia digitale. C'è un momento nella storia di Siddharta, quando sta per avvenire l'illuminazione, che mi chiedevo da tempo come risolvere. Finalmente ho fatto una specie di scoperta. Mi sono detto: «Guarda, l'illuminazione è proprio l'invenzione degli effetti speciali, nel modo in cui la racconta Asvaghosa, che è Buddhacarita, negli atti di Buddha pubblicati in Italia da Adelphi»1. Lui racconta l'illuminazione in un modo che non è altro che un effetto speciale. Quindi abbiamo prima le immagini di Siddharta che sta meditando, poi le immagini di queste bellissime fanciulle che vengono davanti a lui per cercare di attrarlo e di sedurlo, e non arrivano a niente. Infine da queste fanciulle scopriamo che in realtà la matrice di quello che sta accadendo è Mara, e Mara è la divinità del male. Mara attacca Siddharta in diversi modi, prima come abbiamo detto con la bellezza e poi con delle vere e proprie armate di mostri, come un esercito. E poi alla fine c'è l'ultimo scontro. Tutto questo non si poteva fare che con gli effetti speciali. Io ero profano di queste tecniche e quindi ho chiesto aiuto al supervisore degli effetti speciali, Richard Conway, un inglese che aveva già fatto Brazil e, qui a Roma e Le avventure del barone di Munchausen. Un uomo di grande talento. Abbiamo girato solo una parte della scena a Pinewood perché in realtà il film è stato girato in momenti diversi. Alcune scene, come quella delle frecce di fuoco, sono state girate da un'altra unità in Nepal. La seconda unità la dirigeva mio fratello Giuseppe in quel momento. Ed erano, credo, non più di trenta soldati dopodiché con la moltiplicazione dei pesci e del pane che si fa col digitale sono diventati centinaia e centinaia di figure. Poi arrivavano le palle di fuoco, anche quelle fatte in digitale. Il lavoro insomma è stato fatto un po' in Nepal, un po' in laboratorio a Londra e un po' a Pinewood. Ora ti dico cosa abbiamo fatto a Pinewood e ti spiego anche perché abbiamo usato il teatro di posa. Alla fine di questo scontro, riflettevo con il rimpoche, il mio esperto lama molto importante, giovane...
Era presente anche nel film?
Sì, anche nel film è presente il suo viso quando il lama Norbu sta morendo e il papà del bambino è lì che lo guarda morire, e arriva un giovane monaco che gli dice come avviene in genere il trapasso di un lama.
E su cosa riflettevate?
Parlando con il rimpoche gli chiesi: «Cos'è veramente per te il male?». Il rimpoche ci penso un po' e poi mi disse: «II male secondo me è rappresentato dall'ego. L'ego è il nostro vero nemico». L'io che soprattutto in occidente è così sviluppato perché in oriente c'è più un'abitudine al collettivismo, c'è molto meno individualismo. E allora io ho pensato che l'ultimo scontro, dopo le ragazze, dopo l'esercito con le frecce di fuoco, dopo le palle di fiamma ecc., l'ultimo scontro dovesse svolgersi con Mara direttamente. Ho pensato all'ego e ho pensato che Siddharta si guarda in questo piccolo specchio d'acqua, questa pozzanghera e vede sé stesso riflesso, e vede come il segno della sua immagine gli fa di essere tirata fuori, mette la mano e toglie, e vediamo che Siddharta tira su dal riflesso sé stesso che si materializza in tre dimensioni. Allora per visualizzare quest'immagine di doppio ho prima girato Siddharta che si affaccia sulla pozzanghera, allunga la mano, con un certo movimento di macchina e poi ho girato Siddharta che usciva. Tutto questo si fa con un sistema di macchina da presa che tu conosci: Motion Control Camera. Le due inquadrature, prima di Siddharta che si abbassa e poi di Siddharta doppio che viene fuori dall'acqua, erano fatte con lo stesso movimento di macchina per cui utilizzando la Motion Control Camera avevamo delle sequenze con movimenti perfettamente identici nello spazio. Infatti poi è venuto tutto molto bene perché abbiamo messo prima Siddharta a guardare, poi Siddharta riflesso che vien fuori, poi la pozza d'acqua. Poi quando Siddharta è uscito fuori, l'ego, c'è un morphing e Siddharta diventa quest'immagine invece di questa divinità del male, Mara. E Siddharta, guardando il proprio ego, gli dice questa frase misteriosissima che poi abbiamo capito: «Architetto, questa volta non riuscirai più a ricostruire la tua casa». Ed è la frase che Siddharta dice al suo ego e che significa questo: ''caro ego, ti ho sconfitto e questa volta non riuscirai più a farmi vivere secondo le tue regole, perché Siddharta illuminato ha raggiunto il Nirvana e nel Nirvana non c'è più ego''.
Si ha la sensazione che questo film abbia cambiato il suo modo di vedere il cinema e la realtà perché nelle sue opere successive è evidente una rierca dell'assoluto. Ad esempio, penso a L'assedio.
Il Piccolo Buddha è stato un'esperienza di frequentazione, quasi di convivenza, coabitazione con personalità come quella del rimpoche che hanno avuto un grosso peso sul mio modo di lavorare e su certe aspirazioni. Perciò quando dici assoluto è vero. C'è come una ricerca più mirata, più messa a fuoco. Sicuramente un'esperienza più forte di molte altre. Non ho mai pensato che questo film mi abbia fatto diventare buddhista: ho sempre detto di sentirmi un buddhista dilettante, un amateur. Perché anche come neofita, il buddhismo è così ricco, e oltretutto viviamo in un momento in cui è possibile trovare una serie infinita di collegamenti tra la visione buddhista della vita e tante scoperte recenti della scienza e della cultura. Ad esempio, io che sono affezionato al pensiero di Freud, vedo un legame stretto tra Freud e il buddhismo.
Più che tra Jung e il buddhismo?
Il legame con Jung è solo più apparente, perché Jung ha fatto una specie di trasumanazione in Oriente e si è come reincarnato in un orientale. Io però sono sempre stato maggiormente affezionato a Freud. A mio parere, anche se Jung è interessantissimo, Freud dal punto di vista terapeutico è più efficace. E poi comunque Jung viene da Freud.
A proposito di Freud, mi viene in mente ''Io ti salverò'' di Hitchcock con la famosa scena del sogno creata da Salvador Dali. Secondo Lei, oggi Hitchcock, per girarla, avrebbe utilizzato delle tecniche di animazione 3D?
Il 3D è una delle tecnologie espresse dal nostro tempo. Ai tempi di ''lo ti salverò'' non potevano esistere le tecnologie con cui sono stati fatti i film della serie di Harry Potter o Titanic. È difficile immaginare ai tempi di Hitchcock: le tecnologie sono in armonia con il loro tempo. Il viaggio sulla luna di Méliès con l'astronave, il missile che arriva dentro l'occhio della luna e le ballerine erano giusti per quei tempi lì. Se penso a un film di Hitchcock, penso a Nodo alla gola, fatto tutto in piani sequenza girati in tempo reale. Tutte inquadrature di dieci minuti dal pomeriggio fino al calare della sera, beh era bellissimo così. Quello era il tipo di effetto speciale che si faceva a quei tempi. C'è questo grande artista, credo si chiamasse Whitlock 2, che ha fatto le scene per Marnie. Anche lì c'è un porto che si vede quando Marnie viene portata da Sean Connery nella casa dove lei da bambina ha visto sua madre uccidere un marinaio.
A quel punto del film c’è un vero e proprio psicodramma con tanto di ricordo del trauma, di catarsi!
Sì. Marnie regredisce e fa la voce da bambina quando vede il rosso del sangue... In quel punto del film si vede quanto Hitchcock amasse certi fondali, come quello del porto, che erano animati. Per esempio, in Nodo alla gola si vede il tempo che passa, dalla luce del pomeriggio a quelle della notte. Ogni tanto ci sono persino dei gabbiani che volano e rendono quest'immagine molto bella. Non voleva essere realistico. Si vedeva che era un fondale ma aveva della poesia. Un po' dell'effetto speciale semplice. Infatti in Piccolo Buddha, proprio perché sapevo che avrei avuto questa sequenza digitale, ho fatto dei disegni. Questa è l'unica sequenza per cui io abbia fatto uno storyboard. Io odio gli storyboard.
Mai fatti storyborad, davvero?
No. Io sono nemico degli storyboard, perché il film diventa un'illustrazione dì quattro vignette e io invece improvviso molto. Comunque lì ci voleva. Diversamente non sarei mai riuscito a pianificare il lavoro che dovevamo fare. Invece con lo storyboard l'abbiamo programmato e mi sono anche divertito, perché per me era una novità.
In un'intervista, Lei ha detto che con mezzi avanzati intendeva evocare il sapore del cinema antico e non semplicemente sbalordire il pubblico.
Infatti per questo film ho voluto dei momenti di special effects all'antica. Quelli che si fanno sul set e sono i più poetici. Per esempio il piccolo Siddharta nasce, la madre Maya lo partorisce stando appesa a un albero che si piega; subito il bambino parla e cammina. Noi abbiamo fatto il bambino che cammina e a ogni passo sbucavano fuori dei loti dalla sabbia. Cosa molto importante perché in qualche modo mi bilanciava l'alta tecnologia della scena dell'illuminazione. Perché quelli lì erano proprio gli effetti speciali all'antica, quelli che si facevano con i colpi in arrivo e in partenza. A ogni passo c'era un certo incantamento.
Qual è stata l'influenza di Storaro in tutto questo?
Naturalmente un certo tipo di illuminazione aveva la sua importanza. Ma entrambi ci siamo lasciati guidare dal direttore degli effetti speciali.
Lei userebbe attori digitali al posto di attori veri, come sembra ormai possibile stando alle ultime sperimentazioni?
Certo, c'è sempre una specie di fascinazione nell'inventarsi dei piccoli Frankenstein, delle creature. Invece di essere l'attore, Boris Karloff sarebbe un essere virtuale. Potrebbe essere interessante porsi il problema. È un po' come trovarsi con una persona clonata. Qual è il modo di porsi di fronte a questo tipo di razza e soprattutto, qual è il modo in cui questa razza vede noi? Questo è un nuovo gender: dopo l'uomo e la donna c'è il clone. Tra queste creature ci può essere un Pinocchio o i fratelli Karamazov: infinite possibilità.
Il procedimento prevede di catturare i movimenti dalle persone reali per trasferirli al modello tridimensionale. Un procedimento del genere sembra agli antipodi di un cinema come il Suo, che valorizza molto l'espressività del volto dell'attore anche in silenzio.
Guarda, una volta De Sica mi propose di fare una parte ne II giardino dei Finzi Contini e io mi schernivo. Alla fine lui mi disse: «Insomma Bernardo, perché no? Lo sanno tutti che io so far recitare pure le pietre». Quindi è un po' questo: la sfida di far recitare una pietra. E poi io non credo che dietro la conchiglia di questo viso ci possa essere davvero qualcuno che ha dato la propria espressività. Credo che comunque il modello avrà una sua propria espressività, forse nella non espressività. Quello che mi interessa è proprio l'imprevedibilità che sfugge al controllo del dottor Frankenstein.
Lei crede che le nuove tecnologie digitali porteranno a nuove forme di espressione, al di là del cinema come lo conosciamo?
Per fortuna il cinema si sta trasformando. C'è una grande mutazione e io ne sono molto eccitato. Ogni volta che il cinema è cambiato, per esempio dal muto al sonoro o dal bianco e nero al colore o adesso coi nuovi linguaggi, ogni volta ha ripreso il fiato ed è ripartito per itinerari imprevedibili.
A cosa sta lavorando?
Sto lavorando a un film di dieci minuti che è stato fatto nel modo più primitivo possibile, in bianco e nero. Fa parte di un film a episodi e si chiama Ten Minutes OIder, prodotto da inglesi. Con me ci sono nomi interessanti: Wim Wenders, Almodóvar, Jarmusch, Spike Lee, Kiarostami... Il film andrà a Cannes o a Venezia. Poi ho un film da fare questa primavera in cui ci saranno spezzoni di film degli anni '60 e un uso di tecnologie avanzate.
note
1 Asvaghosa, Le gesta del Buddha (Bubbhacarita), canti I-XIV, Adelphi, Milano
1979.
2 I pictorìai designs di Marnie furono appunto realizzati da Alfred Whitlock.