LO SGUARDO (TRA PSICOANALISI E PSICODRAMMA) di Gennie Lemoine
La linea di demarcazione tra lo psicodramma e l'analisi, linea che separa queste due terapie assegnando ad esse i versanti opposti di una stessa dottrina (versanti opposti in senso geografico e non contraddittori) tale linea, dicevamo, passa certamente per lo sguardo.Quanto si può guardare nello psicodramma! Quanto si può consumare con lo sguardo e quanto si può godere! Che ne è allora della frustrazione?
E' innegabile che si guardi. D'altra parte il fenomeno si traduce nella configurazione stessa dell'apparato analitico e di quello psicodrammatico. La poltrona dell'analista è disposta in modo tale che l'analizzante, dal suo divano non possa vedere l'analista che invece lo vede. Asimmetria essenziale nella quale si verifica l'impossibile incontro.
Invece i partecipanti ad un gruppo di psicodramma o semplicemente ad un gruppo, assumono spontaneamente la figura del cerchio. Come tutti i circoli questo diventa rapidamente vizioso se tutti gli sguardi vi si incrociano.
In verità i terapeuti non stanno nel gruppo di psicodramma ma al suo limite, né dentro né fuori. E' proprio questa posizione al limite che definisce la loro funzione: se si lasciassero assorbire dal gruppo questo non esisterebbe più ma darebbe luogo ad un agglomerato indefinito di persone. In altre parole, non vi sarebbe più un insieme.
Non vi è dubbio, tuttavia, che queste configurazioni hanno entrambe un senso. Si sa che il soggetto in analisi, non ricevendo più la propria immagine dallo sguardo dell'analista poiché non lo vede (e qui già si osserva la legge di ciò che si può chiamare transitività dello sguardo : chi guarda chi? e chi vede chi?), l'analizzante, dicevamo, è ridotto a dimenticarsi come Io immaginario ed è ridotto contemporaneamente, se non vuoi scomparire del tutto, allo sforzo di recuperare se stesso come eventuale soggetto; egli avrà almeno rinunciato alle proprie coperture, cioè alle proprie costruzioni immaginarie difensive e ciò in ragione della stessa posizione di partenza, fin dall'inizio. Pertanto tale posizione ingenera l'angoscia. L'analizzante in difficoltà si appella alla persona dalla quale si aspetta da sempre soccorso e la quale, per questa ragione, domina e pesa sulla sua vita libidica: ad esempio un padre. Questa persona, nella situazione presente, viene come per miracolo confusa con la persona dell'analista. Si tratta del transfert. L'analista può quindi interpretare molto presto ciò che dice l'analizzante nel transfert pur astenendosi dal dare questa interpretazione. Il processo analitico è in ogni caso precisato. Certo, esso era iniziato dal momento in cui una domanda era stata fatta. Ma il dispositivo preparato dall'analista al momento opportuno e l'orientamento di questo dispositivo mantengono la domanda, la precisano e la rinforzano.
Cosa avviene nello psicodramma? Diremo anche noi - come ci si perita di dire - che i partecipanti e i terapeuti, legati dallo sguardo, restano sul piano dell'immaginario, del doppio, del circolo e della ripetizione? In altre parole che in queste condizioni l'analisi non è possibile ma che vi è soltanto adattamento all'ambiente; che si tratta di una tecnica propria a sviluppare l'attitudine dell'individuo al funzionamento dell'identificazione allo specchio, vera e propria lebbra sociale? In effetti noi pretendiamo il contrario.
Lo psicodramma, come noi lo intendiamo, ha il fine di abituare l'individuo alla difficile pratica dell' intersoggettività, parola in cui il prefisso è altrettanto importante della radice inter: ciò che vi è tra io (Je) e l'altro.
L'identificazione nello specchio, questa lebbra, è effettivamente il principio stesso di tutte le terapie di gruppo dalle quali l'analisi è esclusa; esclusa deliberatamente, infatti questi gruppi costituiscono un modo di evitare l'analisi. Da ciò la nostra insistenza a introdurre l'analisi nella nostra pratica col risultato che la maggior parte dei nostri terapeuti sono in analisi quando poi non sono degli analisti.
La nostra stessa pratica però, la nostra tecnica, così come la nostra teoria, sono analitiche nella concezione stessa che ne abbiamo, indipendentemente dal fatto che i terapeuti abbiano essi stessi o no, in più, un'esperienza strettamente analitica.
I terapeuti, abbiamo detto, sono posti al limite tra l'esterno e l'interno, né dentro, né fuori. Il risultato immediato è che i partecipanti non possono guardarli o rivolgersi loro se non passando sopra la testa degli altri; cioè sopprimendo il gruppo. E non è poi la forma di resistenza più comune quella che consiste nel non voler riconoscere altri che i terapeuti? Pertanto, se per caso i terapeuti accettano l'imbroglio, non vi è più alcun lavoro di gruppo possibile. Fortunatamente gli altri, gli emancipati, non lasciano instaurare questo legame abusivo e dissolvente.
Neanche i terapeuti, beninteso. L'insieme dei partecipanti però, a parte i terapeuti, non costituisce un gruppo, un circolo?
Sarebbe come prendere il gruppo ad un momento della sua evoluzione, come se ci fosse un'evoluzione, in cui il gioco di specchi e le concatenazioni d'identificazione giocano in pieno. Ma non vi è evoluzione del gruppo in tal senso né in un altro, nello psicodramma. Il gruppo di psicodramma non inizia e non finisce. Esso è aperto. Si presenta in modo massiccio a ciascuno dei partecipanti nel momento in cui questi entrano nel gruppo come il neonato sbuca nel mondo all'uscita dal ventre materno, poiché infatti (e ciò è particolarmente vero per i più fobici e i più angosciati )egli vi cade e si tratta piuttosto di un buco che non di un cerchio. Certo ci si parla, ci si guarda, ci si muove; ma per il nuovo arrivato così come per il neonato, rumori e colori non sono altro che ferite, all'inizio. Insisto su questo nuovo arrivato - neonato, perché ogni partecipante è stato ricevuto nel gruppo di psicodramma come il bambino nel cerchio della famiglia preesistente, in ciò almeno, che il gruppo è sempre anziano per il nuovo arrivato poiché ogni gruppo è permanente e aperto; e se vi sono dei gemelli essi non sanno di esserlo.
Così non si tratta di parlare nel senso sociale del termine. Prima ragione evidente: non c'è un referente comune, il discorso di ognuno è chiuso sulla sua storia privata. Colpisce a quale punto di non intellegibilità possa arrivare questo discorso privato e le risposte che esso suscita comunque. Ah, certo non è questione di comprensione. Allorché, per la forza dei fatti, la realtà fa intrusione nel gruppo, come durante il maggio '68 quando tutti parlavano della stessa cosa (e vi era dunque un referente comune), il lavoro di psicodramma diviene, per questa ragione, impossibile. Il referente comune fa tacere qualsiasi discorso idiomatico e quindi arresta qualsiasi lavoro analitico e d'altra parte, introducendo il reale, fa delirare i più colpiti.
Ma al contrario, quando, secondo la regola, ogni referente viene scartato (ricordo che gli accessori non sono ammessi nei giochi durante lo psicodramma) il partecipante ha la sensazione di cadere non in un cerchio ma, come ho già detto, in un buco. E' la situazione analitica per eccellenza. Inoltre il senso di sgomento del partecipante al gruppo è maggiore di quello di chi è in analisi.
In analisi la domanda e quindi il transfert che vi si è annodato, legano l'analizzante all'analista, il soggetto non è quindi nello sgomento totale. Non ancora. Invece la domanda di entrare in psicodramma è più facile ma questa stessa facilità lascia il nuovo arrivato senza aiuti. Inoltre il transfert, portato dal momento di questa domanda sul terapeuta psicodrammatista viene velocemente diluito o diviso nel gruppo e diviene quindi meno operante. Nel suo sgomento il nuovo arrivato ha allora un forte moto di regressione verso il ventre materno (come si dice) che diventa il gruppo nel suo insieme. Ma i partecipanti non sono in posizione di terapeuti, anche se a volte lo sono effettivamente, ed il transfert sul gruppo non è del tutto rassicurante. Il lavoro di gruppo è quindi arduo sin dall'inizio; nessun compiacimento, nessun piacere; fastidio e sofferenza, piuttosto tanto più che persone che difficilmente possono formulare una domanda di analisi possono entrare invece in psicodramma, dove la domanda come abbiamo già detto, è recepita in modo più ampio. Essendo il gruppo eterogeneo, la differenza tra i diversi discorsi idiomatici è senza limiti. Il sentimento più all'ordine del giorno è l'imbarazzo ed è un imbarazzo che dura.
Non bisogna confondere gli effetti dello specchio e d'identificazione che producono le forze reattive, diremmo parafrasando Nietzsche, con la forza attiva che fa sì che un uomo o una donna si gettino in questo buco che è il gruppo. E, sempre seguendo Nietzsche, possiamo dire che la forza attiva è libera, un lancio di dadi gettati a caso, mentre le forze reattive sono colpite dalla necessità, appena les jeux sont faits. Ciò è proprio della ripetizione. Ma la configurazione del gruppo non è responsabile di quest'altalena tra libertà e ripetizione. Si tratta di una genealogia che chiameremmo, oggi, strutturale. Questa forza che fa sì che si giochi, ma fa anche in modo che il gioco sia poi giocato. Senza dubbio perché non sarebbe in grado di essere totalmente libero. Un gioco perfetto non si ripeterebbe.
Mi sembra che, senza forzare il testo di Nietzsche né quello di Gilles Deleuze (1) si possa mettere la parola desiderio al posto di quella di forza attiva, o volontà di potenza, benché Deleuze non lo faccia. Ecco comunque, quanto egli scrive a pagina 75: "La malattia ... mi separa da ciò che posso: forza reattiva, essa mi rende reattivo, restringe le mie possibilità e mi condanna ad un ambiente diminuito al quale non posso più adattarmi. Ma in un'altra maniera essa mi rivela una nuova potenza, mi dota di nuova volontà che posso far mia andando fino al limite di uno strano potere" (2). L'uomo è malato per definizione; al limite la forza puramente attiva sarebbe propria del superuomo. Così per il prete, e questo è un passo da Nietzsche: "Bisogna che sia lui stesso malato, bisogna che sia intimamente affiliato ai malati, ai diseredati per poterli intendere ... ma bisogna pure che sia forte ... incrollabile soprattutto nella sua volontà di potenza al fine di avere la fiducia dei malati e di esserne temuto ...". Basta cambiare volontà di potenza con desiderio per definire lo psicanalista (analista o psicodrammatista). D'altra parte si tratta del prete o del medico in questo testo? Non sono andata a controllare.
Ciò che è sicuro è che lo psicodramma, a causa della sua stessa configurazione e della sua tecnica, è il luogo stesso della partita a dadi del gioco, detto da noi drammatico, ma che potrebbe essere definito, alla maniera di Nietzsche "tragico".
Il gioco è angoscioso, nessuno sa cosa ne uscirà. Il gioco non è chiuso in partenza.
Lo psicodramma ha la sua virtù già tutta intera nel suo principio e l'essenziale del lavoro analitico nello psicodramma consiste nel salto iniziale e nella mano di dadi del gioco. Ha dunque la sua originalità e la sua virtù. Al contrario, la labilità e la frammentazione del transfert lo rendono poco appropriato al lavoro analitico così come si fa nell'analisi. Si raggiungono l'uno e l'altro nel desiderio del soggetto di far sentire il proprio idioma, nella sua differenza, ciò che si chiama parlare. Ma l'affermazione paranoica del desiderio, a cui somiglia molto la volontà di potenza nietzschiana porta alla follia e non al reale. E' anche vero che Nietzsche resta al di qua di questo limite. Resta però che, perché si apra il registro simbolico, quando si affrontano due desideri differenti, bisogna che si produca qualcosa che sia dell'ordine del cambio di forma. Coloro che hanno letto Lo Psicodramma (3) si ricorderanno forse di un capitolo nel quale viene descritta una seduta dove si opera questo cambio in favore di un gioco; vi si parla di un sogno in cui si affacciava un desiderio di padre o di essere padre, e della sua attualizzazione nel gruppo. Senza questa attualizzazione attraverso la quale l'altro si trova implicato (preso nel gioco), non vi sarà simbolizzazione, né accesso all'altro, né accesso al reale. Ora, questo processo di attualizzazione è un processo strettamente analitico in cui si verifica la legge della castrazione. Niente desiderio unico totale, quindi, ma un possibile godimento nel riconoscimento di un altro desiderio e perciò del proprio desiderio.
Leggendo Nietzsche con maggior attenzione si può notare che la sua volontà di potenza non potrebbe essere ridotta al desiderio paranoico e che essa comporta la sua stessa barra. Ma il nostro intento non è di mostrare ciò che Nietzsche ha di preanalitico. Questo confronto con Nietzsche mostra che lo psicodramma, per ciò che mette in gioco di casualità e di forze molteplici, cioè di desideri molteplici e differenti, fa giocare in questo modo la legge del desiderio e della castrazione, cioè la legge stessa dell'inconscio. Esso è quindi analitico nel suo stesso principio.
(Trad. di Stefano Del Re)
(1) Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, P.U.F.
(2) Sottolineato nel testo di Nietzsche.
(3) Gennie e Paul Lemoine, Le psychodrame. Laffont, Paris, 1972. (Trad. it. Lo psicodramma, Feltrinelli Milano, 1973).
RIASSUNTO / SUMMARY / RESUMÉ / ZUSAMMENFASSUNG
Glances
The author claims that the element of sight is that which distinguishes psychodrama from psychoanalysis; in the latter the patient cannot draw his own image from the analysts glance and is thus forced to renounce to his imaginary identity. The Author however denies that in the analytic psychodrama either therapists or participants are confined to the level of the imaginary, of specular identification and repetition. On the contrary, the bewilderment experienced by the individual who enters the psychodramatic group (in which transfert is diluted among all participants) may even be greater than the one experienced in the course of psychoanalysis, where transfert creates a bond between patient and analyst. Indeed, rather than to a reassuring maternal circle the psychoanalytic group may be compared to a hole similar to that into which the newborn falls on his emerging from his mother's womb: a world in which every color and sound represents a wound. There must not be any common referent and no external reality must enter the psychodramatic group in order to permit analytic work. Lastly, a reference is made to Nietzsche by showing how psychodrama, due to the many forces it haphazardly frees, activates the law of desire and castration, that is the very law of the unconscious. Therefore psychodrama is analytic in its very premises.
Le regard
L'A. affìrme que la présence du regard est l'élément qui différencie le psychodrame de la psychafialyse dans laquelle le patient, qui ne peut pas recevoir sa propre image du regard de l'analyste, doit renoncer a son identité imaginaire. Toutefois, dans le psychodrame analytique, participants et thérapeutes ne sont pas rejetés par le regard dans l'imaginaire, dans l'identifìcation et dans la répétition. Au contraire, le désarroi du sujet qui entre dans le groupe de psychodrame (où le transfert est dilué parmi les participants) peut étre méme plus fort que celui qu'on ressent dans l'analyse (là où le transfert relie le patient a l'analyste). En effet, plutòt qu'à un cercle maternel rassurant, le groupe de psychodrame est compare a un trou, semblable a celui dans lequel tombe le nouveau né, a la sortie du ventre maternel; un monde où chaque couleur et chaque son constituent une blessure. En fait, dans le groupe de psychodrame il n'y a pas de référent commun ni d'entrée dans le réel pour que le travaii analytique soit possible. En conclusion l'A. se réfère a Nietzsche en montrant comment le psychodrame, par le hasard et la multicplicité des forces qu'il libere, met en jeu la loi du désir et de la castration, a savoir la loi méme de l'inconscient et qu'il est donc analytique dans son principe méme.
Der Blick
Der Autor vertritt die Meinung, dass die Gegenwart des Blickes, das Element ist, welches das Psychodramma von der Psychoanalyse unterscheidet, da der Patient keine Moeglichkeit hat, sich aus dem Blick des Analytikers ein persoenliches Bild zu machen und er auf die immaginaere Identitaet von sich verzichten muss. Es wird jedoch ausgeschlossen, dass im analytischen Psychodramma die Teilnehmer und Therapeuten auf der Eben der Vorstellung der beobachtenden Identifìkation oder der Wiederholung dem Blick ausweichen koennen. Im Gegenteil, der Schreck des Neulings, der in eine Gruppe des Psychodrammas eintritt (wo die Uebertragung auf mehrere Teilnehmer verteilt ist) kann viel staerker sein, als der, den er in der Psychoanalyse erfaehrt, in der die Uebertragung den Patienten an den Analytiker bindet. Tatsaech-lich, mehr als mit einem gesicherten muetterlichen Kreis, ist die Gruppe des Psychodrammas mit einem Loch zu vergleichen, das jenem gleicht, in welches das Neugeborene, beim Ausgang aus dem Mutterleib faellt, in d.h. eine Welt, wo jede Farbe, jeder Laut eine Verletzung ist. Die Gruppe des Psychodrammas darf eben keine Bezugspunkte zum wirklichen Leben haben, wenn die analytische Arbeit moeglich sein soli. Zum Schluss bezieht man sich auf Nietzsche, um zu zeigen, wie im Psychodramma, per Zufall und durch die Vielfalt der freiwerdenden Kraefte - das Gesetz des Wunsches und der Kastration ins Spiel gebracht werden, eben jenes Gesetztes des Unterbewustseins, das folglich nach dem gleichen Prinzip analytisch ist.
La mirada
El autor sostiene que la presencia de la mirada es el elemento que diferencia el sicodrama del sicoanàlisis, donde el paciente no pudiendo recibir de la mirada del analista la propria imagen està obligado a renunciar a su propria identidad imaginaria. Se rechaza, sin embargo, que en el sicodrama analitico los participantes y los terapeutas queden relegados por la mirada en el plano de lo imaginario, de la identifìcación y de la répetición. Por el contrario, el temor que experimenta el sujeto que entra en el grupo de sicodrama (donde el transfert se encuentra diluido entre los diversos participantes) puede ser aùn mayor a aquel experimentado en el sicoanàlisis, donde el transfert une el pacient al analista. En efecto, mas que un circulo materno protector, el grupo de sicodrama es comparado a un hueco semejante al que el recién nacido encuentra a la salida del vientre materno, un mundo donde cada color y sonido es una herida. En el grupo de sicodrama, en efecto, se deben evitar los referentes comunes el acceso de la realidad, de modo que sea posible el trabajo analitico. Finalmente, se hace referencia a Nietzsche al mostrarse como el sicodrama, por la casualidad y la multiplicidad de las fuerzas que libera, pone en juego las leyes del desco y de la castración, es decir, la ley misma del inconsciente y como es analitico, por lo tanto, en su mismo principio.