Intervista di Diana Botti - Presidente AIPsiM (Gennaio 2019)
AIPsiM – Associazione Italiana Psicodrammatisti Moreniani
Presenta
INTERVISTA A OTTAVIO ROSATI
di Diana Botti
Roma, 22 gennaio 2019
Intervista a Ottavio Rosati, psicoanalista e regista, uno dei pionieri e studiosi italiani dello psicodramma e dello psico-cinema preconizzato da Jacob Levi Moreno nel 1946.
Come regista di psicoplay, dirige a Roma la scuola di formazione iPOD. Dal 1975 lavora per introdurre in Italia le tecniche attive e il pensiero di Moreno. Si occupa dei rapporti tra psicologia e spettacolo; le sue produzioni si trovano nel profilo su IMDb.
A cura di Diana Botti, Presidente AIPsiM.
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Qual è stata la tua scintilla ispiratrice che ha indirizzato il tuo sguardo verso lo psicodramma? Come sei venuto a conoscenza della sua esistenza?
Al liceo Mamiani di Roma ero il regista della compagnia teatrale ma come attore avevo un problema. Non riuscivo quasi mai a ricordare a memoria la parte. Improvvisavo sul testo come si fa nel jazz. Il che ovviamente mandava ai matti i miei compagni di scena. Finché, una volta che rappresentammo L’Orso di Cecov al Teatro dei Satiri, la ragazza che faceva il ruolo della vedovella mi diede una sberla per la rabbia e scoppiò a piangere. Io recuperai tutto fingendo che fosse parte del testo e alla fine ce la cavammo benissimo. Il giorno dopo a scuola il professore di lettere mi rimproverò: “Ottavio, tu non rispetti il copione. Tu fai uno psicodramma!” Gli domandai: “Cioè?” E lui rispose: “Leggiti Ciascuno a suo modo di Pirandello!”. Io l’avevo già letto insieme alle altre due opere della trilogia del Teatro nel Teatro (Sei personaggi in cerca d’autore e Questa sera si recita a soggetto) senza capirci molto ma restando sconvolto. E in quel momento ebbi una mezza intuizione. Avevo 16 anni. Cercai la parola psicodramma sul dizionario. E cominciai a mettere insieme i vari pezzi… Ero molto eccitato. Direbbe Panksepp che si erano attivati i circuiti neurologici del gioco e della ricerca.
Sentivo che tutto questo mi riguardava. Venti anni dopo, nel 1986, al Carignano di Torino misi in scena (o meglio in azione) “Ciascuno a suo modo” con Zerka Moreno e Dario Fo e Pier Luigi Pirandello col Centro Studi del Teatro Stabile. Naturalmente sempre in chiave di socioplay, e si scatenarono nella città scandali e conflitti, casini e sorprese. Quando una signora psicologa dell’alta borghesia provò a impossessarsi dell’evento con un ricatto, noi psicodrammatisti dicemmo di no e lei bloccò i finanziamenti. Eravamo disperati ma poi una maga torinese mi fece coraggio dicendo: “Andate avanti. Non avete nulla da inchiodare. Tutto da imbastire…” E chiamai da Napoli la banda del Pazzariello per rifare a Torino il ‘Living Newspaper’ di Moreno a Vienna. La banda girò per le strade di Torino gridando a tutti quello che era successo e le porte del Carignano si riaprirono. Il lavoro riprese e noi facemmo tutto senza soldi ma con la simpatia e il sostegno della gente. Il sociodramma iniziò in piazza Carignano poi mi feci dare una sberla sulla porta del teatro da un’attrice che faceva il ruolo della signora di Torino che aveva cercato di fermarci agendo il personaggio che in Ciascuno a suo modo vuole fermare “Pirandello” l’autore della commedia.
Un doppio.
Proprio così: la signora era stata un doppio nella realtà. E io la portai in teatro con un doppio teatrale facendo la catarsi del nostro trauma. La differenza tra realtà e finzione era saltata. Su “La Stampa” scrissero che davanti al teatro c’era tanta gente da riempire la sala due volte. Intervenne anche una dolcissima cartomante. Una storia meravigliosa. C’è tutto sul sito Plays (http://ipod.plays.it/video/la-moreno-per-pirandello). Le foto del pazzariello, di Zerka Moreno, di Pirandello e del giovane Marco Greco a bocca aperta le trovi su una scheda IMDb col titolo La Moreno (che tutti sanno chi è). Questa storia mi ha insegnato che nella vita ci succede di tutto ma la cosa importante è il modo in cui reagiamo. Moreno lo chiamava Spontaneità.
Cosa ti ha maggiormente colpito dell’approccio dello psicodramma?
Quando sono nato mi hanno dato tre nomi di persone della famiglia di mio padre che erano in conflitto tra loro. Uno dei tre era il nome di uno zio che faceva parte delle SS italiane e che aveva tradito mio padre e mio nonno, che erano gli altri due nomi. Ti rendi conto? Pura follia! Mio padre con me è stato un buon padre ma per il suo inconscio io ero un gruppo di ruoli in conflitto tra loro. Un para-psicodramma vivente. Lo compresi con la psicoanalisi, anzi con una serie di psicoanalisi.
Ho letto che la tua psicoanalisi è iniziata quando avevi 18 anni e continua ancora.
Sì, ne ho fatte sette. E li ringrazio tutti. Penso che continuerò per tutta la vita. Anche per ragioni di supervisione.
E lo psicodramma?
Lo psicodramma vero e proprio mi permise di fare la stessa cosa che (come molti psicologi) avevo sempre fatto nella mia famiglia e cioè interpretare i ruoli degli altri ma in condizioni nuove: giocare i ruoli diventava una cosa di lavoro chiara, non una condizione obbligata e inconscia. Facevo anche il direttore e il recensore, non solo l’attore dei giochi. Infine ero chiamato e pagato per farlo. E questo lavoro di rappresentazione poteva anche cambiare le cose in meglio.
Cioè potevi scegliere se farlo o no?
Appunto! Per il conduttore dirigere uno psicodramma è il contrario che metter in scena un suo proprio play. Invece, dal punto di vista del gruppo lo psicodramma è l’essenza stessa del teatro. Per chi vuole esprimere il suo mondo interno col teatro, il video o il cinema, il mestiere di psicodrammatista può anche essere rischioso. In termini taoisti c’è troppo Creativo asservito al Recettivo. Personalmente devo trovare un equilibrio. Aggiungo che, astrologicamente parlando, il mio segno sarebbe Pesci con ascendente Bilancia.
Qual è un ricordo significativo del primo incontro al Beacon Institute?
Beacon era un posto da sogno, un teatro in mezzo a un bosco. Aleggiava un senso di gioia, libertà, magia. Un “paradiso” speciale. Era fuori dal mondo. O meglio quello era il mondo vero e il mondo era fuori da lui. Entrai nel teatro di legno dove Zerka stava parlando a un gruppo di studenti provenienti da tutto il mondo. E lei, dal palco mi disse: “Welcome Ottavio! Come on the stage and do your psychodramatic presentation…” Cioè? Ero sgomento. Ero in panico perché nel training di psicodramma analitico che avevo fatto a Parigi con i Lemoine non esisteva nulla del genere. Salii i tre gradini del palco senza sapere che avrei fatto. Il panico totale. Bianco. Il vuoto… Non c’era un testo. Il testo ero io. Ma chi ero io? Zerka mi teneva per mano e mi rispecchiava al cento per cento. Poi qualcuno/qualcosa in me iniziò a muoversi e parlare. Un pilota automatico. Raccontai che ero nato a Sulmona, un paesino vicino alla Maiella dove nevicava e si facevano i confetti. E cantai una canzone abruzzese: “Vola, vola, vola…” Quando uscimmo dal teatro per andare a cena, nevicava. Era maggio e nevicava. Lo giuro. La sera feci l’amore con uno schianto di psicologa che veniva dall’Argentina. La prima e unica volta che ho fatto sesso in America. Con una ragazza.
E la Pivano?
Non era una ragazza.
E con ragazzi?
Con un ragazzo sì. A Boulder in Colorado: era uno psicologo canadese venuto al Naropa Institute per studiare poesia e meditazione con Allen Ginsberg. Simpatico. Bello. Intelligente. Andavamo a cavallo nei boschi e naturalmente facevamo il bagno nei fiumi. Intanto Fernanda Pivano intervistava per ore i suoi scrittori: Ginsberg, Corso, Ferlinghetti, Le Roy Jones…. Eravamo a Boulder per un documentario sul Naropa prodotto e diretto da Costanzo Allione: Fried Shoes Coocked Diamonds. Al Naropa facevano anche classi di meditazione e psicodramma.
E tu che ci facevi lì?
Il mio ruolo nella troupe tecnica era di macchinista e facchino. Fernanda la ritrovavo in aule piene del fumo di cannabis. Una cosa incredibile: erano tutti strafatti e stesi per terra. Persino Timothy Leary che tenevo d’occhio perché non volevo assolutamente che Fernanda prendesse LSD. Al massimo un joint. Ma questa è un’altra storia.
Sei considerato uno dei principali rappresentanti della diffusione dello psicodramma nella realtà italiana: quale ritieni essere stato il tuo ruolo nel promuovere e sostenere la diffusione dello psicodramma in Italia?
Non spetta a me dirlo. Io lo ho solo fatto. Sul sito plays/ipod c’è la pagina ‘Eventi’ che parte dal 1973. Lì c’è tutto.
Ma le cose principali della tua scuola di Roma?
La rivista “Atti dello psicodramma”, La traduzione dei tre volumi di “Psychodrama” di Moreno, della sua autobiografia e altri libri di allievi (Leutz, Yablonsky, Anzieu…). Poi l’abbiamo portato in radio e televisione. E molto nelle comunità terapeutiche del CeIS (Centro Italiano di Solidarietà, fondato da Don Mario Picchi negli anni '60, che promuove attività e incontri volti a prevenire e contrastare l'esclusione delle persone, NdR) e nei Teatri Stabili di Roma, Milano, Catania, Trieste e soprattutto Torino, con attori come Vittorio Gassman, Milena Vukotic, Alessandro Haber, Leo Gullotta. E usando musiche e scene e quattro video camere. E poi c’è l’uso di IPOV3. E il Teatro in piazza tipo Flash Mob per l’Ordine degli Psicologi del Lazio. E i seminari del grande Antonio Bertoli (l’allievo italiano di Jodorowsky) sull’albero genealogico. Una cosa che sta avendo riscontro è l’invenzione de La Scacchiera, una specie di psicoplay a due, un gioco terapeutico da tavolo… Poi ci sono i Bricconaggi.
Cosa intendi per bricconaggio?
Il bricconaggio, che cumina nel video-bricconaggio, in cui la performance viene messa in rete come un cortometraggio, è un'azione catartica che il paziente/protagonista realizza da solo fuori del gruppo, come nella psicomagia di Jodorowsky. In compagnia solo di un operatore video. Le vittime di un trauma affettivo vivono confuse, tristemente alienate in una dimensione disperata di solitudine, colpa, rabbia e vergogna. Come mostra la letteratura scientifica, le vittime provano la vergogna che non prova il responsabile. Nel bricconaggio finalmente denunciano, raccontano, scagliano uova su fotografie, si sfogano e parlano chiaro. Ci sono molti stili individuali. Alla fine può esserci anche il perdono ma solo dopo la denuncia.
Che scopo ha il bricconaggio?
Lo scopo è di far uscire le vittime di un trauma dalla vergogna e dallo schifo di sé e per il mondo, per entrare nel ruolo di autori della storia. In un certo senso questa liberazione che porta all'amore per se stessi e per gli altri è il discorso di Gesù che si rivolge a tutti tramite gli evangelisti. Il servizio offerto dal terapeuta in un certo senso è come quello di un evangelista che vuole aiutare la persona perseguitata a sentirsi in Grazia di Dio. Scusa il tono magniloquente... ma si tratta di archetipi. Nella pratica se lavori a un bricconaggio lavori come semplice artigiano. Forse ho scelto un nome scherzosoe legato a Pulcinella e Arlecchino per evitare un'inflazione.
Hai anche fatto dei bricconaggi su tue storie personali. Quello de 'I cani dell'acqua marcia' denuncia un doppio tradimento che hai vissuto da parte del tuo ex analista didatta e del ragazzo che gli avevi inviato come paziente. Perché?
I cani dell'acqua marcia è l'outing di un analista molto colto ma impaurito e omofobico, dunque pericoloso o meglio in una condizione pericolosa. Almeno in certi casi. Ma l'outing del cortometraggio è a sua volta il coming out morale di un trauma che, senza una catarsi, si sarebbe trasformato in un complesso autonomo, che Jung definirebbe 'un demone'. Il silenzio e la paura mi avrebbero spinto a ripetere inconsciamente a mia volta l'attacco invidioso a una coppia gay che vive il suo legame alla luce del sole.
Invece quando nasce e come funziona la Scacchiera?
Nasce nel 1986 niente meno che da una torta alle more in bianco e nero (“la torta Morena”) che Fernanda Pivano aveva fatto fare per una nostra festa a Roma in onore della traduzione italiana di Psychodrama. Quella torta di crema e more mi sembrò una scacchiera per via dei due colori. Guardandola mi venne in mente di riempirla di personaggi che si muovevano tra le more che erano i quadrati neri. Più che una tecnica studiata a tavolino, la scacchiera è nata da un momento di Spontaneità in risposta a una crisi: il pensiero vero e proprio sulla Scacchiera venne dopo e continua a venire. Mi spiego. In quel periodo, quando lavoravo come analista, mi sentivo spesso deluso e annoiato dalla comunicazione verbale con i pazienti. Alcune sedute di alcuni soggetti in alcuni momenti le sentivo così noiose e infruttuose, da farmi impazzire. Così misi insieme nello studio un paio di scacchiere e un repertorio di “pupazzetti” di animali, una specie di Arca di Noè. Quando mi sentivo male chiedevo ai pazienti di esprimere il loro discorso inconscio attraverso le immagini, come si fa nella Sandbox di Dora Kalf. Funzionava! Noia e stanchezza scomparivano dal setting nel giro di pochi minuti e la comunicazione tradizionale, combinata al gioco, tornò ad essere stimolante e significativa. Per me e per loro. Un piccolo miracolo!
E cosa hai pubblicato sulla Scacchiera?
Ho scritto diversi articoli corredati di foto che ora sto mettendo insieme per un libro-intervista. Le immagini ovviamente sono fondamentali per raccontare questo metodo. Per saperne di più basta andare sul database del cinema IMDb e cercare la pagina “La Scacchiera”.
E la cosa più originale e importante che hai fatto sul piano dello psicodramma?
Quella che, a ripensarci, mi commuove è la rivista Atti dello psicodramma che realizzammo praticamente senza finanziamenti. Una volta il tipografo mi disse "Facciamo uno scambio. Vammi a recuperare dei crediti da un cliente sulla Tiburtina e siamo pari." Ci andai in bicicletta e il cliente non rispondeva al citofono. Entrai lo stesso. Finito il lavoro, tornai a Trastevere in bicicletta col mio assegno in tasca. Mi ero graffiato arrampicandomi sul cancello. Avevo le scarpe sporche di fango e la camicia rotta e sudata. Ma ero in giacca e cravatta (di Hermes) perché quella sera Fernanda mi portava a cena a casa di Indro Montanelli dove avrei scoperto che sua moglie era "Donna Letizia", la maestra di Bon Ton degli anni Cinquanta. La Pivano mi presentò come critico lirico e Montanelli, a vedermi in quelle condizioni, annuì e disse: Ha mai pensato a fare l'inviato di guerra.
Pur avendo fatto molte analisi...
Sette! E sono ancora in analisi... con Stefano Carta, un uomo, un analista e uno scrittore prezioso. Anzi preziosi!
...hai spesso denunciato i limiti del setting analitico con le sue regole rigide basate sulla privacy e l'astinenza.
Certo, l'analisi ha molti meriti ma non è tutto. Non ha tutto. In mano a personalità prive di talento e coraggio rischia di creare uno spazio inverificabile, noioso e autarchico. Tautologico. Da qui i meriti dello psicodramma che, rivelando la struttura del sistema dietro il soggetto, rende la ricerca più preziosa. Sono nato in una famiglia della buona borghesia normotica che mi ha dato molto ma mi ha anche nascosto lo scheletro di uno zio delle SS italiane dentro l'armadio e mi ha anche detto se tu fossi omosessuale, figlio mio, sarebbe meglio che scomparissi... Quindi io tendo a rivelare tutto a tutti e a parlar chiaro e forte. Pena la noia e la depressione. Ho un'allergia per ogni forma di conformismo e allineamento, anche nel lavoro. Per questo ogni tanto ho e creo qualche problema di vicinato
Recentemente sei stato denunciato all'ordine degli psicologi.
Sì. Per uno psicodramma in situ in cui ero stato esplicito nel manifestare disprezzo nei confronti di un ragazzo bruttino, parassita e odioso che malmenava i genitori e li buttava fuori di casa loro. Naturalmente con la loro responsabilità. Ma leggere la dinamica del suo sfruttamento perverso non mi ha impedito di parlar chiaro a quel mammalucco che insultava tutti. Da qui la sua denuncia. Ho reagito narrando la storia sul web, con delle masherature, e cercando il parere di Umberta Telfener che fece una diagnosi di hikikomori. Questo ha dato coraggio ai genitori che sono usciti dal clima claustrofobico. C'è stato un procedimento disciplinare e i colleghi mi hanno dato ragione e assolto. Faccio una confessione e catarsi: per due mesi ero angosciato in modo persecutorio dall'idea di un processo. Una cosa kafkiana. Cosa vuoi? Siamo fatti così. Mi ero dato una psicomagia alla Jodorowsky: andavo all'alba davanti alla palazzina dell'ordine vicinissima a casa mia e gettavo nel giardino delle caramelle! Archetipo: ciambelle per Cerbero.
Direi che ha funzionato.
Mi chiedo che aveva pensato chi trovava tutte questi bon bon freschi e di qualità mentre parcheggiava la macchina nel giardino.
Le avrà mangiate. In seguito, nel 2017 l’Ordine degli Psicologi del Lazio ti ha invitato a realizzare con la tua scuola una serie di sociodrammi all’aperto intitolata “L’amore in piazza”. So che questo evento ha suscitato polemiche. Perché?
Qualcuno degli psicologi più... in ordine... non era daccordo col fatto che avessi chiamato il Ponentino Trio che è un gruppo di musicisti di strada. Non sembrava decoroso fare psiche giocando per strada, cosa che per noi psicodrammatisti, come sai, è sacrosanta. Qualcun altro aveva obiettato che nelle bibliografie distribuite ai passanti dessimo grande rilievo e importanza ad Alejandro Jodorowsky che personalmente considero un gigante non solo come artista ma anche come terapeuta. C'è stato anche un inconscio sabotaggio nell'ingranaggio perché i collaboratori dell'Ordine hanno stampato le lettere da distribuire ai passanti tagliando lo spazio dove potevano indicare il loro indirizzo per invitarli all'evento finale. A Siena lo stesso format era andato alla perfezione.
E come hai reagito?
Ovviamente ho improvvisato. Ho deciso che tutto sarebbe culminato nel matrimonio di Tinto Brass con Caterina Varzi che aveva fatto con Plays vari psicodrammi. L’anno dopo ho messo in piazza nelle stesse strade di Roma le emozioni di un mio dramma di amore. Ma non l’ho fatto apposta. Era più forte di me. Era un passaggio all’atto on the road, una mezza follia liberatoria. Un po’ scorretto ma molto vitale. Anche comico: una volta una vigilessa, quando seppe di che si trattava mi diede ragione e si fece abbracciare. Poi mi sono calmato e ho portato tutta storia in psicodramma facendo un’inversione del ruolo terapeutico con i miei allievi.
Cioè hai fatto da paziente mentre loro facevano da conduttori. Una self disclosure in gruppo?
Esattamente. Avevo passato una fase schizo-paranoide di gelosia e collera per un amore che mi teneva nascosto a un altro suo amore: nel sistema a triangolo io sapevo di B ma B non doveva sapere di me. Questa situazione aveva scatenato l’emersione di due episodi traumatici degli anni Novanta che avevo mandato giù senza troppe proteste perché i due traditori mi sembravano importanti come personaggi e troppo fragili come persone. E io avevo fatto il Buddha: sforzandomi di capire, perdonare e proteggere. E soprattutto tacere.
È saltato tutto un atomo sociale. Molto Pirandelliano…
L’elaborazione psicodrammatica e analitica e teorica della catarsi “selvaggia” l’abbiamo fatta alla presenza di Maurizio Stupiggia il nostro insegnante del PTSD e di altri insegnanti della scuola. Non avevo altra scelta. In un setting didattico a due ovviamente sarebbe stato impossibile ma in un gruppo di psicologi e con la supervisione di un paio di analisti è stato un esperimento di self disclosure psicodrammatica del tutto nuovo. Dall’Ordine è nato un disordine ma dal disordine è nato un nuovo ordine.
E gli studenti? Come hanno reagito?
Gli studenti erano interessati perché hanno apprezzato la sincerità di Ottavio, il gemello di Rosati. Hanno visto in questa storia cose che io non sarei riuscito a elaborare in analisi. Io ora sto bene e attualmente stiamo analizzando la dinamica nei dettagli. Ci vorrebbe un’intervista solo su questo. Una studentessa gli ha dedicato una tesi di specializzazione in psicodramma ma siamo solo l’inizio. Io ci sto scrivendo sopra una commedia: “La Bimba Atomica”. Anzi "Le Bombe Atomiche".
Ho letto sul sito della tua scuola che il tuo rapporto con l'Ordine degli psicologi del Lazio per "L'amore in piazza" era iniziato per una denuncia a proposito di un tuo psicodramma in situ... dove eri stato molto... attivo?
Più che attivo, reattivo nei confronti di un ragazzo un po' hikikomori, un po' narcisista e sostanzialmente viziato e stronzo che aveva a lungo offeso, maltrattato, picchiato e alla fine buttato fuori di casa i genitori. Fino a prendere a calci il padre mitissimo e succube e a rompergli il ginocchio (gli aveva anche rotto la bicicletta preziosissima). Salvo poi a farsi la plastica agli zigomi coi soldi di mammà. Quando il viziato trentenne ci ha insultato (madre compresa) gli ho risposto gioiosamente per le rime e ad alta voce e quando, sculettando, lui si è chiuso in camera lo ho invitato a uscir fuori... finché lui rispose che non era un mio paziente. Infatti i miei pazienti paganti erano i suoi genitori. Quando il piccolo dittatore che non voleva (e quindi non era) essere paziente gridò "fuori di casa mia!" risposi che non era casa sua. Era casa dei genitori. La Commissione Deontologica mi ha pienamente assolto. Confesso però di aver passato dei momenti kafkiani perché spesso aver ragione è molto pericoloso.
Un po' western?
Molto western. In questo caso mi sono ispirato a Sergio Leone. Non si può vedere e leggere tutto con Freud e le sue regole. Talora mi astengo dall'astinenza. Ma questa è un'altra storia. Lunga, complicata, affascinante. Tutta da scrivere... I membri di un gruppo di psicodramma dovrebbero sottoscrivere un documento (redatto con l'Ordine dgli psicologi) in cui sottoscrivono che non stanno facendo la psicoanalisi dei nipotini di Freud con le sue regole e il suo stile.
E invece cosa è che nel tuo lavoro non sei ancora riuscito a fare?
Due cose. La prima è un Teatro Stabile di psicodramma come quello meraviglioso che ha realizzato Marco Greco a Torino con sua moglie, l’impareggiabile Maria Cristina. A Roma ci lavoriamo da molti anni con la facoltà di Architettura e vogliamo realizzarlo con una struttura pubblica. Il progetto si chiama “Il teatro del tempo” e l’abbiamo inviato alla Regione per la riapertura del vecchio Ospedale Forlanini. Il Teatro di Psicodramma di Roma nasce dall’interazione di Architettura Psicologia e Medina. Nel disegno che ci ha fatto Massimo Giacon questo è chiaro.
Vedo anche una grande farfalla…
La farfalla sta per la leggerezza e l’alleggerimento dei problemi. Comunque uno spazio giusto non sarebbe dentro un ospedale. Lo spazio giusto è un locale dentro il giardino di un ospedale.
Ti puoi spiegare meglio?
Da quasi trenta anni Plays porta avanti il progetto del Teatro di Psicodramma ben attrezzato: luci, suono, mini-camere, regia. Fernanda Pivano, che ha contribuito allo sviluppo dello psicodramma in Italia, mi aveva promesso di collaborare con un lascito di “cento milioni di lire… o la maggior somma”. Alla sua morte, avvenuta a Milano alla Fondazione Benetton, in circostanze per me poco chiare, la lettera del lascito è sparita. Ed è sparito il mio nome dall’indice dei suoi Diari.
Sparito?
Sparito. Assente. Niente di niente. Nonostante i libri, le lettere, gli articoli sugli archivi digitali dei quotidiani. Una Damnatio Memoriae. Di trenta anni? Ho reagito con un PTSD e con la perdita dei miei ricordi. Mi ha salvato il mio analista Stefano Carta. E con Francesco Marzano che, oltre a una bella testa, ha un cuore d’oro, ho creato un archivio di foto, articoli, ricordi, dediche, baci e abbracci e discussioni tra Ottavio e Fernanda. Su questa base ho scritto e messo in rete un ipertesto intitolato “Quattro decenni di Plays con la Pivano e la Von Franz”.
Quando e come ti sei accorto di essere guarito?
Quando ho realizzato e messo in rete il video “Perdo-Nanda Pivano” dove faccio i conti con lei in forma di catarsi psicodrammatica. Dico tutta la verità, la bombardo di uova e fiori e concludo che, tutto sommato, la perdono perché “ci amerò per sempre”.
Ci ameremo? Ho sentito bene?
Esattamente. Ci amerò non ti amerò. Sarebbe stupido da parte mia. La Pivano in una lettera mi ha scritto “Dio Ti Benedica. Sempre”. E io estendo l’augurio anche a lei: God bless us everyone! citando Dickens nel finale di A Christmas Carol. Questo bricconaggio per me è stato il segno della guarigione.
Che intendi per bricconaggio?
Il bricconaggio è una performance con cui una persona triste o in difficoltà può fare una catarsi di integrazione, senza l’aiuto del terapeuta e del gruppo. Il bricconaggio è un atto significativo che diventa un video e va in rete. Una cosa a metà strada tra Moreno e Jodorowsky. Un rimedio artistico. Sul nostro canale Youtube ipodplays abbiamo fatto una playlist di bricconaggi. Spesso li realizzo con l’aiuto dei miei pet, pappagalli e cockers. In uno ci sono Teto e Iside con Valeria Solarino, l’attrice. A un certo punto Iside e la Solarino gareggiano per reclamare l’attenzione del fotografo. Guardare per credere. Alla fine vince la Solarino ma solo perché è più alta.
Parlavamo di due progetti da realizzare. Qual è l’altro?
Dopo aver portato la fiction nello psicodramma, voglio portare lo psicodramma dentro la fiction. Ho già fatto una sceneggiatura sul mondo della Moda di Roberto Capucci, il mondo dello psicodramma e il mondo dell’università dove tutti il plot culminano in un grande psicodramma tenuto nell’Aula Magna dell’università di Roma. Si chiama “La gioia proibita”. Il trattamento del film ha avuto il riconoscimento di progetto di elevato valore artistico e culturale dalla sezione cinema del MIBACT. La Gioia proibita è lo sviluppo del documentario “La Moda Proibita” che Plays ha dedicato al grande couturier Roberto Capucci. Ci abbiamo lavorato per anni e giusto ieri è stato invitato a partecipare al Festival Internazionale del Cinema di Sophia , nella sezione Cinema e Arte.
Secondo te, da cosa nasce la tua insistenza sulle riprese video?
Ci sono tante ragioni cliniche su cui abbiamo parlato e scritto in molti: lo studio analitico della terapia, la supervisione, l’allargamento del gruppo etc. Ma credo che ci sia anche un’altra ragione: in alcuni momenti lo PDsta (più di altri terapeuti) dà vita a momenti straordinari e velocissimi di play col paziente che equivalgono ad opere d’arte con un valore creativo, etico e culturale.
Perché velocissimi?
Perché derivano dal meglio dell’archetipo Hermes/Mercurio e curano il Saturno della depressione dei pazienti. Questi momenti tra conduttore e gruppo equivalgono ad alcuni pas de deux del balletto classico perfettamente eseguiti. Ma mi commuovono di più perché avvengono senza prove e spesso col palcoscenico semivuoto. Mi riferisco a momenti di interazione esemplari che possono capovolgere la storia e il destino di una persona. Questa capacità è in controtendenza a ciò che vediamo normalmente in cinema e televisione in produzioni che spesso narrano morte, stupidità, violenza e corruzione. Mi riferisco a quel tipo di spettacolo di massa che inquina l’Anima Mundi come le bottiglie di plastica inquinano il mare soffocando la vita e imbruttendo il pianeta. Invece il lavoro solare dei registi di psicodramma, che crea storie ricche di umanità e intelligenza, resta nascosto, invisibile. Perciò è giusto conservarlo e mostrarlo. Non solo per il pubblico ma per onorare gli psicodrammatisti e aumentare la loro energia. La loro carica vitale. La loro importanza sociale e morale e culturale.
Dal 1975 continui con tenacia questo tuo lavoro di diffusione: quali limiti hai riscontrato nell'accoglienza culturale di questo approccio? Quali fattori invece hanno favorito l'impiego e la diffusione dello Psicodramma nella realtà Italiana rispetto ad altre realtà europee?
Gli elementi favorevoli in Italia? Al Nord la tradizione antica e inconscia della Commedia dell’Arte. Al Centro la sfacciataggine spudorata dei romani. Al Sud la spontaneità di Napoli e lo spirito delle Maschere Nude che ha raccontato Pirandello. Ovunque trovo i Social.
E gli ostacoli?
L’abitudine profondamente radicata nell’inconscio collettivo italiano ai giochi di ruolo del Vaticano, della politica, della mafia, delle banche e persino di una certa psicoanalisi freudiana a due, garantita dal cosiddetto segreto professionale. Tutti nel segno di Arpocrate dio del silenzio, della falsità e dunque nemico giurato della Openess inaugurata da Moreno.
Immagina di costruire il tuo atomo sociale nel ruolo di psicodrammatista: da quali Altri Significativi è composto?
Il mio analista supervisore Stefano Carta. Il mio braccio destro (o sinistro, o tutti e due) Francesco Marzano specializzato in socioplay a tema LGBT. Luciana Santioli alla quale sono molto legato e che è la super-sorella con cui ho fatto tutti gli esperimenti per le riprese in IPOV3. Poi Marco Greco e gli allievi storici della scuola ai quali sono più affezionato a partire da Enrico Santori che dai primi momenti collabora alla nascita della scuola. I miei cockers Winnie e Duffy. I miei cacatoa Teto e Iside. In questo momento – per ragioni misteriose - nell’atomo sociale ci sono anche tre persone che di psicodramma sanno poco o niente: Roberto Capucci, il couturier-artista; Elda Ferri, la produttrice di Jean Vigo: Roberto Cicutto, direttore dell’Istituto Luce.
Piuttosto articolato.
Sì. Lo ammetto. Questo atomo sociale lo immagino sul palcoscenico del Teatro OFF OFF di via Giulia. Anche perché la mia ultima terribile fidanzata stile “Vertigo”, bionda e gelida, si chiamava Giulia e dopo quattro anni di Guerra dei Roses se ne è andata via. Via Giulia! OFF OFF!
Hai detto “per ragioni misteriose”. Puoi accennare qualcosa?
Il problema è questo: lo psicodramma è una cosa straordinaria e io lo amo ma posso farlo bene solo se faccio anche lavori creativi dove creo immagini e storie. Altrimenti il mio impegno terapeutico perde energia e diventa stanco, fiacco e banale. I pazienti non cambiano e io divento triste. Intendiamoci: parlo per me. Non parlo per tutti. Non è una regola. Al massimo è un consiglio.
Vorrei anche il tuo punto di vista sulla diffusione delle costellazioni familiari di Hellinger. So che sei stato intervistato dalle Iene di Italia Uno a proposito del danneggiamento di un a persona che aveva preso parte ad un incontro di Hellinger e che il tuo nome era stato fatto alla redazione dal Presidente dell'Ordine Nazionale degli Psicologi. Qual è il tuo parere su questo approccio che ha alcune cose in comune con lo psicodramma di Moreno?
Potrei dire molte cose ma mi limito a tre o quattro.
Hellinger mi sembra un personaggio fuori serie, con un carisma pop ma sostanzialmente pericoloso e autoreferenziale al quale occorrerebbe dare un'attenzione a parte. Con la rubrica televisiva delle Iene, dopo una settimana di lavoro con le interviste, ho preferito fermare tutto perché le Iene non hanno accettato la mia richiesta di avere il controllo definitivo del montaggio di domande e risposte e non volevo rischiare confusioni. Giustamente loro volevano sputtanare le costellazioni ma non mi sembrava che capissero bene la mia analisi del fenomeno. Quindi ho bloccato l'intervista.
Le costellazioni familiari sono pericolose anche perché spesso sono praticate da persone non laureate in psicologia, non analizzate e senza alcuna specializzazione in psicoterapia. Capisco che la gente si diverta a farle e a farsele fare ma ci sono dei rischi per i soggetti più fragili.
Dovendo mettere insieme gruppi enormi e quasi settari affollati in saloni di hotel Helliger zittisce i partecipanti ed è iper direttivo. Praticamente fa tutto lui in pochi minuti. Secondo te perché?
Nelle costellazioni familiari la messa in scena dei ruoli attraverso gli interpreti confonde in modo magico il vissuto dell'interprete con quello del personaggio e di chi ha descritto il personaggio cioè il paziente (si fa per dire). Secondo Hellinger il gioco dei ruoli funzionerebbe come un radar che intercetta i segreti del paziente. Ma come provare - direbbe Popper - che lo stesso gioco di ruolo affidato ad un altro ego ausiliario rivelerebbe lo stesso contenuto inconscio o un altro del tutto diverso. Le ipotesi di H. non sono falsificabili. Come le teorie di Mussolini, Stalin e Mao. Sono solo obbedibili. Nella tecnica originaria di Moreno la condivisione che avviene dopo lo psicodramma porta invece ad una polifonia di punti di vista che libera i pazienti dal rischio di un'attribuzione di senso autoritaria e centralizzata.
Mi fermo qui.
Chi, come te, ritieni abbia contribuito alla diffusione dello psicodramma in Italia?
Quelli che conosco e stimo sono Gennie e Paul Lemoine (pionieri dello psicodramma analitico) e i loro allievi come Luisa Mele ed Elena Croce, e gli allievi degli allievi come Santuzza Papa. Poi nel campo classico due maestri come Giovanni Boria e Marco Greco, bravi anzi eroici e instancabili (basta pensare a quello che ha fatto Marco con sua moglie Maria Cristina nel 2018 ritrovando le riprese della RTF di Rossellini/Moreno nell’archivio Schutzenberger). Poi Loredana Micati Zecca che scrive benissimo. Poi te, Diana, che mi stai intervistando e sei giovane e farai molto. Tra gli psicoanalisti scomparsi: Franco Fornari e Cesare Musatti per i loro antichi esperimenti con un gruppo di psicologi e un solo paziente. Tra gli editori e produttori bisogna citare Mario Ubaldini e naturalmente Rai3: varie persone mi hanno detto. “Da Storia Nasce Storia mi ha cambiato la vita”. E poi sul piano dei dizionari e dei libri, ricordo: il prof. Sadi Marhaba e gli autori del Dizionario internazionale di psicoterapia di Garzanti. Ce ne saranno centinaia che hanno contribuito alla diffusione dello psicodramma in Italia, che io non conosco e che, nel bene o nel male, sono importanti. Abili, abilissimi e diversamente abili! Ma in ogni caso diffusori.
Tu dici spesso che lo psicodramma non esiste. Esistono gli psicodrammatisti…
Infatti. Ciascuno a suo modo. Il metodo conta poco. O niente. Conta la persona. Del resto ognuno ha il suo pubblico. E viceversa. Come coi libri e coi film. Il libro non esiste: esistono gli scrittori.
Allora che senso dai alla formazione professionale?
La nostra scuola di Roma finora ha diplomato un centinaio di psicodrammatisti e devo dire che almeno una trentina sono eccellenti. Tre o quattro al momento della tesi finale avevano capito poco o niente ed erano immaturi ma, naturalmente, in futuro potrebbero cambiare… li ho diplomati comunque col minimo dei voti perché volevano il certificato e anche perché non mi piace far ripetere l’anno: la situazione economica non è facile per nessuno. E poi la fine della loro formazione professionale magari potrebbe anche essere l’inizio della vera formazione. Umana e clinica. Le tesi che amo di più non sono quelle compilative ma quelle che diventano un libro, un workshop o che sono in forma di video o spettacolo teatrale come nel caso di Marianita Carfora un’attrice napoletana intelligente e bella che ha scritto e recitato un play sulla nonna che era stata infermiera psichiatrica a Napoli. Una cosa meravigliosa. Si sentiva Moreno tra noi. Piangevano tutti pure i cocker. Anche i lampadari e la moquette. Originale e fresco è “Ciak si gioca” di Francesco Marzano che ha fatto la tesi su un suo workshop di socioplay-cineforum GLBT e poi tramutato la tesi in un libro di narrativa dove parla sia del lavoro che di sé.
Gran parte delle tue ricerche hanno riguardato anche il rapporto tra Moreno e Pirandello che ti hanno portato, nel '94 ad essere premiato con la Medaglia Moreno e poi con la targa Amici di Luigi Pirandello; come mai questo connubio? Quali sguardi e incontri hanno creato questa associazione?
L’incontro con Pier Luigi Pirandello, il nipote avvocato figlio del pittore Fausto Pirandello. Lo conobbi che avrò avuto nemmeno 30 anni al Teatro Eliseo di Roma, con Fernanda Pivano che al momento era la mia compagna segreta (o meglio ero io il compagno segreto di lei) nel camerino di Eduardo de Filippo che per me era un Dio in terra. Poi nel corso degli anni, con Pierluigi Pirandello siamo diventati amici intimi. Nella sua grande casa (calda e ospitale anche per merito della moglie Giovanna Carlino) c’è addirittura un piccolo teatro. Abbiamo fatto cene, feste workshop e naturalmente psicodrammi su Arte e Sentimento nella famiglia Pirandello in collaborazione con la cattedra del prof. Accursio Gennaro. La prima performance da Pier Luigi risale al 1986 al Teatro Carignano. L’ultima al 2012 al Teatro Valle dove debuttarono i sei personaggi in cerca d’autore. E a metà strada c’è il lavoro di Fantasmi col Teatro Stabile di Catania dove Ezio Donato ha dato a Leo Gullotta il ruolo di Pirandello e a me quello di Moreno.
Che persona era Pier Luigi Pirandello? So che è morto da poco.
Faceva l’avvocato e curava i diritti d’autore del nonno. Era un gentiluomo all’antica e un anfitrione. Reggeva sulle spalle il peso di una famiglia dove il genio e la sofferenza andavano a braccetto. Tutte le locandine dei nostri psicodrammi che gli ho regalato, lui le ha fatte incorniciare e le ha messe intorno al teatrino che ha una specie di ringhiera circolare come il palco del teatro di Beacon. Questo mi ha sempre fatto piacere. Anzi mi commuove.
Nei video sembra molto timido e reticente… Hai scritto che una volta, che, prima ti ha concesso un’intervista per Atti dello psicodramma dove rivelava dei fatti di famiglia e poi ti ha fatto scrivere dall’avvocato diffidandoti dal pubblicarla. Salvo poi ripensarci di nuovo…
È molto peggio quello che ha fatto la Pivano col film Generazioni d’amore: prima firmò il contratto e il copione e girò venti ore di intervista. Poi, quando lo vide in moviola a Cinecittà cercò di fermarlo perché, secondo lei, non era un documentario ma “un madrigale d’amore”. Ne fece fare un altro da Fandango dove, invece di sorridere, sembrava triste e si aggirava per i cimiteri d’America. Quella sua immagine non le creava problemi.
E c’è riuscita a bloccare il tuo?
Bernardo Bertolucci che era un testimonial del film la convinse a mandarli entrambi al Festival del Cinema di Torino. Lei accettò ma disse che avrebbe presentato quello di Fandango. Il nostro lo presentò Alessandro Cecchi Paone. Tre giorni dopo, quando era in programma l’altro si verificò una simpatica sincronicità: lo scoppio di un incendio nel momento in cui Fernanda mise piede sul red carpet nel tripudio generale e tra decine di fotografi. L’incendio fermò tutto.
Ma la simpatica sincronicità dell’incendio eri per caso tu infuriato con una tanica di benzina?
No. Io ero tornato a Roma la mattina per evitare il rischio di una scazzottata tra registi e dormivo. L’incendio l’ha fatto scoppiare lei. O meglio il suo inconscio, la parte erotica e trasgressiva dell’inconscio di Fernanda. Sul piano psico-quantico. Tra Jung, Von Franz e Pauli. Mi spiego?
Ti riferisci al cosiddetto Effetto Pauli?
Qualcosa del genere. Ci hanno fatto una tesi di laurea su questa sincronicità del fuoco a Torino. In un’intervista per ‘La Stampa’ sull’incendio al Festival la Pivano racconta un episodio di quando era ragazza. Questo episodio secondo me parla chiaro. Eccolo: C’era la guerra e Fernanda esce da casa insieme al padre Riccardo il banchiere. In mezzo alle fiamme delle case bombardate vedono due ragazzi su una panchina che si baciano. Lei grida ‘Bravi!’ e il padre risponde ‘Tu sei pazza.’ Morale: la Pivano pensa in un modo. Fernanda pensa in un altro modo. Il fuoco è l’Eros rimosso che distrugge l’Anti Eros. Senza quell’incendio al Festival Ottavio sarebbe morto di dolore. Ma grazie a Dio il fuoco c’è stato. E come dice il mio caro Francesco: Grazie, Signore!
E che dissero i pompieri?
Un raro fenomeno di auto-combustione di una pellicola dentro un magazzino.
Capito. Torniamo a Pirandello.
Pierluigi Pirandello mi ha anche svelato alcuni segreti della famiglia Pirandello e il loro legame con l’opera di Luigi e lo psicodramma di Moreno. La prova che il medico e il drammaturgo si fossero incontrati a Vienna (dove Moreno faceva Il Teatro della Spontaneità e dove Pirandello era andato a riprendere il figlio Stefano dalla prigionia per uno scambio di ufficiali concertato tra i due paesi) sta in un dettaglio linguistico. In “Ciascuno a suo modo” Pirandello immagina due personaggi: una signora della alta società al centro di uno scandalo e un personaggio della commedia di Pirandello che sarebbe il suo doppio teatrale. Mi segui?
Credo di sì… È un gioco divertentissimo. So che la commedia di Pirandello racconta la prima di una commedia di Pirandello.
Infatti. Con tanto di Giornale Vivente fuori del teatro. Ora, la commedia è tratta da un episodio del romanzo “Si gira, i quaderni di Serafino Gubbio operatore”) dove la signora si chiama Varia Restonoff. Ma in “Ciascuno a suo modo” (che Pirandello scrive dopo essere stato a Vienna e aver visto il teatro della Spontaneità del dr. Moreno) Pirandello cambia nome al personaggio. E sai come la chiama? La chiama: La Moreno. Anzi La Moreno (che tutti sanno chi è). Ancora più ironico perché Moreno in Italia non lo conosceva nessuno. E come chiama il suo doppio teatrale? Lo chiama “Delia Morello”. E Morello è palesemente una parola che combina Moreno e Pirandello.
Più che palese mi sembra criptico, molto siciliano.
Infatti. Molto siciliano. Molto ermetico. Il gioco è fatto. Si trova tutto digitando su internet “Fantasmi al Valle”. Arrivi alla pagina su Plays.it o su IMDb.
Altrettanto nota è anche l'esperienza “Da storia nasce storia” che è stato un caposaldo della rinascita di RaiTre TV, andata in onda nel 1991-1992: quale definiresti essere stata l'intenzionalità di fondo?
“Da Storia Nasce Storia” era lo spin-off di “Giocare il Sogno Filmare il Gioco”. Volevo realizzare in concreto lo Psicocinema di cui parla Moreno nel suo libro “Psychodrama” e dopo molti sforzi ci siamo riusciti. Laura Carassai su La Stampa ha definito Da Storia Nasce Storia “il successo teatrale-televisivo dell’anno”. Per la puntata dove Rosalia Maggio rivelava che era stata sul punto di fare la puttana per far mangiare le figlie, Beniamino Placido su “La Repubblica” parla di una storia degna di Balzac e di De Sica.
Che cosa ti sei portato dentro di te dopo questa esperienza e cosa senti di aver lasciato?
Cosa mi sono portato dentro? L’idea che, per realizzare un progetto importante dobbiamo collaborare con le persone giuste. Cosa sento di aver lasciato? L’obiettivo di quei tempi. Ora ho un altro obiettivo e un altro equilibrio.
Il successo con Rai3 ha scatenato qualche attacco invidioso? Qualcuno ti ha accusato di essere narcisista…
In realtà io soffro di una carenza di narcisismo ottimale. Per certi versi non piacevo a mia madre, quindi devo sempre reagire a una certa mancanza di orgoglio e sicurezza e devo darmi molto da fare. Un mio compagno che invece era adorato da sua madre per il semplice fatto di esistere, vive di rendita ma non combina molto. Io invece... una fatica. Mi tengo d'occhio... Per questo Sono religioso e praticante. Ho bisogno di vivere e collaborare con gli altri. Mi piace dare e amare e sono riconoscente della riconoscenza. La verità è che viviamo in una cultura di massa che istiga al narcisismo e al consumismo. Da questo punto di vista un programma come Da Storia Nasce Storia, basato sullo psicodramma, è molto efficace per combattere e superare il narcisismo (anche proiettato) e la solitudine.
Quali sono i tuoi maestri? C'è qualcuno che ammiri in modo particolare?
L'elenco dei maestri e didatti, da Carotenuto a Carta, sarebbe molto lungo e pure la spiegazione.
Ma rispondendo di slancio senza troppo pensarci...
Mi viene in mente Jodorowsky. Senza di lui avrei cambiato lavoro. E' l'unico che ammiro in scala cento per dieci.
In che senso?
Coltissimo saggista, instancabile cineasta, generoso terapeuta, Jodorowsky è uno degli uomini più straordinari attualmente presenti sul pianeta. Con la sua Psicomagia ha dato alla psicoanalisi e alle tecniche terapeutiche attive un contributo paragonabile a quello di Moreno con lo psicodramma e a quello di Jung con l’immaginazione attiva. Nella sua vita e nella sua opera la ricerca coesiste col gioco, la saggezza si sposa al talento: Jodo è un genio della mente bicamerale nella scia di Savinio, Goethe e Leonardo.
Un messaggio per le giovani generazioni di psicodrammatisti di oggi...
Più che un messaggio è un invito. Dal punto di vista clinico propongo a tutti lo studio dello psico-neurologo Jaak Panksepp sui sette circuiti sotto corticali legati a circuiti neurologici sotto corticali, legati a sette emozioni di base: Sessualità. Collera. Paura. Tristezza. Attaccamento affettivo. Ricerca. Gioco. Panksepp è un genio del livello di Moreno. Lui ha scoperto delle realtà neurologiche di enorme importanza terapeutica e sociale. Con Plays ora stiamo realizzando a Roma e fuori Roma, dei cicli di socioplay che smuovono molto la partecipazione di tutti anche dei ragazzi in età scolare. Il punto è che Panksepp fa culminare tutto nei sistemi salutari e terapeutici de La Cura della Ricerca e de Il Gioco. La psicoanalisi svolta a livello terziario della mente-cervello non gli basta. Cercava una tecnica più attiva e corporea e primaria e purtroppo non sapeva che esistesse lo psicodramma… per lui Arthur Janov era il massimo. Non conosceva l’opera di Moreno. Quindi Panksepp giova a noi, noi gioviamo a lui e insieme gioviamo al mondo. Quindi il messaggio per le giovani generazioni è: comprate “Archeologia della Mente”. Leggetelo minimo tre volte. Datevi da fare. Inventate. Auguri di buon psicoplay.