'LA CASA DEL MAGO' E IL SUO VETRINAGGIO di Ottavio Rosati
Dieci post messi in rete nel dicembre 2023
1, Emanuele Trevi pubblica il romanzo 'La casa del Mago' sulla figura di suo padre, l’analista junghiano Mario Trevi (1924-2011) che conosco (più nel bene ma anche nel male) essendo stato dal 1981 il mio didatta al CIPA per dieci anni. Come personaggio era un teorico illustre e una roccaforte di prestigio. Collaborò anche ad Atti dello psicodramma scrivendo su Pirandello e Jaspers e a un mio su Milton Erickson spiegando la saggezza ebraica degli Hassidim. Nell’archivio di Ipod c’è tutto un folder su di lui. Per i suoi baffoni bianchi simili a quelli di Teto, il mio adorato cacatoa, nutrivo stima e affetto, orgoglio e fiducia finché nel 2004 nella Casa del Mago scoprii (perché lui fece di tutto per farsi scoprire) mezzo kilo di Ombra che avrei descritto quattordici anni dopo, nel cortrometraggio 'I cani dell’acqua marcia'. Il trauma mi bloccò come regista e fece a pezzi la mia relazione con Fabio. Fabio chi? Il mio avvenente e talentuoso compagno che, tre anni dopo la fine della mia didattica, era entrato in analisi da Trevi col mio finanziamento. Fabio fornì l'altro mezzo kilo di Ombra.
2. Per proteggere Mario dal suo stesso Super Io rigorosissimo, perdonai entrambi, anche se il perdono non me l’avevano chiesto. Ero più terrorizzato per lui che arrabbiato per me. Assurdo? Tenete presente che la mia stupida Anima Mariana e Materna (come direbbe la von Franz) assomiglia a quella descritta da Paola Cortellesi nel suo film-capolavoro. Fabio si trasferì a Londra, ben pagato come animatore 3D. Nel 2006, in un clima di cordialità post-perdono, ogni tanto andavo a cena col mio ex maestro per rassicurarlo che non era successo niente. Che non aveva fatto niente. Trevi fingeva di essere d’accordo ma ebbe un brutto incidente per strada. Allora gli proposi di fare il ruolo di Christmas Present nel socioplay del “Canto di Natale” di Dickens per Raisat. Girammo un provino con molti ciak. Mario cambiò il testo del racconto: saltava la scena dei due guardiani del faro che si scambiano gli auguri di Natale con un ponche. Come attore pensava troppo, sapeva interpretare ma non giocare. Pazienza.
3/10. Partito Fabio, morto Trevi, il mio trauma continuava a creare dei sintomi tragicomici: perdevo o mi facevo rubare le carte di debito e credito, le chiavi e i documenti. Mi incasinavo con i resti delle banconote. Come regista lavoravo poco e lentamente, forse per le parole ipnotiche di Trevi: "Ora stia attento, Fabio: Ottavio è un regista e sa come manipolare la gente!" Cominciai a spaventarmi. Che fare? Dopo molte ore di analisi e psicodramma andai a Lourdes (davvero, non come Woody Allen) e qualcosa si mosse. Nel 2018 l'Istituto Luce portò La moda proibita all'Istituto italiano di cultura a Bratislava e ci fecero molte feste. Piacque molto la scena del sogno col Libro Rosso di Jung. Fu un antibiotico a largo spettro. Tornati a Roma, girai subito un corto I Cani dell'acqua in cui narrai tutto il trauma, in due ore, con la massima spontaneità. Fu una vera catarsi e inventai così la formula dei Vetrinaggi. Non fu una vendetta, infatti lo pubblicai sette anni dopo la morte di Trevi.
4. Lo feci per liberarmi dei sintomi ma anche per amore della Ricerca e mirando al Bene Sociale. La dinamica emblematica del caso Trevi mostra infatti i pericoli del classico setting a due blindato nelle serrande della privacy, rispetto all'apertura (per molti inconcepibile) della gruppo-analisi di Foulkes e alla Openness dello psicodramma di Moreno. Chi ha subito prima un tradimento e poi una manipolazione ipnotica senza testimoni, perde la gioia di vivere e si rincretinisce. Si confonde. Rischia di sentirsi in colpa al posto di chi lo ha ferito. Capire e perdonare in chiave cristiana e buddhista non significa negare e tacere. D’altra parte se l’abusato esce dal Falso Sé e parla chiaro, non tutti lo capiranno. Salterà fuori qualche Don Abbondio che lo riterrà insensibile ed egoista nei confronti di figli, nipoti e pronipoti del 'povero' responsabile: Non capisco, dopo tanti anni non poteva lasciar perdere? Che bisogno c’era? Vuole farsi pubblicità? In questo un sottile canapo unisce Freud e Andreotti.
5. C’è poi un problema etico-morale di rispetto per gli altri. Mi spiego: la vittima di un trauma che tace, mentre affoga nella confusione rischia di mettere in atto il trauma su qualcun altro passando al ruolo di distruttore. Come nel film di Louis Malle “Il danno” (1992). La vittima rischia di rifare come il persecutore e si sentirà in colpa. Sono riconoscente al mio analista Stefano Carta e a coloro che mi aiutarono a elaborare il groviglio. Prima di tutto ai miei amici Harold Brodkey (il Proust americano) e sua moglie (la scrittrice Hellen Schwamm) manahattanamente privi di ipocrisia in fatto di bisessualità. Ma la storia non era finita.
6. Pubblicare I Cani dell’acqua marcia sul web suscitò ritorsioni segrete sulle pagine Wikipedia. Nel 2022 il redattore "Arturo Benanti", che dichiarò di agire come "amico della famiglia Trevi", riuscì a cancellare la mia Wiki-pagina. Quindi, a ben vedere, una vendetta da qualche parte ci fu, sia pure dalla parte sbagliata. Ma, grazie a Dio e a Buddha, Vanessa Rusci, la fotografa d’arte, si accorse che una nuova Wiki (evertybody.wiki) ci aveva offerto una nuova pagina. E la rimettemmo in rete. Oggi ne La casa del mago Emanuele Trevi cita sua madre Nora, psichiatra: “Tu lo sai com’e è fatto tuo padre”. Il personaggio della Visitatrice Misteriosa [un’Anima junghiana (più Kundry che Sophia) che lascia in giro mozziconi di sigaretta ma non si fa mai vedere] rende il libro di Emanuele Trevi un romanzo a chiave, se non un portachiavi per scendere nelle cantine dell’appartamento. Ma l’underground non è per tutti: l’ascensore si ferma al piano terra.
7. Mi sono commosso a leggere su La casa del Mago: “I miei genitori lavoravano dieci ore al giorno, erano onesti fino al midollo e votavano comunista”. Non che Trevi vestisse male. Anzi. Gli bastava una giacca di tweed, lui era elegante dentro. Ma sul comunismo confermo la citazione di Emanuele Trevi: la prima volta che parlai a Mario del mio progetto di fare il film sull’alta moda di Roberto Capucci, Mario mi raccontò di un operaio esemplare che con la liquidazione si era comprato un completo di calze, canottiere e mutande per il resto della sua vita. Oggi mi domando: se Trevi non avesse definito il mio progetto come il mio complesso Zeffirelli, ci avrei messo lo stesso sette anni a girare il film su Capucci? E l’avrei intitolato La moda proibita?
8. Ma torniamo a La casa del mago, un romanzo un po' cotonato e ipnotico (ma questa è la specialità della casa), opera di un ammirevole figlio senza figli che è andato a vivere nello studio del mago-papà. Mi hanno fatto gioire le parole di rimprovero che un giorno Mario disse a Emanuele: “Io non sono quello che credi.” Leonard Bernstein il grande musicista, gay lietamente dichiarato, e padre di tre figli, diceva che il contrappunto non è scarsità di melodia, anzi è abbondanza di melodia. Non azzera la melodia, anzi la moltiplica. Come si fa a capire? Come si fa a non capire?
9. Mi rendo conto delle differenze di carattere e di vita fra me e Mario Trevi. Lui era ermetico, io ermeneutico. Lui credeva nella privacy più sorniona, io nella Openess e nei socioplay. Lui si muoveva nei meandri introversi della speculazione filosofica di alto livello, io in teatri, palestre e campi da tennis. Lui era stato allievo di Bernhard (che era più chirologo che junghiano), io ho fatto sette analisi. Io vivevo con pappagalli cacatoa che divoravano le copertine dei libri (rumpite libros ne corda vestra rumpantur), lui foderava le copertine perché non si sciupassero. Io lasciai la mia fidanzata quando feci coming-out, lui fece qualche acting-out ma non abbandonò mai sua moglie. Ottavio tirava all’arco con Fabio, Mario si lisciava i baffi e lucidava i sassi con la carta vetrata. Lui era un padre di famiglia. Io ho fondato Plays.
10. Forse un’anteprima del trauma c’era stata nel 1991 quando realizzai per RaiTre il primo programma televisivo basato su veri psicodrammi Da Storia nasce Storia. Avevamo decine di recensioni (Beniamino Placido paragonò lo psicodramma di Rosalia Maggio a Balzac e de Sica) ma, come allievo, ci tenevo molto al parere del mio didatta. Ma il maestro non guardava la TV. Nemmeno Rai3. Quando domandai, trepidante, a Mario se aveva visto il VHS che gli avevo lasciato, mi rispose: “Ho preferito non vederla, Ottavio, nel timore che potesse non piacermi. Non vorrei mai darle un dolore.” Rimasi ipnotizzato e non dissi niente. Poi sul pianerottolo lui fece un lapsus XXL di cui non si rese conto: “Glielo ripeto Ottavio, non confonda la mia indifferenza per affetto paterno”. In quel momento decisi di chiudere l’analisi. Lui chiuse la porta della casa del mago. Tre anni dopo nacque la storia de I cani dell’acqua marcia.