Abbiamo spesso e molto insistito sull'importanza della rappresentazione drammatica e dell'identificazione nello psicodramma. Evidentemente è la rappresentazione drammatica che costituisce la specificità dello psicodramma rispetto all'analisi, ed è da qui che è partito Moreno. Il Club psychodramatique da noi fondato, accanto ai gruppi di psicodramma analitico vero e proprio, nel 1964 era - senza che lo sapessimo - esattamente l'equivalente di ciò che Moreno aveva costituito nel 1921 col nome di Living newspaper. Il Living Newspaper metteva in scena le notizie e i fatti del giorno. Ne è uscita tutta una scuola drammatica ed anche una scuola cinematografica di films politici. Il Club psychodramatique, oltre a questo genere di azione teatrale che abbiamo a volte praticato, aveva come fine anche l'improvvisazione su spettacoli precedentemente visti dai membri del club. Se mi rifaccio ai tempi già lontani di questo club (esso ha dieci anni di vita ed è stato ripreso già da qualche anno da Simone Blajan) è perché mi sono imbattuta per caso in un testo di Freud finora inedito in francese e pubblicato originariamente in inglese da Graf nel 1942. Questo testo è stato tradotto per la prima volta in francese e presentato da Philippe Lacotte-Labarthe e Jean-Lue Nancy nel n.3 di 'Diagraphe' (settembre 1974) col titolo 'Personnages psychopathiques sur la scène' (1). Psicopatici è il termine trascritto dal tedesco e adottato in questo contesto al posto del termine psicopatologico più spesso utilizzato. Ecco innanzitutto l'affermazione di Freud che convalida quanto io stessa avevo cercato di chiarire: la cosa mi ha evidentemente rassicurato; una vera fortuna: "L'intento del dramma è di far scaturire fonti di piacere o di godimento dalla nostra vita affettiva .... E' certo che lo sfogo (das Austoben) dei nostri affetti ha qui il primo posto ...." (2).
Si tratta dunque, fin dall'inizio, di permettere allo spettatore, attraverso l'indicazione in ciò che vede sulla scena del teatro - identificazione tanto più efficace quanto più i pericoli reali sono messi da parte - di liberare ciò che la repressione sociale proibisce. Bisogna cioè far cadere le sue resistenze. In un secondo momento il Club psychodramatique si articola in uno spettacolo vero e proprio, permettendo allo spettatore di agire in un gruppo costituito il ruolo o i ruoli nei quali si era identificato durante lo spettacolo. In questo modo, lo spettatore raggiunge una seconda tappa nell'identificazione e nel superamento delle resistenze. In sintesi nell'identificazione c'è una scelta spontanea: lo spettatore si identifica col personaggio che libera le sue più profonde pulsioni mentre la sua vita sociale gli propone come modelli solo dei luoghi comuni che rinforzano la repressione.
Lo spettacolo dunque, libera la sua libido.
E' esattamente ciò che scrive Antonin Artaud nella prefazione a 'II teatro e il suo doppio' : "II teatro è fatto per ridare vita a quanto abbiamo rimosso".
Con il Club psychodramatique, abbiamo cercato di riportare il teatro verso quello che, secondo Artaud, possiamo chiamare 'l'esercizio di vita'. Interpretare dei ruoli vuoi dire liberare delle forze vive, ritrovare le proprie forze, e cioè la spontaneità, così come l'abbiamo definita ne 'Lo psicodramma' (3). Il teatro 'borghese' è vuoto. Ma il vero teatro è pieno di ombre e muovendosi le agita. Il teatro è in questo vicino allo psicodramma. Artaud pensa che, allorché diventa puro linguaggio, il teatro muore. Egli dice che "bisogna spezzare il linguaggio per toccare la vita". Ora, quando un membro del gruppo riprende personalmente un ruolo nel gruppo stesso, non è che egli riproduca un discorso. Non fa cioè un lavoro da attore. Si tratta di ritrovare gli elementi che il discorso riprodotto dall'attore e il personaggio, hanno fatto esplodere al momento dello spettacolo, direi quasi che egli deve ritrovare un grido. "Bisogna credere - dice ancora Artaud - in un senso della vita rinnovato dal teatro .... e tutto ciò che non ancora è nato può ancora nascere". Chi non penserebbe a questo punto al primo grido del neonato? "Bisogna dunque creare un teatro che sia come quella frenesia che si impadronisce degli uomini e delle donne dopo la peste". Per Artaud il teatro è 'la peste', 'un disastro sociale', 'una disorganizzazione', 'uno straripamento di vizi', 'un' immensa liquidazione'. Secondo me, non si tratta qui di un espediente catartico. In questa liquidazione è in gioco la pulsione di morte. Il teatro della crudeltà è un teatro privo di compiacimenti, antinarcisista: al fuoco le belle immagini. In effetti tutto avviene come se, nel quotidiano, noi lavorassimo senza sosta per rassicurarci e riassicurarci. Il linguaggio ricevuto si conserva proprio a questo scopo. E perché no? , direte voi. Perché questo non è vivere e per vivere occorre spezzare il linguaggio. Si può anche pensare con Freud che tutta la società sia sempre più malata, perché il cliché, lo slogan, la moda si trasmettono come lebbra. La società si nevrotizza sempre più, dal che la necessità di terapie sempre nuove. Il teatro ci rivela, ci risveglia. Smembra il nostro doppio, ma gratuitamente, su un piano dove non accade niente .... Per questo accettiamo di correre il rischio, ma quale rischio, mi si obietterà, se non accade nulla? Non sussiste in effetti alcun pericolo di perdere i nostri mezzi di sopravvivenza, né il nostro lavoro, né i nostri amici. Né sussiste pericolo di morte. C'è solo il pericolo di conoscere la morte, di avere paura. E questo è uno stato poetico. Nella vita di tutti i giorni la morte è sempre la morte dell'altro, anche nel suicidio, è l'altro che uccidiamo, non abbiamo dunque alcuna esperienza personale della morte. Conoscere poeticamente la morte, è uno stato 'trascendente di vita'. Occorre crudeltà per uscire dal torpore della vita quotidiana, una crudeltà implacabile. Un testo di Freud, citato da Lacotte-Labarth e Nancy, intitolato 'Considerazioni attuali sulla guerra e la morte', e datato significativamente 1915 dice:
"Effettivamente la propria morte è irrapresentabile, e ogni volta che cerchiamo di farlo, possiamo costatare che in realtà continuiamo a essere ancora presenti come spettatori. Perciò la scuola psicanalitica ha potuto anche affermare che non vi è alcuno che in fondo creda alla propria morte, o, ciò che equivale, che nel suo inconscio ognuno di noi è convinto della propria immortalità" (4).
Contro questa immortalità che non è la vita perché non è che un sogno, l'uomo ha l'amore, il crimine, l'insurrezione .... ma ha anche il teatro, quello vero - non quello borghese - che è l'arte della rappresentazione scenica per eccellenza, l'arte che ci permette di rappresentare la nostra stessa morte, di conoscerla. La rappresentazione allora non è più quel pallido riflesso della vita o imitazione della vita. Essa è cesura, e dice ancora Freud "la cesura rappresentativa non passa nella libido ma tra la libido (il desiderio) e la morte". Essa è dunque il limite stesso del dispositivo economico in generale. Nell'arte di imitazione o di divertimento, nell'arte borghese, questo limite non è mai raggiunto; tutto avviene nella libido. Ma nell'ambito del Club psichodramatique qualunque commedia, a rigore, può essere ripresa in modo tale che il limite sia raggiunto. E' per questo che abbiamo pensato a una formula simile. Ma era anche possibile immaginare un club dove i ruoli e le commedie venissero improvvisati nel corso delle sedute. Comunque l'identificazione in un ruolo prestabilito forza l'attore, fa saltare il personaggio di copertura che egli indossa nella vita. Due sedute del club
Alcuni esempi chiariranno ancora meglio la correttezza del metodo psicodrammatico scelto. Tra le commedie viste e riprese durante una seduta ci fu, 'La cantatrice calva' di Ionesco. Ricordiamo la commedia ed il ritornello: "Veramente curioso .... che bizzarra coincidenza! " (5). Due sposi sono fianco a fianco come due sconosciuti. Si ritrovano in tutta naturalezza a casa loro, fianco a fianco, al termine del viaggio cioè alla fine del racconto della loro vita. E' l'impossibilità del rapporto sessuale, ad essere qui 'giocata'. Al contrario 'Giulietta e Romeo' ci propone l'incontro perfetto, perfetto come la congiunzione degli astri. Ma né l'incontro impossibile, né l'incontro perfetto nella loro categorica verità appartengono alla vita. Nella vita non viviamo che incontri equivoci, ambigui, incontri ingombri di incidenze multiple e complesse che partecipano più o meno dell'una o dell'altra verità. Per sapere che tipo di incontro stiamo vivendo, per conoscerlo, abbiamo bisogno di quei modelli che ci permettono di sapere, che ci rivelano i nostri propri incontri. Cioè, l'amore non esiste che altrove. Su questa altra scena che comunica direttamente con questa altra scena che è l'inconscio. E' la vita che imita l'arte, dice Artaud e non il contrario. Noi abbiamo bisogno di Fedra, di Amleto, di Edipo - ma anche di personaggi inventati oggi - per conoscerci come madri e come figli. Il potere del teatro consiste nella sua funzione di rappresentazione e di derealizzazione. Esso isola cosi il conflitto essenziale pulsioni di vita / pulsioni di morte. Abbiamo detto che la scena teatrale e la scena dell'inconscio comunicano. E' dunque chiaro che i personaggi drammatici sono nevrotici, psicopatici. Ma si può allora affermare che quanto più saranno 'anormali' tanto più saranno drammatici? Freud ci da una risposta: "La labilità nevrotica del pubblico e l'arte con cui il drammaturgo evita le resistenze e offre un piacere preliminare possono determinare i limiti cui deve sottostare l'impiego di caratteri anormali sulla scena" (6). Come dire che l'arte del poeta indebolisce le resistenze offrendo un piacere preliminare. Inoltre la pulsione deve restare in parte nascosta; è questo il caso di Amleto. In una nota Lacotte-Labarth e Nancy riportano questa frase di Starobinski: "Amleto, paradigma della nevrosi, è per di più colui che nasconde esemplarmente il suo segreto". Infine bisogna che per lo spettatore sia possibile l'identificazione.
L'identificazione Questo è il secondo punto al quale volevo ritornare: l'identificazione. E' per mezzo dell'identificazione che lo spettatore partecipa all'azione teatrale al punto di poterla riprodurre e far sua nelle sedute del club. Ma l'identificazione non ha fondo. L'attore stesso si identifica al suo personaggio e, attraverso e oltre questo, al modello categoricamente vero che regna sulla scena del simbolico che, come si è detto, comunica con quella dell'inconscio. A questo punto vorrei evitare la trappola dell'inconscio collettivo. Se Freud non ha pubblicato questo articolo mentre era vivo, è forse per non essere strumentalizzato in un senso che l'avrebbe arbitrariamente avvicinato a Jung. Quando dico che un ruolo come quello di Amleto rivela lo spettatore a se stesso, non intendo dire che gli permette di riconoscersi in un prototipo, o in un archetipo; ri-conoscimento che lo guarirebbe dal suo male. Ma solamente che il personaggio limite di Amleto lo mette di fronte alla propria morte. A questo stadio, l'identificazione non è la perdita nell'altro del modello (cosa che avviene di fatto a teatro e ancor più a cinema) ma è il ri-conoscimento in se stessi dell'altro, attraverso la sua rappresentazione, la messa a distanza di questo altro, l'inconscio su una scena dove la cesura è già fatta. La scelta identificatoria si fa sempre in funzione della storia particolare del soggetto e la cesura non cade per nessuno allo stesso punto. Non sempre gli autori fanno della cesura il principio della loro arte. Ma è il caso esemplare del "Falstaff" di Shakespeare e de 'L'architetto e l'imperatore di Assiria' di Arrabal (7) come pure di tutto il teatro di Beckett. La scena del Falstaff ripresa in una delle nostre sedute, nel '67 credo, era per l'appunto quella che si potrebbe qualificare come psicodramma ante litteram; Falstaff impersona il re e si denigra davanti agli occhi del proprio allievo, il figlio del re. Dico allievo perché qui si tratta di vera pedagogia. Falstaff non crede al proprio personaggio di Falstaff né crede al personaggio del re. La sua ironia corrosiva e buffonesca attacca, come un acido, tutti i ruoli. Cosa rimane quando una persona si vede costretta a spogliarsi di tutti i suoi possibili personaggi e specialmente del personaggio che la storia gli fa indossare? (Ora, noi abbiamo tutti una storia). Ebbene Falstaff può, come il figlio del re, congedare Falstaff per cercare di coincidere in pace con il suo ruolo e di dargli credito; oppure, come Amleto, può morire del proprio dubbio, perché, al limite, qui si tratta di essere o non essere. Perché essere 'un uomo senza qualità' come l'Ulrich di Musil significherebbe estenuarsi fino al limite dell'essere. Falstaff sa non essere, senza drammi, sa cioè identificarsi contemporaneamente nel re, nel figlio del re e nel proprio personaggio di Falstaff. Non si cristallizza in nessuno dei tre. Glielo permettono la sua totale assenza di serietà o la sua ironia. Falstaff smantella, come si dice oggi, tutto l'edificio identificatorio della persona. Ma la persona - mi pare abbia detto Freud - non è che un precipitato di identificazioni: a smantellarla ci si confronta con la morte. E' su questo limite che si impernia la cesura tra libido e rappresentazione. Quanto al lavoro di Arrabal, esso ha la sua molla in una specie di combinatoria dove tutte le coppie possibili si fanno e si disfano a partire dai due soli personaggi del dramma: l'architetto e l'imperatore d'Assiria e cioè l'indigeno, il selvaggio dell'isola e il civilizzato paracadutatevi sopra; i due si trovano così ad essere successivamente imperatore-suddito; professore-allievo; uomo-donna; giudice-criminale; io-l' altro; io-il doppio; madre-figlio; uomo-Dio; etc. .... Questo accoppiamento culmina alla fine in un'identificazione antropofaga: l'Imperatore chiede all'Architetto di ucciderlo a colpi di martello e di mangiarlo. Cosa che l'architetto farà. Ma allora diventerà imperatore e un altro uomo cadrà dal cielo. Il sipario si chiude sul completo rovesciamento dei ruoli: l'indigeno è interpretato dall'ex imperatore ed è l'ex indigeno ad essere paracadutato e a rivestire il costume dell'imperatore. Non è il caso di insistere qui sul rovesciamento dei ruoli che è uno dei punti essenziali della nostra tecnica. Nella seduta consacrata a questa commedia, abbiamo potuto assistere a tre scene durante le quali sono stati prima due uomini, poi due donne, e quindi un uomo e una donna a costituirsi in coppia. Già le scelte erano significative.
I due uomini, diciamo Christian e Claude, non si sono realmente incontrati. Claude voleva essere solo e Christian lo infastidiva. Christian nel ruolo dell'indigeno non era affatto contento. Era un indigeno molto angosciato il cui solo mezzo di espressione era l'interrogativo. Egli era letteralmente dipendente dalla persona di Claude. Andrée e Gertrude, della coppia di donne, si sono incontrate, ma Andrée che si credeva pronta a fare da madre a Gertrude, l'ha subito mandata altrove, a vedere ciò che accadeva, e Gertrude ha risentito crudelmente di questo abbandono. Gabrielle è caduta graziosamente dal cielo come una nuova Eva per quel vero selvaggio, più selvaggio della natura, cui ha dato vita Guy. Questa scena avrebbe potuto essere scritta e il gruppo è stato completamente affascinato dalla continua invenzione delle risposte e dalla vivacità dell'interpretazione. Guy ha innanzitutto imparato a parlare. Gabrielle ha dimenticato di essere venuta per interpretare un ruolo di donna come ha fatto notare Micheline. Così la coppia si è sciolta.
Gli 'attori' hanno così scoperto quale fosse la loro coppia elettiva e la legge di questa coppia elettiva. E' chiaro che gli attori del club hanno fatto fatica a smembrarsi radicalmente come i personaggi creati da Shakespeare e Arrabal. Ma è proprio qui che si vede il vantaggio di attingere al teatro esistente. Questo ricorso permette di misurare lo scarto. I grandi autori ci scuotono, ci fanno vacillare, forzano le nostre difese e ci obbligano a ridurre lo scarto in modo più efficace di quanto facciano le improvvisazioni sempre narcisistiche. Essi sono più duri, più crudeli nel senso di Artaud e si può dire che portino la peste, secondo l'espressione utilizzata da Freud per qualificare la psicanalisi e da Artaud per qualificare il suo teatro.
L'identificazione in ruoli crudeli, non è né l'identificazione narcisistica nella persona dello stesso sesso (esemplarmente la madre per la figlia) dove il modello assorbe il soggetto che si identifica, né l'identificazione morale nel grande Altro (esemplarmente il padre per la figlia) dove il soggetto introietta il suo modello; l'una e l'altra identificazione avvengono senza rappresentazione. E' la terza identificazione, quella che abbiamo detto progressiva; essa si interpreta a tre ed introduce alla simbolizzazione: è la rappresentazione in cui il soggetto è contemporaneamente se stesso (io, je), l'altro (padre o madre) e l'autore attivo del dramma; infine essa gestisce il posto vuoto del morto. Ecco tutto ciò che fa dello psicodramma e del rovesciamento dei ruoli, la tecnica propria dell'identificazione progressiva.
Ne 'II disagio della civiltà' Freud dice: ".... alcune civiltà o epoche civili, - forse l'intero genere umano - sono divenute 'nevrotiche' per effetto del loro stesso sforzo di civiltà? Alla disserzione analitica di queste nevrosi potrebbero ricollegarsi suggerimenti terapeutici...." (8). Qui Freud ci raccomanda la massima prudenza. E' in effetti difficile procedere per analogia a partire dalla nevrosi individuale. Comunque mi sembra che il nuovo teatro - almeno un nuovo teatro come quello di Bob Wilson ad esempio - il Club psychodramatique e lo stesso psicodramma analitico, possano essere proposti come delle terapie collettive per le nevrosi collettive fermo restando che la psicanalisi è la terapia adatta alla nevrosi individuale. Certamente, come ci avverte Freud, il lavoro teorico al livello collettivo è difficile. Non abbiamo delle società sedicenti normali da opporre alle società nevrotiche che ci permetterebbero di misurare lo scarto, ci dice Freud. Ma cosa vale lo scarto fra un individuo sedicente normale ed il nevrotico? Mi sembra che l'obiezione di Freud non regga. Lo scarto drammatico non avviene tra un individuo normale e l'anormalità : come abbiamo cercato di mostrare esso è, al limite, una rappresentazione anche se si traduce nello scarto tra il modello culturale e la pulsione. La concettualizzazione di tutto questo, non è cosa facile. Ma i risultati pratici ci impongono di proseguire lo sforzo di teorizzazione iniziato. Queste poche riflessioni non avevano altro scopo.
La Carde-Freinet, Marseille, Mai 1975
(trad. di Silvia Schwarz)
NOTE
(1) S. Freud, Psychopathische Personen auf der Biihne. 1905 (trad. it. Personaggi psicopatici sulla scena, in Saggi sull'arte la letteratura il linguaggio - voi. I -Boringhieri, Torino, 1969, p. 33). (2) S. Freud, op. cit., p. 35. (3) P. e G. Lemoine, Le psychodrame. Laffont, Paris, 1972 (trad, it. Lo psicodramma, Feltrinelli, Milano, 1973). (4) S. Freud, Zeitgemàsses iiber Krieg und Tod. 1915 (trad. it. Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in II disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino, 1971, p. 50). (5) E. lonesco, La cantatrice chauve, 1950 (trad. it. Teatro 1, Einaudi, Torino, 1961). (6) S. Freud, Personaggi psicopatici sulla scena, op. cit., p. 41. (7) F. Arrabal, Théàtre Panique. Christian Bourgois, 1967 (trad. it. Teatro Panico; L'architetto e l'imperatore d'Assiria, Milano libri, 1969). (8) S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur (trad. it. Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino, 1971, p. 129).
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RIASSUNTO - SUMMARY - RESUMÉ
L'A. descrive la tecnica di un tipo di gioco psicodrammatico più vicino al Living Newspaper di Moreno che allo psicodramma analitico: il Club Psychodramatique. Come nel teatro di Bob Wilson, ma con finalità psicoterapeutiche anziché artistiche, la ricerca del grido si contrappone alla vuotezza della parola del teatro borghese. L'identificazione nel personaggio di un testo costringe l'attore a far saltare il personaggio di copertura che indossa nella vita. In questo senso la scena teatrale e la scena dell'inconscio comunicano. Per Artaud il teatro è la peste come lo è l'analisi per Freud. La persona è per Freud un precipitato di identificazioni: a smantellarla ci si confronta con la morte. L'identificazione nei personaggi crudeli dei grandi autori come Shakespeare non è l'identificazione narcisistica nella persona dello stesso sesso, né quella morale nel grande Altro. Essa è un'identificazione progressiva che introduce alla simbolizzazione e in cui il soggetto è contemporaneamente se stesso, l'altro l'Autore del dramma.
The author describes the technique of a type of psychodramatic game closer to the Living Newspaper of Moreno than to the analytic psychodrama: the Club Psychodramatique. As in the theater of Bob Wilson, but with psychotherapeutic rather than artistic aims, the search for the scream is opposedto the emptiness of the speech of the bourgeois theater. The identification with the character of a text obliges the actor to throw off the protective character covering that he wears in life. In this sense the theatrical scene and the scene of the unconscious have things in common. For Artaud the theater is the plague, as is analysis for Freud. The ego is for Freud a rash of identifications: one dismantles it at the risk of death. Identification with the cruel characters of the great authors like Shakespeare is not a narcissistic identification in the self of the same sex, nor thal m orai x>ne in the great Other. It is a progressive identification that lets in symbolization in which the subject is himself, the other and the author of the drama at one and the same time.
L'auteur décrit la technique et les buts du Club Psychodramatique, un type de jeu psychodramatique plus proche du 'Living Newspaper' de Moreno que du psychodrame analytique. Gomme dans le théatre de Bob Wilson, mais avec une finalité psychothé-rapeutique ainsi qu'artistique, la recherche du "eri", méme s'il n'est pas très fort, s'oppose a la vacuité de la parole du théatre bourgeois. L'identification au personnage d'un texte célèbre oblige l'acteur a faire éclater le personnage de couverture qu'il endosse dans la vie. Dans ce sens la scène théatrale et la scène de l'inconscient communiquent, Pour Artaud le théatre est la peste comme l'est l'analyse pour Freud. La personne pour Freud n'est qu'un precipite d'identifications: a déconstruire on défie la mort. L'identification aux personnages cruels des grands auteurs comme Shakespeare n'est pas l'identification narcissique a la personne du méme sexe, ni l'identification morale au grand Autre. Elle est la troisième Identification, progressive qui se joue a trois et introduit a la symbolisation dans laquelle le sujet est a la fois lui-méme Gè) l'autre et l'auteur du jeu.
(trad. di Silvia Schwarz) |