L'APPROCCIO DELLO PSICODRAMMA ALL'EPILESSIA di Henri Fromm
Senza discutere qui delle differenti forme di epilessia e senza cercare il significato univoco del sintomo - cosa che sembra veramente impossibile - vorrei provare a enucleare una logica della crisi per poi mostrare come lo psicodramma costituisca una via possibile e ancora inesplorata per articolare questo sintomo nella storia del soggetto, indipendentemente dal fatto che esista o meno un'origine organica della malattia.
Generalmente durante le sue crisi l'epilettico non si vede. Egli è assente. Ma se il soggetto è abolito in questa avventura regressiva al confine con la morte, le crisi si manifestano tuttavia come uno spettacolo. Spettacolo proibito, certo, giacché ispira orrore e disgusto al testimone occasionale. Si ha l'impressione di un corto circuito: di un assente che goda (la crisi pare essere vicina a un godimento non limitato dal piacere) e di uno spettatore terrorizzato e nello stesso tempo assente per il soggetto in preda alle sue crisi. Se lo spettacolo è dato dall'Altro, il soggetto non è tuttavia accessibile né alla parola né allo sguardo altrui; è solo in un secondo momento che egli potrà vedersi nello sguardo dell'Altro. Molto spesso non rimane nessuna immagine di questi episodi, passaggio a vuoto senza nessuna rappresentazione, momenti bruschi di scarica pulsionale vicini al godimento. E se si può essere spettatori dello spettacolo che si da tramite lo sguardo dell'Altro questa dimensione è eliminata dalla crisi.
Inoltre se le crisi si succedono non c'è ripetizione in una domanda che mira a integrare l'Altro nel suo fantasma, a rendere l'oggetto adatto al fantasma. L'epilettico troverebbe dunque un certo piacere in uno spettacolo dal quale è assente e di cui niente è simboleggiabile, in quello che significa rispetto all'Altro.
Il godimento che il soggetto ottiene nel reale - anticamente l'epilessia era chiamata male sacro - rigetta il soggetto là dove non può darsi un significato.
E' indicato lo psicodramma in questo caso? Non si rischia puramente semplicemente di provocare delle crisi come può farlo qualsiasi modificazione nell'ambiente o nell'universo affettivo del soggetto?
E' un adolescente, Sylvie, che ci ha messo sulla strada di un possibile intervento. Sylvie, di sedici anni, è entrata nell'ospedale psichiatrico nel dicembre del 1970 dopo aver avuto diverse balie ed essere stata all'IMP dall'età di due anni e mezzo. Poche cose appaiono rilevanti nella sua storia se non che le sue due sorelle sono nate insieme a lei (un parto trigemino), l'una considerata una debole mentale leggera, l'altra meglio inserita. Sylvie è epilettica e ha delle crisi dalla prima infanzia. Delle tre ragazze è quella più rifiutata perché i suoi genitori l'affidano nel 1968 all'assistenza pubblica e da quando è arrivata in ospedale vengono a trovarla molto raramente rifiutando spesso di portarla con loro durante le vacanze scolastiche. Attualmente il suo trattamento è ben equilibrato e non abbiamo mai assistito a crisi nel padiglione dove è ricoverata. Tant'è vero che si era pensato a un gruppo di psicodramma soprattutto per le sue difficoltà caratteriali. La ragazza partecipava regolarmente a un gruppo settimanale portandovi spesso delle scene dove manifestava il desiderio di rompere tutto sia nell'ospedale che dai suoi. Finché un giorno, parlando di un altro bambino del suo padiglione, anche lui epilettico ma gravemente malato e che sarebbe morto pochi giorni dopo, Sylvie esclamò: "Le crisi - è giusto - morirà - è giusto - i suoi genitori saranno ben puniti! " Alcune sedute dopo raccontava che era andata a passare il fine settimana in famiglia; lì aveva di nuovo avuto delle convulsioni e riferiva l'episodio in questo modo: "Era di sera, i miei genitori stavano in un grande letto. Anch'io sono in un grande letto. Ho una crisi; mia madre viene a vedermi". L'animatore propone allora di recitare la scena. Sylvie accetta ma si mette a ridere, rifiuta di muoversi: è incapace di recitare e sul punto di avere una crisi. Per giocare il ruolo di sua madre aveva scelto la co-animatrice. L'animatore fa invertire il ruolo: l'effetto dell'intervento è evidente; Sylvie cessa di ridere; gioca il ruolo di sua madre con molta partecipazione, cerca di venire in aiuto dell'animatrice (che impersona in quel momento la parte della ragazza) e soprattutto la guarda.
Proviamo brevemente a chiarire quello che è accaduto durante questa seduta.
Il cambiamento dei ruoli ha evitato l' esplosione di una crisi (cosa in fondo che non avrebbe avuto una grande importanza, ma dove sarebbe stato il beneficio? ) senza tuttavia qualificare di proibito il sintomo. Ma, al di là di questa rottura, la crisi è stata introdotta in un'altra dimensione. Freud, a proposito delle crisi infantili di Dostoievskij (che non erano state vere crisi di epilessia ma di isteria o di istero-epilessia) scriveva che questi episodi realizzavano l'identificazione con una persona morta o di cui si è desiderata la morte: "l'accesso ha il valore di una punizione. Si è desiderata la morte di qualcun altro, e adesso si è quest'altro e si è morti a propria volta" (1).
Ora nella scena Sylvie era l'Altro ma l'Altro vivente. E nel ruolo di sua madre si mostrava del tutto diversa da lei, attenta e commossa ma anche sottomessa e punita. Si sono qui condensati due poli del gioco. La madre di solito rifiutante e sadica era stata sostituita con una madre immaginaria messa con le spalle al muro, obbligata ad assistere la sua bambina. Ciò riporta all'identificazione nella madre con un oggetto tenuto sotto controllo (e morto nella crisi) e all'identificazione in uno dei personaggi della scena primaria assai vicina ("i miei genitori stanno in un gran letto"). Il significato della crisi nei confronti dell'Altro si rivela nella recitazione: è nel ruolo della madre che si libera la via al fantasma mentre prima la crisi si svolge nel reale. Tanto più che l'io ausiliario gioca la crisi e verbalizza la costrizione così imposta alla madre dicendo: "Così mi devi venire a trovare". D'altra parte, nel ruolo della madre Sylvie è capace di sostenere la scena con lo sguardo e di venire in aiuto all'io ausiliario, cosa che ha sicuramente un aspetto riparativo (L'identificazione in una buona madre): in questo gioco si ha l'impressione che le pulsioni sadiche dirette contro il soggetto, nel corso della crisi, siano sopportate al posto dell'Altro come spettatore, senza che egli ne sia distrutto, permettendo di indirizzare le pulsioni aggressive e introducendo l'identificazione in un Super-io materno meno persecutorio.
E' dunque al posto della madre, dell'Altro che viene a rivelarsi il fantasma. E il fatto di articolarlo a una parola permette a questo punto di farlo circolare. Al posto di una scarica pulsionale si mette in scena il fantasma. E' su questo punto che volevamo insistere nella conclusione per riprendere in un prossimo articolo le nozioni di schema corporeo e di identificazione nell'epilessia.
(Trad. di Dominique Berjaud)
NOTE
(1) Pour un approche psychodramatique de l'èpilepsie in Bullettin de la Sept, op. cit., n. XXXVII, Oct. 1974.
(2) S. Freud, Dostoevskij und die Vatertòtung. 1927 (trad, it. Dostoevskij e il parricidio. In Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio. Boringhieri, Torino, 1969, voi. I, p. 330).
RIASSUNTO / SUMMARY / RESUMÉ
L'Autore propone di utilizzare lo psicodramma per comprendere il significato psicodinamico delle crisi di epilessia.
Durante queste il soggetto è assente anche se sembra dare spettacolo, mentre il godimento ottenuto dal malato nel reale lo rigetta là dove non può darsi un significato.
Lo psicodramma permette di verificare l'idea di Freud a proposito dell'epilessia di Dostoiewskij secondo la quale durante le crisi il soggetto realizza l'identificazione con una persona di cui desidera la morte sopportando al suo posto le pulsioni sadiche. Durante il gioco, grazie al rovesciamento dei ruoli è possibile esplicitare il fantasma e metterlo in scena al posto di una nuova scarica pulsionale.
The autor proposes using the psychodrama to' understand the psychodynamic meaning of epileptic crises. During these crises the subject is absent even if he seems to be putting on a show; besides, the enjoyment obtained by the epileptic really throws him back there where no meaning is possible for him.
The psychodrama permits the confirmation of Freud's hypothesis, concerning Dostoyevsky's epilepsy, according to which the subject achieves identification during the crises with a person whose death he desires, enduring in his place the sadistic drives. During the play, thanks to the reversal of the roles, it is possible to make the phantasm explicit and to produce it in the place of a new drive.
L'auteur propose d'utiliser le psychodrame pour comprendre la signification psychodynamique de la crise d'épilepsie. L'épileptique ne se voit généralement pas quand les crises surviennent. Il est absent méme s'il semble donner un spectacle, en outre la jouissance que le malade obtient dans le réel le rejette là où il ne peut se signifier.
Le psychodrame permet de vérifier l'idèe de Freud a propos de l'épilepsie de Dostoiewskij, suivant laquelle pendant la crise, le sujet realise l'identification avec une personne de laquelle il désire la mort, supportant a sa piace les pulsions sadiques. Durant le jeu, gràce au changement des ròles, il est possible de révéler le fantasme, de le mettre en scène a la piace d'une nouvelle décharge pulsionelle.