ACTING OUT O PASSAGGIO ALL'ATTO? di Paul Lemoine
Pubblichiamo qui la relazione presentata da Paul Lemoine al congresso dell 'Ecole Freudienne de Paris tenutosi a Strasburgo nel marzo 1976 sul tema Inibizione e acting out.
Il tema dell'acting out era stato precedentemente affrontato durante Les journées provinciales de printemps del 1963 dalla Società Francaise de Psychanalyse; in questa occasione Pierà Aulagnier e J.B. Pontalis presentarono una relazione sul caso clinico di Gilberte, alla quale Lemoine si ricollega in questo suo studio. Gilberte nel corso della sua analisi era rimasta vittima di un incidente automobilistico, un avvenimento non fortuito che i due autori mettevano in rapporto ad un'osservazione fatta dall'analista a commento di un sogno. Oltre che a questa relazione di Aulagnier e Pontalis, al momento della quale la distinzione tra acting out e passaggio all'atto era del tutto nuova, Lemoine fa riferimento al seminario di Lacan sull'angoscia del 1963 (1) nel quale il problema era stato affrontato prendendo in esame un caso clinico di Freud del 1920 (2). Si tratta dell'analisi di una diciottenne omosessuale1 di buona famìglia invaghitasi perdutamente di una signora dalla discutibile reputazione e di dieci anni più adulta di lei. Lacan, tra l'altro, nel commentare la conclusione di questo caso notava che Freud, mandando la paziente da un'analista di sesso femminile la lasciava cadere, rinnovando l'atto della paziente in seguito al quale ella era stata spinta dai genitori al trattamento analitico: un tentativo di suicidio nel quale "si era lasciata cadere" dall'alto di un parapetto.
Un chiaro esempio di passaggio all'atto descritto da Freud è il tentato suicidio della giovinetta omosessuale che, poco dopo aver incrociato lo sguardo furente del padre che l'aveva incontrata a passeggio con la signora oggetto della sua ammirazione, con un atto impulsivo scavalcò il ponte del trenino che attraversa Vienna.
E' invece problematico stabilire se l'incidente di macchina della paziente di nome Gilberte (che nella loro relazione del 1963 Aulagnier e Pontalis descrivono come dovuto ad un'osservazione dell'analista sulla castrazione della donna) costituisca un acting out o un passaggio all'atto. L'intenzione di Gilberte non è chiara e cosciente; non sembra che l'incidente avesse nulla di impulsivo e l'analizzante non sapeva come mai fosse capitato.
Ma innanzi tutto come definiamo questi termini alla cui distinzione diamo tanta importanza?
Sappiamo dall'interessante relazione di Laxenaire al congresso dei neurologi di lingua francese nell'estate del 1975 che Moreno forgiò, la locuzione americana di acting out nel 1932 per indicare tanto un agire irrazionale nell'esistenza quanto un agire terapeutico nel trattamento dello psicodramma.
Il passaggio di Moreno citato da Laxenaire osserva:
"La differenza (dello psicodramma) con la psicanalisi sta nell'ipotesi che la memoria dei ricordi sia facilitata da una scarica nell'azione (dramatischen ausleben): il termine americano corrispondente acting out, da me introdotto nel 1932, trova con difficoltà il proprio equivalente" (3).
L'acting out è un fare al posto di un dire. Il passaggio all'atto è un atto impulsivo e violento che il soggetto non ha neanche il tempo di inscenare, come fa nell'acting out, perché esso dura solo un breve istante.
Un secondo motivo per riproporci qui il problema acting out o passaggio all'atto? mi sembra dovuto alla confusione introdotta nel loro intervento del 1963 da J.B. Pontalis e Pierà Aulagnier.
Questi autori hanno invertito il senso delle due parole, definendo acting out ciò che Lacan - basandosi sull'uso del termine in criminologia - chiama nel suo seminario sull'angoscia passaggio all'atto ; e invece transfert agito nell'analisi ciò che Lacan chiama acting out, sia che l'atto si verifichi nel corso dell'analisi, sia che si verifichi fuori di essa (l'acting out della giovinetta omosessuale descritta da Freud avvenne fuori dell'analisi come, d'altra parte, il suo passaggio all'atto).
In questo intervento viene fatto ricorso alla terminologia di Lacan, dando particolare attenzione al passaggio all'atto e alla sua transizione con l'acting out, come indica il titolo.
Nei due casi presi in esame, quello della giovinetta omosessuale e quello di Gilberte, il passaggio all'atto ha origine da un istante di confusione in cui l'angoscia spezza il fragile equilibrio conservato nella condotta ostentata dell'acting out. E' così che, dopo aver incrociato lo sguardo sdegnato del padre, la giovinetta lascia di colpo il braccio della diletta signora e, tentando il suicidio, cade giù dal ponte (niederkommt). Nella sua disperazione, dice Lacan, il soggetto diventa l'oggetto della pulsione stessa. Nel secondo caso, quello di Gilberte, il soggetto diventa allo stesso modo l'oggetto di questa pulsione, al posto dell'analista che avrebbe dovuto rimanerlo.
La tesi del nostro intervento infatti afferma che nel preciso momento del passaggio all'atto, si alternino due pulsioni contraddittorie e, cionondimeno, affini: la pulsione scopica e quella anale. Questa ultima che, nel corso dell'acting out provocatorio della giovinetta di Freud, era stata rimossa, smette di esserlo nell'atto suicida. Quanto al caso di Gilberte, vedremo che la paziente viene condannata all'incidente da un particolare comportamento dell'analista.
Non tralasceremo di accostare all'acting out e al passaggio all'atto un terzo modo di agire apparentemente simile: l'atto mancato. Cosi vi osserveremo meglio il gioco distinto della pulsione anale e di quella scopica e la misura in cui lo scarto rispetto al passaggio all'atto sia maggiore di quel che sembri.
1 - II caso della giovinetta omosessuale
A proposito della giovinetta omosessuale Freud insiste sulla polivalenza del termine niederkommen che significa cadere (venir en bas, tomber) e anche partorire (mettre bas, accoucher) (4): cadendo la paziente non solo cade, come si suoi dire, dalle nuvole, ma partorisce il bambino del padre proprio nel momento in cui è lei stessa quel bambino desiderato che sente di non essere più dopo la nascita del fratello (ed è questo il motivo cui Freud fa risalire la genesi di questo caso di omosessualità femminile). Avere il bambino non corrisponde tanto, sottolinea Lacan nel suo commento, al desiderio di diventare madre, quanto a quello di possedere il fallo. Non si può spiegare altrimenti il senso della condotta cavalieresca della fanciulla nei confronti della signora.
E' questo anche il senso della sfida lanciata al padre, sfida che - come ci avverte Freud - non è emersa dall'analisi ma va dedotta dal comportamento della paziente. Quando smette di provocare il padre, quando abbandona la posizione fallica, quando l'acting out non è più possibile, la fanciulla cade, diventa oggetto anale. Ma non è tutto; il suo tentato suicidio obbliga il padre a gettare su di lei un altro sguardo, è a questo punto che si verifica la svolta scopica; la ragazza gioca con la propria morte per spingere il padre a un riconoscimento simbolico che la faccia rinascere e lo ottiene attraverso lo sguardo.
E' la stessa mossa che tenta la paziente di Aulagnier e Pontalis; quando ha un incidente di macchina, sotto choc invoca il nome dell'analista e cerca mentalmente il suo sguardo; non si tratta dunque di un atto mancato né, forse, di un acting out ma di qualcosa di simile al passaggio all'atto. Ne discuteremo nella seconda parte.
Nel caso di Freud, a partire dal suicidio della giovinetta, possiamo dire che l'atteggiamento del padre nei confronti della figlia muta: egli la manda da Freud e lei in cambio si impegna a fare degli sforzi per curarsi. Se poi non riuscirà a guarire è perché Freud, come nota Lacan, la abbandona mandandola da un'analista donna. In questo caso è Freud che passa all'atto. Il riconoscimento simbolico è comunque fallito per la paziente: ancora una volta un uomo le rifiuta il suo sguardo. Freud scrive di averlo fatto "per motivi evidenti", intendendo senza dubbio con ciò che per un'omosessuale dovrebbe essere più facile parlare di cose del genere con una donna.
Ma torniamo al suicidio tentato dalla paziente. Freud si chiede dove un suicida trovi il coraggio di porre fine ai suoi giorni. La giovinetta distruggendo la parte di sé che odia, pretenderebbe di distruggere l'identificazione con la madre. E' dunque possibile aggiungere che un'altra parte amata da lei vuole vivere ancora ed è pure possibile domandarsi se in un certo numero di casi non sia più importante per il suicida, piuttosto che vivere, esistere simbolicamente. "Se muoio avrò il mio nome sui giornali" mi diceva un adolescente che voleva attirare su di sé lo sguardo della gente in mancanza di quello dei genitori negando cosi la morte cui lo condannava la regressione anale (voleva anche lui buttarsi giù da un ponte). Questa denegazione passa per lo specchio: il corpo nello specchio diventa immagine e si alleggerisce, e il riconoscimento simbolico gli proviene dallo sguardo dell'altro.
Nel caso della giovinetta omosessuale notiamo che lo sguardo del padre la fa decadere, quello della donna la fa cadere. Il suo gesto è spiegato, oltre che dall'identificazione con la madre, forse - e altrettanto - dalla ricerca di un riconoscimento simbolico in grado di negare il deserto in cui questi sguardi l'hanno relegata. Nella momentanea convergenza del raptus suicida non c'è forse l'implicazione contraddittoria della pulsione anale (uccidere la madre abbattendosi al suolo) e di un rapporto scopico simbolico (diventare oggetto dello sguardo dell'altro)?
E' in questo stesso modo che il pittore trasforma la materia che stende sulla tela: al piacere della defecazione egli sostituisce il sublime piacere dello sguardo. E non c'è forse nell'esigenza di riconoscimento del pittore la stessa denegazione della morte? E nel cambiamento di stato che subisce una materia bruta alleggerendosi ,non c'è forse la stessa coincidenza pulsionale? Non appena nella nostra fanciulla nasce un'intensa angoscia, per lei l'opposizione delle due pulsioni si risolve momentaneamente: partorisce sotto gli occhi della donna. In quello stesso istante diventa oggetto anale e oggetto di sguardo.
Ci è sembrato che il paragone con un altro tipo di atto, l'atto mancato, che si verifica nel corso della fobia di impulso, permetterebbe di chiarire meglio la relazione che corre tra lo scopico e l'anale. Infatti in questo caso osserviamo che la pulsione scopica viene rimossa in favore di quella anale. Le due pulsioni si ignorano reciprocamente: è per questo che l'atto mancato non risolve la tensione conflittuale.
L'ignoranza reciproca di queste due pulsioni è tanto più sorprendente in quanto è impossibile non restare colpiti dal notevole peso della pulsione scopica nei soggetti afflitti da fobia di defenestrazione. La finestra è uno specchio privo di riflessi: anch'essa guarda e se essi non si lasciano cadere è perché questo sguardo non è quello di una persona. Quindi è soltanto la pesantezza dell'anale che emerge dagli atti mancati di questi soggetti. Un paziente che cade dalle scale o che rompe un oggetto, lasciandolo cadere, non sfida né invoca nessuno. Atti come questi sfuggono al piacere: l'accordo delle due pulsioni e il turbamento che ne consegue non si verificano in seguito alla rimozione della pulsione scopica.
Si è d'altra parte sorpresi del valore assunto dal piacere scopico nell'acting out e anche al momento del passaggio all'atto: sguardi del padre diretti sulla giovane figlia omosessuale mentre lei lo sfida nel corso del suo acting out, o sguardi della signora quando la fanciulla passa all'atto.
Ciò ci porta necessariamente a prendere in considerazione i rapporti della pulsione scopica con la castrazione. Li mostreremo nella seconda parte attraverso il caso Gilberte di Aulagnier e Pontalis.
Diciamo sin d'ora che. mentre l'acting out dell'ostentazione fallica è indicato da un +(psi) che invoca ammirazione, il passaggio all'atto che invoca l'amore è indicato da un - (psi) di disperazione. E' questo rovesciamento a indicare la trasformazione nelle due pazienti, l'omosessuale e Gilberte; è questo passaggio a mutare lo sguardo dell'altro, padre o analista.
2 Il caso di Gilberte
Vorrei verificare quanto ho appena affermato circa il rapporto delle pulsioni tra di loro ed esaminare come esse siano legate alla castrazione, attraverso il caso di Gilberte.
Come ci viene detto chiaramente da Aulagnier e Pontalis, Gilberte, che non ha trovato nella maternità soddisfazioni sufficienti (ha un bambino sordo), fa un'analisi allo scopo di dominare il suo amante: i loro rapporti sono infatti costellati di scene selvagge e lei vuole prevalere e avere il fallo, come la giovinetta omosessuale di Freud. Sogna di fare l'amore, come se fosse un uomo, con la sua amica Jacqueline ma il seguito del sogno la mostra nuda, rannicchiata davanti allo specchio e nello specchio vede il suo sesso. A questo punto interviene l'analista osservando che Gilberte fa l'amore come se fosse un uomo ma quel che appare è un sesso di donna. Non è che un sesso di donna, si intende. Francoise Dolto e Jacques Lacan (5) criticarono all'epoca questa fredda accoglienza da parte dell'analista, la prima rimproverandole l'implicito disprezzo della femminilità, il secondo rilevando che l'analista non aveva colto un appello che era molto simile a una dichiarazione d'amore. Si tratta del resto di episodi comuni: non è il caso di spaventarsene. Comunque è un tale rifiuto a scatenare una serie di azioni: prima un atto mancato, la perdita per le scale dello studio analitico del portachiavi dell'automobile (che come emblema fallico aveva un aspetto importante, ci viene detto) poi, quando questo portachiavi viene restituito, un incidente di macchina che danneggerà l'altro emblema fallico, cioè la vettura, violentemente investita.
Portachiavi e automobile, testimoni della potenza di Gilberte, sono elementi di dimostrazione - di ammirazione, abbiamo detto - destinati a coprire la mancanza svelata dal sogno: al posto del pene non c'è niente, conferma l'analista a Gilberte, nient'altro che il suo sesso. L'automobile distrutta nell'incidente non sarà più che un oggetto anale staccatesi da Gilberte, invece di essere la cosa ostentata, il +(psi) che fa parte del suo corpo.
Ma la perdita del portachiavi e l'incidente, nonostante la loro analogia, non sono fenomeni della stessa natura: la prima è un atto mancato, l'altro è un passaggio all'atto.
L'atto mancato (la perdita delle chiavi) non risolve la tensione: ne è prova l'incidente successivo. La paziente lascia il portachiavi e se ne ritorna a casa in taxi ugualmente angosciata. La seduta non ha fatto che accentuare la tensione. Dopo tutto Gilberte sarebbe potuta cadere per le scale o sul marciapiede, si sarebbe trattato dello stesso oggetto anale.
Quando, in compenso, le viene restituito il portachiavi - e l'analista esitò molto a farlo mostrando di rendersi conto dell'errore che stava commettendo - la paziente entra in possesso di un oggetto trasformato dall'attenzione di cui era stata lei stessa oggetto. Così l'incidente di macchina porta accanto al segno della pulsione anale, quello della pulsione scopica: è questo un desiderio che riguarda qualcuno, l'analista, di cui Gilberte pronuncia il nome quando si verifica l'incidente. Questo atto che porta il segno delle due pulsioni, sembra essere, ma in un senso solo, quello cui abbiamo riservato la denominazione di passaggio all'atto, l'equivalente della caduta della giovinetta omosessuale; la paziente vi agisce ugualmente la sua angoscia e la sua impotenza; diventa l'oggetto (a) (6) sotto lo sguardo dell'altro. A livello scopico vi ricava piacere perché obbliga l'analista - come la giovinetta obbliga il padre - a ridiventare oggetto (a) e a sopportare di nuovo il peso della sua angoscia. Arrendevole all'oppressione dello choc, Gilberte lo è anche allo sguardo dell'analista che ha interiorizzato e al quale offre simbolicamente la sua possibile morte. L'incidente è caratterizzato dalla contraddizione per cui è lo stesso oggetto a distruggersi (oggetto anale) e a volare (oggetto scopico) come l'automobile di carta spiegazzata vista in un sogno.
Al contrario dell'atto mancato, al momento della sparizione delle chiavi (messaggio che falliva il suo destinatario), qui l'atto fa ritorno al mittente, all'analista che non ha avuto lo sguardo giusto al momento giusto: troppo spregiativo prima, troppo partecipe poi.
In realtà questa analizzante è attratta dallo sguardo dell'altro, ma anche dal proprio. "E' disgustoso essere narcisisti a tal punto" dice. Lo sguardo le consente di negare la mancanza, il - "psi" della castrazione; preferirà quindi la perdita dell'oggetto anale (distruggere l'automobile) piuttosto che rinunciare allo sguardo (dell'analista). Il reale è meno temibile della mancanza ad essere; l'incidente meno della castrazione. Questo porta Pontalis e Aulagnier a dire che Gilberte sostituisce un realdetto al verdetto : l'atto prende il posto della verità; ella sceglie di farsi oggetto (a) e di mascherare il - "psi".
L'interesse dell'osservazione sta nel rilevare come, a causa dell'analista, un acting out vissuto nel transfert si sia rovesciato in un atto in cui la natura dell'oggetto (a) si è trovata trasformata. L'acting out faceva prevalere la soddisfazione scopica a detrimento della pulsione anale rimossa; la paziente viveva se stessa come oggetto fallico il che dimostra quanto siano complesse le relazioni tra fallo e sguardo. Quando, in seguito ad una sottile ridda di mosse false del trattamento - di cui si respira l'atmosfera anche se ne vengono descritte solo due, e che riducono Gilberte, al momento dell'incidente, al nulla impotente della sua femminilità - la paziente preferisce per la priorità della pulsione anale, diventare rifiuto, allora si comprende che il suo realdetto non è che la conseguenza del verdetto emesso dall'analista sulla castrazione nell'interpretare il sogno.
Si può dunque definire realdetto un atto in cui, durante il transfert, il gioco delle pulsioni anali non è presente che per fare ritorno alla pulsione scopica (la morte del corpo in cambio dello sguardo dell'analista: è questo lo scopo del commercio). Il fatto è che il passaggio all'atto è molto vicino: al tempo dell'incidente l'oggetto (a) serve a nascondere anche il -"psi" della castrazione.
3 Conclusione
La differenza tra acting out e passaggio all'atto è netta nel caso della fanciulla omosessuale; lo è meno nel caso di Gilberte. "Non so come mai sia accaduto" diceva questa del suo incidente. Ma il fatto che un atto sia involontario, cioè inconscio, è forse sufficiente perché vada definito diversamente che come passaggio all'atto? L'impulsività dell'atto cosciente e volontario (ma lo è poi veramente? ) basta a favorire un passaggio all'atto nell'incidente provocato dall'inconscio nell'acting out di una cura. E' l'analista, si sa, che provoca il realdetto, parola che designa, all'insaputa di Aulagnier e Pontalis, il loro zoppicamento di terapeuti. Ci si ricorderà che Gilberte scelse di essere oggetto (a) in luogo e al posto dell'analista e che il suo .sguardo invocava uno sguardo d'amore per la sua mancanza. In tutto e per tutto come la giovane omosessuale. E' dunque opportuno chiamare questi comportamenti in modo diverso: uno passaggio all'atto, l'altro acting out o realdetto (poiché Gilberte invoca l'analista) o piuttosto pensare che si tratti di due modalità di passaggio all'atto? Anche se differisce il livello di coscienza dell'impulso che anima Tatto, le pulsioni operanti sono infatti le stesse in entrambi i casi.
(trad. di Gabriella Ripa di Meana)
NOTE
(1) J.Lacan, seminario sull'angoscia inedito, del 1963.
(2) S.Freud, Uber die Psychogenes eines Falles von weiblicher Homosexualitàt. Originariamente apparso in Zeitschrift, Bd. VI., 1920, ristampato in Sammlung, Fiinfte Folge. (Trad. it. inedita).
(3) Cfr. M.L. Moreno, Gruppenpsychotherapie - und psychodrama. Einleitung in die Theorie und Praxis, G. Thieme Verlag, Stuttgart (2° ed. ampliata 1966-67). La traduzione francese utilizzata da Laxenaire è del 1963.
(4) Slmilmente in inglese dove il verbo to fall, cadere, ha pure un uso colloquiale allusivo all'essere incinta e al partorire (N.d.t).
(5) Nel corso della discussione che fece seguito alla lettura della relazione.
(6) Secondo Lacan l'oggetto (a) è nell'analisi lo psicanalista, causa del desiderio del paziente. In questo caso la situazione si rovescia e Gilberte diventa causa del desiderio dell'analista.
SUMMARY - RESUMÉ - ZUSAMMENFASSUNG - RESUMEN
With reference to a case described in 1963 by P. Aulagnier and J.B. Pontalis and to the case of the homosexual girl described by Freud, the author describes the difference between "acting out" (a terni created in 1932 by Moreno to indicate either an irrational behaviour in re al life or a therapeutic behaviour during the psycodrama) and the transition to action (passage a l'acte), an impulsive and immediate variant of acting, out itself. The author's thesis is that in the precise moment of this transition one is faced with two contradictory but not unlike drives which manifest themselves in alternation: the scopic drive and the anal drive. Their dynamic interrelationship is also shown through a third kind of occurrence: parapraxis, an event which occurs as part of an impulsive phobia when the scopic drive is misplaced by the anal drive. The relationship between the scopic drive and castration is also examined, so that the difference between what is actually said, the realdict, and what is truly said, the verdict, becomes manifest.
En référence a un cas d'Aulagnier et de Pontalis de 1963 et au cas de la jeune homosexuelle de Freud, on analyse les différences entre l'acting out (terme inventa en 1932 par Moreno pour exprimer soit une action irrationelle de l'existence, soit une action therapeutique dans le cadre du psychodrame) et le passage a l'acte qui en constitue una composante impulsive et immediate. On soutient qu'au moment précis du passage a l'acte s'alternent deux pulsions contradictoires et pourtant parentesi la pulsion scopique et la pulsion anale. Leur dinamique devient claire en confrontant aux deux premiers un troisième acte: l'acte manqué, qui se produit au cours de la phobie d'impulsion et a travers laquelle la pulsion scopique est refoulée au profìt de la pulsion anale. On prend en consideration le rapport de la pulsion scopique avec la castration et on désigne la difference entre réeldict et verdict dans l'analyse.
Am Beispiel eines Falles von Aulagnier und Pontalis (1963) und des Falles eines homosexuellen Maedchen von Freud, werden die Unterschiede von "acting out" (agieren) (ein im Jahre 1932 von Moreno gepraegter Ausdruck, der sowohl irrationale Handlungen im existenziellen Leben, als auch therapeutisches Handeln im Rahmen des Psychodramas bezeichnet) und "Passage a l'acte" untersucht, wobei dieser als eine impulsive und sich unmittelbar aeussernde Variante des "acting out" verstanden wird. Es wird festgestellt, dass sich im Moment des "passage a l'acte" zwei gegensaetzliche, jedoch verwandte Triebe abloesen: der aufdeckende und der anale Trieb. Die Dynamik dieser beiden Prozesse, wird verdeutlicht durch den Vergleich mit einem weiteren Vorgang, der Fehlleistung, die sich in der Triebangst aeussert und in der, der aufdeckende Trieb vom analen Triebe verdraengt wird. Schliesslich wird die Beziehung zwischen dem aufdeckenden Trieb und der Kastration erlaeutert und der Unterschied zwischen "réeldict" und "verdict" in der Analyse aufgezeigt.
Refìriéndose a un caso de Aulagnier y Pontalis del 1963, y al caso de la jovencita homosexual de Freud, se analizan las diferencias entre el "acting out" (te'rmino acunado en 1932 por Moreno para indicar tanto una acción irracional en la vida como una acción terapeutica en el àmbito del psicodrama) y el "paso al acto" que constituye una variante impulsiva e inmediata. Se sostiene que, en el preciso momento del "paso al acto", se alternan dos impulsos contradìctorios pero afìnes: el impulso escópico y el anal. Su dinàmica se aclara tambien confrontandole con un tercer tipo de acto: el "acto fallido", que se verifica en la fobia de impulso y en el cual el impulso escópico es reprimido en favor del anal. Asi mismo se toma en consideración la relación entre impulso escópico y castración, y se esboza la diferencia entre "realmente dicho" y "verdaderamente dicho" en el psicoanàlisis.