IL RISVEGLIO DELLA PRIMAVERA di Jacques Lacan
Così un drammaturgo nel 1891 affronta la questione-grattacapo (1) di che cos'è mai, per i ragazzi, far all'amore con le ragazze, sottolineando che non ci penserebbero nemmeno senza il risvegliarsi dei lor sogni.
Notevole per esser messa in scena in quanto tale: ossia al fine di dimostrar con essa che la cosa non è per tutti soddisfacente, fino a confessare che se la cosa fallisce, fallisce per ognuno. Quanto dire che son cose mai viste.
Ma ortodosse quanto a Freud intendo: quel che Freud ha detto. Il che prova allo stesso tempo che persino uno di Hannover (dato che innanzitutto ne ho arguito, bisogna pur che lo confessi, che Wedekind era ebreo), dico e non è dir molto, è capace di accorgersene. Di accorgersi che c'è un rapporto del senso al godimento.
Che questo godimento sia fallico, è l'esperienza a risponderne. Wedekind, però, è una drammaturgia. Che posto assegnargli? E' un fatto che gli ebrei nostrani (freudiani) si interessano alla cosa.
Bisogna dire che la famiglia Wedekind ne aveva consumate di scarpe a girare pel mondo, partecipando ad una diaspora, idealista però: per aver dovuto abbandonare la terra materna in seguito a scacco di una attività "rivoluzionaria". Fu questo che indusse Wedekind, parlo del nostro drammaturgo, ad immaginarsi di essere di sangue ebraico? Per lo meno è quanto testimonia il suo miglior amico.
Oppure è una questione d'epoca, poiché il drammaturgo, alla data da me indicata, anticipa Freud e non di poco?
In quanto si può dire che alla data suddetta Freud cogita ancora l'inconscio, e che quanto all'esperienza che ne instaura il regime, nemmeno alla morte sarà arrivato a metterla con i piedi per terra.
Doveva toccare a me farlo prima che qualcun d'altro non mi precedesse o mi sostituisse (forse non più ebreo di quanto non lo sia io).
Che quel che è stato scovato da Freud di quella cosa ch'egli chiama sessualità faccia buco nel reale, è quanto si tocca con mano per il fatto che, non cavandosela come si deve proprio nessuno non per questo ci si fa maggiormente caso.
Eppure è un'esperienza alla portata di tutti. Designata dal pudore: cosa privata. Privata di che? appunto del fatto che il pube si mostri solo al pubblico, ove si esibisce come oggetto mostrato nel levarsi del velo.
Che il velo levato non mostri nulla, ecco il principio dell'iniziazione (alle buone maniere di società, per lo meno). Indicai a suo tempo il legame di tutto ciò col mistero del linguaggio e col fatto che è proponendo l'enigma che si trova il senso del senso. Il senso del senso è che esso si lega al godimento del ragazzo maschio in quanto godimento proibito. Questo non di certo per proibire il rapporto cosiddetto sessuale, ma per raggelarlo nel non rapporto da esso rapporto procurato nel reale.
Così svolge funzione di reale cosa che effettivamente si produce il fantasma della realtà ordinaria. Attraverso la quale si insinua nel linguaggio quel che esso trasporta: l'idea di tutto a cui pur tuttavia fa obiezione il pur minimo incontro nel reale.
Non c'è lingua che con esso non si sforzi, e non senza piagnucolare che essa fa come può, a dire "senza eccezione" o a rinforzarsi con un numerale. Solo nelle nostre, dico nelle nostre lingue, lui, il tutto, corre a rotta di collo a tu(tto) per tu (2), oserei dire. Moritz, nel nostro dramma, giunge tuttavia ad eccettuarsi, per questo Melchiorre lo qualifica di ragazza. Ed ha proprio ragione: la ragazza è una soltanto e vuoi restarlo, cosa che nel dramma non lascia tracce.
Resta il fatto che un uomo si fa L'uomo situandosi come Uno tra altri, intromettendosi tra i suoi simili.
Moritz, nell'eccettuarsene, si esclude nell'aldilà. E' solo laggiù ch'egli si conta: e non a caso tra i morti, in quanto esclusi dal reale. Che il dramma lo faccia tra loro sopravvivere, perché no? se l'eroe è morto in esso anzi tempo.
E' nel regno dei morti che "i non giocondi errano" (3), dirò con un titolo che illustrai.
Ed è per questo che non andrò errando più a lungo seguendo a Vienna, nel gruppo di Freud (4), le persone che decifrano alla rovescia i segni tracciati da Wedekind nella sua drammaturgia. Eccetto forse a riprenderli in quanto la regina potrebbe benissimo essere senza testa per il solo fatto che il re le abbia tolto il paio normale, di teste, che le spetterebbe.
Non è che l'Uomo detto mascherato serva qui a ripristinargliele (supponendo una faccia nascosta). Costui, che costituisce la fine del dramma, e non solo per il ruolo riservategli da Wedekind, quello di salvare Melchiorre dalla presa di Moritz, ma per il fatto che Wedekind lo dedica alla sua finzione, tenuta per nome proprio.
Vi leggo quanto a me quel che ho rifiutato esplicitamente a quanti si autorizzano a parlare solo come stessero tra i morti: ossia dicendo loro che tra i Nomi del Padre, c'è anche quello dell'Uomo mascherato.
Ma il Padre ne ha tanti e tanti che non ce n'è Uno che gli si addica, tranne il Nome di Nome di Nome. Non c'è Nome che sia il suo Nome Proprio, tranne il Nome come esistenza (ex sistence).
Ossia la parvenza (semblant), il sembiante, per eccellenza. E l'"Uomo mascherato" dice questo mica male.
Perché come sapere che cos'è se è mascherato, e non porta lui maschera di donna, in questo caso l'attore?
Solo la maschera esisterebbe al posto di vuoti in cui metto La donna. Con questo non dico che non ci siano donne. La donna in quanto versione del Padre, si figurerebbe (immaginerebbe) solo come Pére-ver-sion (5).
Come sapere se, come formulato da Robert Graves, lo stesso Padre in persona, il nostro padre eterno di tutti, è solo Nome tra gli altri della Dea bianca, colei che come egli dice si perde nella notte dei tempi, essendone la Diversa, l'Altra (l'Autre) per sempre nel suo godimento, tal quelle forme dell'infinito di cui1 iniziamo l'enumerazione solo nella misura in cui si sa che è essa, cioè che ci sospenderà, proprio noi.
1 settembre 1974
(trad. di Sergio Benvenuto)
NOTE
(1) "L'affaire": "la faccenda", ma anche "l'impaccio", "il grattacapo".
(2) "è tout et a toi" richiama la corrente espressione francese a tu et a toi ("a tu per tu"). Abbiamo reso il gioco con uno analogo italiano.
(3) "Les non-dupes errent" ("i non giocondi errano" - nel senso in cui in italiano si dice "è scritto giocondo qui? ") è espressione omofona a les Noms-du-Père (i Nomi-del-Padre). E' il titolo dato da Lacan al suo seminario dell'anno 1973-74.
(4) Riferimento all'intervento di Freud alla Società psicanalitica del mercoledì, qui riportato.
(5) "Père-version": lett. "Padre-versione", omofono aperversìon, "perversione".