PER GIULIANO VASILICO' di Mario Prosperi
Giuliano Vasilicò deve molto della sua formazione alla Svezia, dove passò ben otto anni. Tornato a Roma nel '68, si unì brevemente al Laboratorio condotto da Giancarlo Nanni al Teatro La Fede. Prese parte ad uno spettacolo: Escurial, di De Ghelderode.
Ma il barocco un po' futile, la ridondanza sensuale, l'immotivata concitazione impressa da Nanni allo spettacolo gli erano estranei e gli divennero presto antipatici.
Giuliano ha qualcosa da dire come autore e non si lascia intimidire dalle difficoltà. Si trasferisce al Beat '72 e mette in scena, nel '69, Missione psicopolitica, ove si tratta di una bambina che ambisce alla violenza di un maniaco. Attorno a questo nucleo morboso e paradossale si aggrovigliano frammenti-di altre vicende, attraverso documenti e interviste, che danno il quadro di un tragico squilibrio paurosamente aperto sotto i piedi della società.
Pochi si accorsero del lavoro, così come di Occupazione, presentato, ancora al Beat, nel 1970. Si tratta di una situazione tipica dei nostri anni: un Ateneo occupato dagli studenti, a cui si contrappone un colpo di Stato di colonnelli. Il tema è la condizione umana di quattro giovani - due coppie - vanamente impegnate contro un ordine che sa servirsi anche della loro ribellione.
I teatri vuoti, però, persuadono Vasilicò a cercare una via più facile: un classico da reinterpretare, come già fanno Bene e molti altri. La scelta cade su Amleto. Anche in Amleto Giuliano Vasilicò ripropone il tema delle due coppie (lo "studente" e la fidanzata, la madre e lo zio dello studente). Al centro della storia c'è il delitto, e tutto il "groviglio" vi ruota attorno.
L'attenzione di Vasilicò si concentra sul concetto genettiano dell'identità di delitto e teatro. Il delitto diviene il tema del rito che si celebra, e il rito ha qualcosa esso stesso del delitto, in quanto "esclude" dalla società, generando una dinamica chiusa, di atti che si aggrovigliano proliferando una situazione "labirintica", in cui la coscienza rimane intrappolata e rischia di soccombere.
Sulla via di questa ricerca Vasilicò identifica il testo che, nel '72, gli da il successo internazionale: Le 120 giornate di Sodoma, da e su De Sade.
Qui il delitto non è identificato, ma generalizzato. Le maglie si sono apparentemente aperte. Una società ristretta e "esclusa", nella imminenza della propria distruzione, spinge la sua depravazione alla luce del sole.
Il processo tipico del nuovo teatro, che consiste nell'accumulazione "verticale" della tensione, nella crescente "intensificazione", senza soluzione gratificante o catartica, trova nell'ossessivo uso sadiano della ripetizione un equivalente stilistico puntuale ed inquietante. Il rigore stilistico si presenta esso stesso come chiave di lettura del "rigor" maniaco. Un rigore fanatico e astratto, espressione di una passione anch'essa astratta e cerebrale, anzi esaurita come passione e divenuta coazione psicotica alla ripetizione del rituale sacrificale su cui si fondano il privilegio e il potere.
Nel ricostruire l'Epoca (il '93, il Terrore), Vasilicò si tiene lontano dalla caricatura; egli costruisce una galleria di personaggi con "letteraria" fedeltà. Vi è il classicismo dei nudi, con archi e foglie d'oro, accanto a parrucche, polpe e tricorni del guardaroba "storico". Il movimento unificante è una struttura processionale, una "parata" di quadri ritornanti, come un percorso circolare. Si alternano quadriglie d'epoca, con relativi tricorni, a statue neoclassiche, fisse in una posa e sospinte sul loro piedistallo come inconsapevoli icone alla mercè di un crudele paradigma.
L'ultima opera di Vasilicò è Proust, presentato al Beat '72 nel 1976. Meno scultoreo e "crudele" de Le 120 giornate di Sodoma, il Proust è tuttavia composto secondo la medesima metafora compositiva della cerimonia araldica, e si snoda secondo lo stesso movimento circolare della parata.
Con corazze medievali sui neri stiffelius, i personaggi vengono presentati come i membri di una società segreta. Essi sono "identificati" con attenzione secondo certe caratteristiche che ognuno presenta nella Recherche. Viene quindi identificato un tema che può definirsi come l'omosessualità e il suo codice iniziatico, quale mutazione di contenuto in una società la cui iniziazione è ancora cristiano-medievale, cavalieresca e virile. Il tema viene espresso teatralmente attraverso una serie di allegorie. I personaggi vengono "portati" attraverso la scena in varie pose, formando col portatore unità simbiotiche simili a sculture. Ora sono impassibili come ritratti, ora appaiono in una eccitata domesticità con gli oggetti sacri della nuova tecnologia, o nella altrettanto "sacra" compunzione dello sport: la bicicletta e il nuoto, il telefono e l'automobile, la lampadina elettrica e l'aeroplano si susseguono come cartelloni dell'Esposizione Universale, al tempo di un contagioso Moulin Rouge.
I momenti "allegorici" sono montati con altri, più "sensibilmente" realistici, in cui sono riconoscibili le situazioni del romanzo; ma è nei momenti allegorici e nella loro parata circolare che si rende visibile la struttura cerimoniale caratteristica del teatro di Vasilicò. Spicca tra questi momenti "portanti" un pomposo funerale, in cui i personaggi discendono lungo due scale parallele, più e più volte, con solennità allucinata. Motivo che ritorna nel finale, in forma conclusiva, quando, coperti di armature medievali, ma vacillanti e come ciechi, i personaggi ripercorrono il loro iter circolare sotto le note gravi di un pezzo per organo di Bach.
Nelle maglie aperte tra questi legamenti "corali", si snodano le situazioni mondane, pompose e pettegole, o tese e febbricitanti, attraverso cui si viene evidenziando il sottofondo di rapporti inconfessabili, eppur più tenaci di patti di sangue, tra cavalieri invertiti, arroganti "mesdemoisel-les", sofferenti sotto maschere di compassato moralismo il dramma della loro diversità e solitudine sessuale.