PERSONAGGI PSICOPATICI SULLA SCENA di Sigmund Freud (1905)
Se scopo del dramma, come si ritiene dai tempi di Aristotele, è quello di suscitare "pietà e terrore", di provocare una "purificazione degli affetti", potremo dire, ampliando tale descrizione, che l'intento è di far scaturire fonti di piacere o di godimento dalla nostra vita affettiva, allo stesso modo che il comico, il motto di spirito e simili le fanno sgorgare dalla nostra attività intellettuale la quale, per altro verso, aveva reso inaccessibili molte di queste fonti.
E' certo che lo "sfogo" dei propri affetti ha qui il primo posto, e il godimento che ne risulta corrisponde, da un lato, al sollievo che da ogni scarica copiosa e, dall'altro, al concomitante eccitamento sessuale che, presumibilmente, procura un profitto accessorio ad ogni risveglio di un affetto e che conferisce all'uomo il tanto ambito senso di un elevamento di tensione del proprio tono psichico. L'assistere come spettatore partecipe al "ludo" scenico dà all'adulto ciò che il "gioco" dà al bambino, la cui esitante attesa di poter emulare l'adulto trova in tal modo soddisfazione (2). Lo spettatore vive troppo poco intensamente, si sente "un misero, al quale nulla di grande può accadere", da tempo ha dovuto soffocare, o meglio rivolgere altrove, la sua ambizione di porre sé stesso al centro della macchina mondiale, vuole sentire, agire, plasmare tutto a sua volontà: in breve, essere un eroe; e gli autori e gli attori teatrali glielo consentono, permettendogli di identificarsi con un eroe. Gli risparmiano al tempo stesso qualcosa, giacché lo spettatore sa che il condursi in tal modo da eroe arrecherebbe dolori, sofferenze e gravi apprensioni, le quali quasi annullerebbero il godimento; sa anche che ha una sola vita e che forse potrebbe soccombere in un'unica lotta del genere contro le avversità. Perciò il suo godimento ha come presupposto l'illusione, ossia l'attenuazione della sofferenza, dovuta alla certezza che in primo luogo chi si agita e soffre là sulla scena è un'altra persona e che, in secondo luogo e in definitiva, si tratta solo di un gioco da cui non può derivare alcun danno per la sua sicurezza personale. In queste circostanze nulla si oppone al godimento di sentirsi "grande", nulla vieta di cedere senza timore a moti repressi come il bisogno di libertà religiosa, politica, sociale e sessuale, e di sfogarsi in tutte le direzioni nelle varie scene grandiose di cui si compone la vita colà rappresentata.
Tuttavia, le condizioni per il godimento sopra descritte sono comuni a parecchie forme di composizione poetica. La lirica serve anzitutto a sfogare intense sensazioni di vario genere, e così era un tempo per la danza; l'epica è volta principalmente a consentire il godimento che fu della grande personalità eroica nell'ora del trionfo; il dramma, invece, mira a scandagliare più nel profondo le possibilità affettive, a trasformare, addirittura in godimento i presentimenti di sventura; mostra quindi l'eroe in lotta, o più ancora, con soddisfazione masochistica, nella disfatta. Si potrebbe perfino caratterizzare il dramma mediante questa sua relazione con la sua sofferenza e l'infelicità, sia che, come nella commedia, venga risvegliata solo la preoccupazione e quindi placata, sia che, come nella tragedia, la sofferenza divenga effettiva. L'origine del dramma da atti sacrificali (capro e capro espiatorio) nel culto degli Dei non può non essere in rapporto con questo significato del dramma (3); esso placa, per così dire, l'incipiente rivolta contro l'ordine divino del mondo che ha decretato la sofferenza. Gli eroi sono innanzitutto ribelli a Dio o a una divinità, e dall'afflizione del più debole di fronte al potere divino deve scaturire piacere, in virtù del soddisfacimento masochistico e, direttamente, del godimento insito nella personalità la cui eroica grandezza è pur sempre esaltata. E' lo stato d'animo prometeico dell'uomo, ma frammisto alla disposizione mediocre a lasciarsi temporaneamente placare da una soddisfazione fugace.
Tema del dramma è dunque ogni genere di sofferenze, dalle quali esso promette di ricavar piacere per lo spettatore. Ne consegue una prima condizione di questa forma artistica: che non faccia soffrire lo spettatore, che sappia compensare, mediante i soddisfacimenti resi in tal modo possibili, la pietà suscitata; ed è questa una regola contro la quale gli autori recenti peccano con particolare frequenza.
La sofferenza rappresentata peraltro si limita ben presto alla sofferenza spirituale, giacché è impossibile desiderare di partecipare ad una sofferenza fisica sapendo che essa altera la sensazione corporea al punto di porre fine ben presto ad ogni godimento spirituale. Chi è malato ha un solo desiderio: quello di guarire, di uscire dallo stato in cui si trova; vuole che venga il medico, la medicina, che cessi l'inibizione del giuoco della fantasia, il quale ci ha avvezzato a trarre godimento persino dalle nostre sofferenze. Se lo spettatore si mette nei panni di chi è malato fisicamente, si ritrova senza alcuna capacità di godimento o di attività psichica; pertanto un personaggio malato fisicamente può comparire sulla scena solo come figura accessoria e non come eroe, a meno che particolari aspetti psichici della sua malattia non rendano possibile un'attività psichica, com'è per esempio il senso di abbandono del malato nel Filottete [di Sofocle] o la sua disperazione nei drammi che trattano di tubercolotici.
L'uomo però conosce le sofferenze spirituali essenzialmente in relazione alle circostanze nelle quali esse vengono acquisite, e perciò il dramma ha bisogno di un'azione da cui queste sofferenze traggano origine e inizia introducendo tale evento. E' solo apparente l'eccezione costituita da talune opere teatrali che introducono sofferenze psichiche già stabilite, come l'Aiace e il Filottete: infatti, data la notorietà della trama, nel dramma greco il sipario si alza sempre, per così dire, nel bel mezzo dell'azione. Ora è facile descrivere esaurientemente quali debbano essere le condizioni iniziali: deve trattarsi di una situazione di conflitto, che richiede uno sforzo di volontà e una resistenza.
Il primo e più grandioso adempimento di questa condizione fu fornito dalla lotta contro la divinità. Ho già detto che tale dramma è una tragedia di rivolta, dove l'autore e lo spettatore parteggiano per il ribelle.
Quanto minore diviene la fede nella divinità, tanto più aumenta l'importanza dell'ordinamento umano: esso con sempre maggiore chiarezza viene ritenuto responsabile delle sofferenze, e così la prossima lotta sarà quella dell'eroe contro la società umana, ovvero la tragedia borghese. Inoltre la condizione necessaria trova attuazione nella lotta tra gli uomini, nella tragedia di carattere, in cui emerge l'aspetto eccitante dell' "agone" e che richiede soprattutto personaggi di rilievo sciolti dai vincoli delle istituzioni umane e in effetti deve avere più di un eroe. Naturalmente, sono senz'altro ammesse fusioni di entrambi questi generi, imperniate sulla lotta dell'eroe contro istituzioni impersonate da forti caratteri. Alla pura tragedia di carattere manca quella sorgente di godimento che è la rivolta, ma questa ricompare nel dramma sociale (si pensi ad Ibsen) possente come nelle tragedie regali dei classici greci.
Se il dramma religioso, di carattere e sociale, si differenzia essenzialmente per il terreno di lotta sul quale si svolge l'azione da cui scaturisce la sofferenza, vi è un altro terreno su cui possiamo seguire il dramma, ove esso diviene interamente psicologico. Nell'animo dell'eroe infuria la lotta, generatrice di sofferenza, tra impulsi diversi: è una lotta destinata a finire non con la caduta dell'eroe, bensì con l'estinzione di un impulso, e quindi con la rinuncia. Naturalmente è possibile qualsiasi combinazione di questa condizione con le precedenti, valide per il dramma sociale e per quello di carattere: è sufficiente che causa del conflitto interiore siano le istituzioni. Nascono così le tragedie d'amore, ove la repressione dell'amore da parte della civiltà, delle convenzioni umane, o l'antagonismo tra "amore e dovere" che il melodramma ci ha reso familiare, costituiscono lo spunto per situazioni di conflitto con varianti quasi infinite: altrettanto infinite quanto le fantasticherie erotiche degli uomini.
Ma la gamma delle possibilità si estende, e il dramma psicologico diventa dramma psicopatologico, quando il conflitto non è più tra due impulsi pressappoco ugualmente consci, bensì tra una fonte conscia e una rimossa della sofferenza, alla quale dobbiamo partecipare e dalla quale dobbiamo trarre piacere. Condizione del godimento è qui che anche lo spettatore sia nevrotico. Infatti solo a un nevrotico la rivelazione e il riconoscimento più o meno cosciente dell'impulso rimosso possono procurare piacere e non schietta avversione. Nel non nevrotico tale riconoscimento incontrerà soltanto repulsione ed egli si dimostrerà pronto a ripetere l'atto della rimozione già riuscitagli favorevolmente: in lui l'equilibrio dell'impulso rimosso è mantenuto completamente con un unico dispendio di rimozione, ma nel nevrotico la rimozione è sempre sul punto di crollare, è labile, e ha costantemente bisogno di un nuovo dispendio, evitabile se l'impulso giunge al riconoscimento. Solo nel nevrotico può avvenire una lotta del tipo di quella che può essere soggetto del dramma, ma anche a lui il drammaturgo non susciterà semplicemente un godimento liberatore, bensì anche una resistenza.
II primo di questi drammi moderni è l'Amleto (4). Tratta il tema di un uomo precedentemente normale che diventa nevrotico a causa della particolare natura del compito assegnategli; in lui cerca di farsi strada un impulso che fino a quel momento era stato felicemente rimosso. L'Amleto si distingue per tre caratteristiche, che appaiono importanti per il nostro problema: 1) l'eroe non è psicopatico, ma lo diviene solo nel corso travolgente dell'azione; 2) l'impulso rimosso è di quelli che sono ugualmente rimossi in tutti noi, la cui rimozione è parte integrante dei fondamenti della nostra evoluzione personale, e proprio questa rimozione viene scossa dalla situazione drammatica. Grazie a queste due condizioni ci è facile riconoscerci nell'eroe; siamo suscettibili come lui dello stesso conflitto, dal momento che "l'uomo che non perde la ragione davanti a certi avvenimenti, non ha una ragione da perdere"; 3) Ma tale forma artistica sembra porre come condizione che, quanto più l'impulso che lotta per emergere nella coscienza è riconoscibile con certezza, tanto meno esso venga chiamato chiaramente per nome, così che nell'ascoltatore il processo si compia di nuovo mentre la sua attenzione è distratta ed egli sia in preda ai suoi sentimenti invece di rendersi conto di quanto avviene. In tal modo è ovviamente risparmiata una parte della resistenza, analogamente a quanto si verifica nel corso di un trattamento analitico quando i derivati del rimosso, a causa della scarsa resistenza, giungono alla coscienza, mentre il rimosso stesso ne è escluso. Nell'Amleto il conflitto è tanto ben nascosto che è toccato a me indovinarlo per primo.
Forse proprio a causa dell'inosservanza di queste tre condizioni tante altre figure psicopatiche diventano inutilizzabili sulla scena, così come lo sono nella vita. Infatti il malato di nevrosi è una persona di cui non riusciamo a penetrare il conflitto, se è già pienamente radicato. Viceversa, se noi riconosciamo questo conflitto dimentichiamo che si tratta di un malato, così come egli stesso cessa di esserlo allorché ne viene a conoscenza. Il drammaturgo dovrebbe porsi il compito di trasferirci nella stessa malattia, il che accade nel migliore dei modi se ne percorriamo insieme con lui l'evoluzione. Ciò risulta particolarmente necessario dove la rimozione non esiste già in noi ma deve prima venire creata, ciò che rappresenta un passo oltre l'Amleto nell'impiego della nevrosi sulla scena. Se ci troviamo di fronte a una nevrosi estranea e già stabilita, nella vita reale chiameremmo il medico, e riterremmo il personaggio inadatto per la scena.
Quest'ultimo errore sembra presente in Die Andere [L'altra] di Bahr (6), a parte un secondo errore implicito nel problema posto dalla commedia, poiché non ci è possibile raggiungere una vera convinzione che un uomo solo abbia il privilegio di soddisfare pienamente la ragazza. Il caso di lei così non può diventare il nostro. Inoltre, un terzo errore è che non ci resta nulla da indovinare, e che tutta la nostra resistenza è mobilitata contro questo condizionamento dell'amore, per noi inaccettabile. Delle tre condizioni formali poste sopra, quella che l'attenzione sia distratta sembra essere la più importante.
In generale, si potrà forse dire che soltanto la labilità nevrotica del pubblico e l'arte con cui il drammaturgo evita le resistenze e offre un piacere preliminare possono determinare i limiti ai quali deve sottostare l'impiego di caratteri anormali sulla scena (8).
(traduzione di Marilisa Dogana per cortese concessione dell'Editore Boringhieri)
( 1 ) Questa nota, composta sulla fine del 1905 o all'inizio del 1906, col titolo Psycho-patische Personen auf der Bühne, non fu mai pubblicata da Freud, il quale regalò il manoscritto al dottor Max Graf. Questi era storico della musica e compositore egli stesso; era amico personale di Freud e appartenente fino dalla fondazione alla Società Psicologica del Mercoledì di Vienna (trasformata nel 1908 in Società Psicoanalitica di Vienna), dove si adunavano per sedute scientifiche gli studiosi interessati alla psicoanalisi. Graf tenne, alla Società, una relazione sopra La metodologia della Psicologia dei poeti nella seduta dell' 11 dicembre 1907, cinque giorni dopo la conferenza di Freud su // poeta e la fantasia. Egli pubblicò la presente nota di Freud nel "Psychoanalytic Quarterly" voi. 11(4), 459-464 (ottobre 1942), in una versione inglese dovuta a H. A Bunker. Il testo tedesco fu pubblicato nella "Neue Rundschau", voi. 73, 53-57 (1962). La data di composizione è stata ricavata da James Strachey, in base alla citazione, contenuta nello scritto, della commedia Die Andere (L'altra) di Hermann Bahr, messa in scena nel novembre 1905 (Graf aveva erroneamente attribuita la presente nota al 1904). Lo scritto, composto evidentemente in modo affrettato, contiene elementi che vengono sviluppati nelle opere degli anni successivi, dedicati alla Gradiva e al Poeta e la fantasia. Freud rivendica qui se stesso, con orgoglio, il merito di aver dato per primo una soluzione al problema dell'incerto comportamento di Amleto di fronte al compito di vendicare la morte del padre. Si veda l'Interpretazione dei sogni (1899) pp. 246 sgg. e la lettera a Fliess del 15 ottobre 1897, dove Freud, raccontando una fase essenziale della propria autoanalisi, fa per la prima volta diretto riferimento all'Edipo re e all'Amleto, scrivendo fra l'altro: "il mito greco si rifà a una costrizione che ognuno riconosce per averne sentita personalmente la presenza. Ogni membro dell'uditorio è stato una volta un tale Edipo in germe e in fantasia e, da questa realizzazione di un sogno trasferita nella realtà, ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione che separa lo stato infantile da quello adulto. E' passata per la mia mente l'idea che la stessa cosa sia alle radici di Amleto. Non alludo ad un'intenzione deliberata di Shakespeare, ma ritengo piuttosto che un reale avvenimento lo abbia spinto a scrivere, mentre il suo inconscio capiva l'inconscio dell'eroe. Come giustifica l'isterico Amleto la sua frase: "Così la coscienza ci rende tutti codardi" e la sua esitazione a vendicare il padre uccidendo lo zio, quando egli stesso non ha alcuno scrupolo a mandare a morte i suoi cortigiani e non esita un secondo ad uccidere Laerte? Come, se non per il tormento suscitato in lui dall'oscuro ricordo di aver meditato egli stesso il medesimo gesto contro il padre per passione verso sua madre? "Se noi fossimo trattati secondo quanto meritiamo, chi sfuggirebbe alla frusta?" La sua coscienza è il suo inconscio senso di colpa. E non sono la sua freddezza sessuale durante l'incontro con Ofelia, il suo disprezzo per l'istinto della generazione, ed infine il trasferimento dei suoi atti da suo padre ad Ofelia, tipicamente isterici? Non riesce egli, allo stesso modo dei miei pazienti isterici, ad attirare su se stesso la punizione e a soffrire lo stesso destino del padre, avvelenato dallo stesso rivale?
(2) II tema sarà ripreso agli inizi del saggio // Poeta e la fantasia (1907), in Opere vol. V, Boringhieri, 1972, pp. 375 sq.
(3) La figura dell'eroe nella tragedia greca è discussa da Freud in Totem e tabù (1912-13) cap. 4, 7.
(4) La prima trattazione di Freud dellAmleto si trova nella lettera a Fliess del 15 ottobre 1897 ed è poi sviluppata nell'Interpretazione dei sogni (1899) pp. 246 sg.
(5) Lessing, Emilia Galotti, atto 4, scena 7. La stessa citazione compare già nella Minuta teorica H (1895) p. 36.
(6) Hermann Bahr (1863-1934), scrittore e critico letterario austriaco. - L'argomento trattato nella commedia è la doppia personalità dell'eroina che è incapace, nonostante ogni sforzo, di sfuggire all'attrazione fisica di un uomo di cui è succube.
(7) Sul piacere preliminare vedi sopra p. 123, n. 2.
(8) Un altro breve commento di Freud sull'uso del materiale psicopatologico in opere letterarie si troverà nel suo scritto dell'anno successivo (1906).
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Psychopathic characters on the stage
According to Freud, the theatre's function is to allow the spectator to identify himself with the hero, without having to assume the suffering of real heroic actions. Classic drama satisfies the repressed need for freedom and at the same lime offers masochistic pleasure, representing the unhappiness of the weak towards the strong against which he rebels. In the case of bourgeois drama the rebellion is against society. The psychological drama represents the struggle between two contrasting drives where a choice is to be made, whilst the psychopathological drama represents that between a conscious-and an unconscious drive. In this case, the use of nevrotic characters on the stage is efficient if the spectator can identify himself with them and if the author is able to avoid the public's resistance by offering them preliminary pleasure. For example, the Oedipic drive of Hamlet who becomes psychopathic during the course of the play, although common to all men, is concealed by Shakespeare so that the spectator participates emotionally in the events but without realisting what is happening.
Personnages psychopathes sur la scène
Pour Freud, la fonction du théâtres est de permettre au spectateur de s'identifier au héros sans avoir a assumer les souffrances d'actions héroïques réelles. Le drame classique satisfait! les besoins refoulés de liberté et offre en même temps un plaisir masochiste en représentant le malheur du faible en face du puisant contre lequel il se rebelle. Dans le cas du drame bourgeois, la révolte séxerce contre la société. Le drame psychologique représente la lutte entre deux pulsions opposées entre les quelles il faut choisir, tandis que le drame psychopathologique représente la lutte entre une pulsion consciente et une pulsion incosciente. Dans ce cas, l'utilisation sur la scène de personnages névrotiques est efficace si le spectateur peut s'identifier a eux et si l'auteur est capable d'éviter les résistances du public en lui offrant un plaisir préliminaire. La pulsion oedipien ne de Hmlet, par exemple, qui de devient pathologique au cours du drame, bien qu'étant commune a tous les hommes, est masquée par Shakespeare de façon a ce que le spectateur participe d'une manière émotive aux événements mais sans se rendre compte de ce qui arrive.
Psychopatische Personen auf der Bühne.
Für Freud hat das Theater die Funktion dem Zuschauer die Mòglichkeit zu verschaf-fen,sich mit dem Heldenzuidenlifizieren,ohne die LeidenrealerheroischerTalen auf sich nehmen zu mùssen. Das klassische Drama slilll das unterdruckte Verlangen nach Freiheit und bietel gleichzeilg einen masochistischen Genuss, indem es das Unglueck des Schwa-chen darslelll, der sich gegen den Machligen erhebl. Im Falle des biirgerlichen Dramas isl die Revolle gegen die Gesellschaft gerichtet. Das psychologische Drama slellt den Kampf zwischen zwei widersprùchlichen Trieben dar, fur die rnan sich zu entscheieden hat, wàhrend das psychpathologische den Kampf zwischen einem bewussten und einem unbe-wussten Trieb zum Gegenstand hat. In diesem Fall ist die Verwendung von neurotischen Figuren wirkungsvoll, wenn sie dem Zuschauer erlaubt, sich mit ihnen zu identifizieren, und wenn der Autor fahig ist, die Widerstànde des Publikums durch vorangehende vergnugliche Elemenie zu umgehen.
Der òdipale Trieb Hamlels zum Beispiel, der im Verlauf des Stuckes psychopatische Formen annimmt, obwohl er grundsàtzlich allen Menchen gemein ist, wird von Shakespear maskiert, so dass der Zuschauer gefuhlsmàssig daran teilnimmt, ohne sich bewusst zu sein, was geschieht.
Persanajes psicopàticos en el teatro.
La función del teatro, seguii Freud, consiste en permitir que el espectador se identitì-que con el héroe sin tener que asumir los sutrimientos que conlleva la realización de acciones heróicas. El drama clàsico satist'ace necesidades reprimidas de libertad y ofrece al mismo tiempo un piacer masoquista. dado que representa la infelicidad del débil que se rebela ante el poderoso. Enel caso del drama burgués la rebelión es contra la sociedad. El drama psicològico representa la lucha por la elección de dos impulsos en conflicto, miéntrasque el psicopatológico indica la lucha entre impulso consciente e inconsciente. En oste ùltimo caso la utilizació-n de personajes neuróticos en el teatro es eficaz si el espectador se puede identificar en ellos, y si el autor es capaz de evitar las resistencias del pùblico por medio de la oferta de un piacer preliminar. Por ejemplo, Shakespeare en la tragedia de Hamlet, cuyo impulso edipico - comùn a todos los mortales - se va haciendo patològico a medida que el drama se desarrolla. enmascara en modo tal el suceso que perniile la partecipaceli emotiva del espectador sin que éste caiga en la cuenta.