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IL BERRETTO A SONAGLI DI LUIGI PIRANDELLO ATTRAVERSO MORENO E FREUD di Ottavio Rosati

1 - J. L. Moreno e Luigi Pirandello
Una delle più vivaci e note polemiche sullo psicodramma è quella su chi fosse tra Moreno e Pirandello il primo a formulare l'idea che tra personaggio e autore esiste una relazione assai più profonda di quella che corre nella drammaturgia tradizionale comunemente intesa come dominio creativo dell'autore sui suoi eroi.

Il problema è notoriamente allargato dal campo dell'estetica e della critica letteraria a quello della psicologia dinamica e in particolare della psicoterapia di ascendenza psicodrammatica. Il teatro della spontaneità classico agisce sulla base della convinzione che il ruolo (cioè il personaggio) abbia una padronanza persino alienante sul suo interprete e che d'altra parte molti altri personaggi, al di là di quelli cui un soggetto è abituato a dar vita, siano potenzialmente in attesa di essere messi in vita dal loro autore (1).
L'aspetto assolutamente rivoluzionario e inedito dei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello non consistette tanto nei fenomeni perturbanti che ne accompagnarono la creazione e descritti nella nota introduttiva, quanto nel fatto di aver spostato per la prima volta al centro di un'opera quei fenomeni emotivi inquietanti per cui nella periferia del laboratorio creativo l'autore scopre che i personaggi vanno verso di lui o da lui si allontanano secondo una dinamica che egli può favorire e accompagnare ma certo non dominare. L'opinione celebre di Moreno "La realtà di un'illusione vale altrettanto che l'illusione di una realtà" potrebbe entrare perfettamente in un dramma di Pirandello come i Sei personaggi in cerca d'autore per descrivere il diritto alla vita di queste Maschere che si dicono vere, che interrogate dal capocomico su cosa vogliono dalla sua compagnia rispondono: "Vogliamo vivere, signore!". La determinazione dei personaggi e la loro sofferenza sono quelle del ruolo soffocato, come lo descrive Moreno. Pirandello così descrive, per bocca del Padre, il desiderio delle sue maschere che sono: "non fantasmi ma realtà create, costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori":

"... essere vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo dello stessissimo parere!... nessuno meglio di lei può sapere che la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione... Si nasce alla vita in tante forme: albero o sasso, acqua o farfalla... o donna... si nasce anche personaggi! " (2).

È però escluso che le valenze e gli spunti del teatro di Pirandello siano dovuti all'influenza più o meno diretta di Moreno, così come è invece vero che Moreno fu letteralmente derubato da Kurt Lewin per molti dei suoi concetti-chiave (3).
Tutta l'opera di Pirandello è percorsa uniformemente da quello che Adriano Tilgher avrebbe denominato il conflitto tra vita e forma. Nelle opere della trilogia del teatro nel teatro, in Enrico IV e ne Il berretto a sonagli la poetica della realtà e della finzione arriva a trasformarsi in una vera e propria teoria implacabile e lucida della personalità. Tant'è vero che questa filosofia dei labirinti interpersonali da sempre è stata la croce degli attori interpreti di Pirandello, costretti sul palcoscenico a lunghe speculazioni professorali e mefistofeliche ad alta voce. Cosi è se vi pare, II gioco delle parti, Vestire gli ignudi, Come tu mi vuoi, in cui il sapore di psicodramma affiora già nel titolo, sono coerenti col senso di tutta l'opera di Pirandello, anche saggistica e narrativa. Il teatro sul" conflitto tra vita e forma non costituisce dunque una deviazione momentanea dell'arte di Pirandello, imputabile a un'influenza


rapsodica della psichiatria del suo tempo e in particolare delle teorie di Moreno che, anche se non studiate sui libri, gli sarebbero state veicolate dalle "reti". Di assimilazioni, inconsce o occultate, negli stessi anni si mostrava invece capace D'Annunzio macinando e impastando suggestioni, immagini, materiali letterari di origine disparata. Pirandello resta innocente del peccato che da Rosso di San Secondo a Genet a Sartre, a Salacrou o Anouhil fino a Diego Fabbri, sarà il teatro di questo secolo a commettere ai suoi danni.
L'influenza sfacciata dei Sei Personaggi arriva addirittura a una commedia di Jack Gelber, The Connection, ambientata nel mondo della droga che, dopo la prima americana del 1959, il Living Theatre riuscì a rappresentare nel 1961 al Piccolo Teatro di Milano per tre sere consecutive (4).

2 - Pirandello e Freud

Pirandello non venne nemmeno influenzato da Freud che alcuni hanno creduto di riconoscere come suo esplicito riferimento e forse è proprio per questa mancanza di contatti libreschi che il teatro dell'Agrigentino ha un indubitabile interesse psicoanalitico. Sono le opere dei drammaturghi che non conoscono la psiche attraverso i libri di analisi ad arricchire la competenza degli psicologi. Ai quali resta possibile la lettura psicoanalitica di un testo teatrale attraverso uno spirito colonizzatore che in esso riuscirà a trovare quasi sempre ciò che vorrà sovrapporvi. Come avviene nelle cosiddette osservazioni cliniche la cui portata epistemologica è limitata dal fatto che altro non sono che osservazioni fatte alla luce di alcune teorie.
Lo psicologo in vena di sortite extra-scientifiche potrebbe però ammettere che il teatro di Pirandello sopravanza un solo ordine di interpretazione teorica, si tratti di quella psicodrammatica o psicoanalitica o psico-sociologica. Lo psicologo potrebbe azzardare che, come di fronte alla vita, ciascun modello esplicativo vada combinato con altri per ricavare una comprensione convincente, olistica di creature teatrali emblematiche eppure naturalisticamente plausibili.
Pirandello sentì certo parlare, almeno a partire dal 1930, di Freud e forse lesse qualche sua opera anche perché la sua perfetta conoscenza del tedesco gli dava accesso a testi non ancora tradotti. La sua originalità è però indiscutibile come dimostra anche un'innocente civetteria bibliografica scoperta da Gaspare Giudice. Sulla scia dell'importanza acquisita da Freud, Pirandello nella revisione del romanzo Suo marito (1911) aggiunse il nome di Freud alla lista degli autori che un letterato a la page dovrebbe conoscere, lista che nella prima versione si limitava a Bergson e Nietzsche (5).

 


3 - Pirandello psicologo didatta

È curioso che Michel David e Giovanni Macchia, i due maggiori studiosi che abbiano indagato la formazione psicologica di Pirandello, lo abbiano accoppiato a Proust nell'attribuirgli due diverse simpatie extrafreudiane, per Janet secondo David, per Binet secondo Macchia.
David sostiene: "Pirandello, imbevuto di Janet, non disdegna le aule anatomiche e le lezioni di neurologia, cosicché la sua opera è potuta sembrare a molti tutta percorsa di brividi freudiani quando invece era fondata su postulati neurologici ben diversi" (6).
Giovanni Macchia nel saggio "Binet, Proust e Pirandello" osserva che gli interessi di Binet per la psicologia degli autori drammatici, le sue riflessioni sul paradosso di Diderot, e persino i titoli a sensazione delle pièces Grand-Guignol che si divertì a scrivere (L'Homme mystérieux, L'Obsession, Les Invisibles, L'Ame et le corps) lo rendevano "particolarmente adatto a provocare nell'uno e nell'altro scoperte che avrebbero avuto risonanze nelle pagine di un'opera narrativa o nella rappresentazione di personaggi teatrali" (7).
Con la lucidità e l'eleganza che gli sono abituali Macchia mostra che le parole del vecchio psicologo francese, da lui rispolverato, sono entrate tali e quali in bocca ai personaggi di Pirandello. Ne La stanza della tortura Macchia spiega anche come Binet fornì indicazioni sui rapporti fra scienza e letteratura, dando importanza allo studio del singolo "caso particolare" di eccezione, piuttosto che a un gran numero di osservazioni: "la certezza della scienza cedeva le armi dinanzi alla letteratura, in Proust come in Pirandello" (8).
Macchia pone pure delle distinzioni nella modalità in cui l'influenza di Binet ebbe luogo nei due scrittori: "l'incontro con quell'io diviso, frantumato non investe soltanto il problema della conoscenza. In molti casi, a differenza che in Proust, diventa assillante problema morale. Questa trasformazione non appartiene forse al Pirandello migliore. Ma è un Pirandello che esiste. Si veda Non si sa come" (9).
Che la grande risonanza del teatro di Pirandello sia insieme psicodrammatica e psicoanalitica è dovuto al profondo spirito di diffidenza del suo teatro per le apparenze, le convenzioni, l'organizzazione illusoria e formalistica di rapporti familiari e sociali dietro i quali brulica un inferno di contraddizioni, paure, equivoci. Anche se lo smascheramento delle apparenze e la liberazione dei ruoli sembrano a tratti possibili in questo universo teatrale con espedienti e toni sarcastici, grotteschi, drammatici, lontani dalla cautela apollinea del professionista della psiche, essi appaiono ugualmente familiari ai metodi e ai modelli della ricognizione psicologica. I falsi contatti tra vita e forma echeggiano quelli tra falsa coscienza e coscienza interpretante e forse aiutano lo psicologo a considerare con maggior modestia la messa a fuoco delle sue teorie.
Innanzitutto lo psicodramma. La formula pirandelliana del teatro nel teatro rappresenta un tentativo di smascherare la teatralità,


dunque la falsità della condizione umana, facendo ricorso omeopaticamente al teatro per curare il teatro. L'ambizione è di cancellare tra loro due segni negativi di teatralità assumendoli in una logica algebrica. Ne derivano similarità e differenze con l'invenzione di Moreno. Se nel teatro la realtà tangibile viene svalutata a favore dell'unica realtà vera e autentica, cioè l'invenzione estetica, nel lavoro psicodrammatico si cerca di ottenere la veridicità della scena in opposizione all'inattendibilità della vita quotidiana. Si fa infatti ricorso alla recitazione per cercare una formulazione più attendibile ed espressiva del vissuto narrato dal soggetto, lavorando attraverso il registro della finzione. Lo psicodrammatista ritiene, a torto o a ragione, che una realtà profonda, o almeno una descrizione più chiara di quel vissuto, finiscano per emergere anche da un gioco distratto, svogliato e mal realizzato. Arrivare al teatro in un gruppo che persegue scopi analitici vuoi dire dunque arrivare a un mezzo, non a un fine. Lo psicodramma mostra come l'Io faccia già del teatro con la compagnia delle sue difese e abbia a tal scopo un repertorio di "meccanismi" che, come macchine teatrali, lo rappresentano ai suoi stessi occhi.
Lo psicodramma inoltre costituisce la sede ideale dove il sogno torna a essere, come è tipico della sua natura, una rappresentazione teatrale. Se è vero ciò che Resnik sostiene nel suo libro Il teatro del sogno (10) che il sogno sia appunto uno psico-onirodramma, in cui ogni personaggio, elemento e spazio sono parti della psiche del sognatore, allora lo psicodramma è la più congeniale sede per ridare vita a quella polvere liofilizzata di sogni che sono le parole con cui vengono raccontati.
Dicevamo che per altri versi la sensibilità di Pirandello è psicoanalitica. Lo scetticismo, il relativismo, il senso della contraddizione, il sospetto verso la ragione apparente e la caduta dei valori collettivi caratterizzano la sua visione del mondo. La crisi sociale e culturale andata maturando in Europa dalla seconda metà del XIX secolo, in Pirandello è descritta come perdita dell'identità unica dell'individuo che, smarrito nelle sue diverse potenzialità, vive offeso dalle attese e dalle pretese con cui gli altri pretendono di leggerle.

4 - Sessualità e sessuazione in Pirandello e nello psicodramma

Tra le varie convinzioni che il teatro di Pirandello mette in forse, figura, anche se non al primo posto, quella dell'identità sessuale a tutto tondo di un soggetto, che appare spesso incoerente e posta in discussione. Per l'Agrigentino la sessualità è un fatto psicologico, non è più e solo un dato anagrafico e biologico certo e inequivocabile, in quanto costituisce l'esito rischioso di un processo interpersonale e intrapersonale.
Potremmo prendere a prestito la categoria di "sessuazione" che nel codice del pensiero lacaniano ha indicato il processo non lineare di identificazione di un soggetto alle insegne del proprio sesso. La sessuazione in questa ottica non coincide col sesso né con la sessualità. A proposito di psicodramma Gennie Lemoine ha scritto che, al momento della scelta dei partecipanti per


organizzare nel gruppo un gioco, al momento dei cambiamenti di ruolo, si assiste a evidenti fenomeni di sessuazione che passano dall'eterosessualità all'omosessualità, all'infinito. In effetti è facile constatare che in un gruppo l'identità maschile e femminile dei personaggi da rappresentare non concorda necessariamente con quella degli interpreti (11).
L'attribuzione di un ruolo a persone che ne hanno il sesso è condizionata da processi di maturazione pulsionale grossolani o sottili. Questa attribuzione indica spesso il desiderio di chi organizza il gioco delle parti. In altri casi la distribuzione dei ruoli sessuali a prescindere dall'identità del compagno di gruppo, ha la rilevanza inquietante o risolutiva di un'interpretazione psicoanalitica. Si può persino pensare che essa costituisca una lettura da inconscio a inconscio che sorvola la verità ufficiale per cogliere un desiderio o un equivoco segreti. I quali, solo se rivelati, possono essere messi in discussione. Qualche volta la rivelazione è immediata, sbalorditiva. È il caso, molto frequente, in cui, sin dalla prima seduta, un nuovo partecipante viene chiamato a interpretare, dal gruppo che non può ancora conoscerlo, un ruolo notevolmente vicino al problema che lo ha portato in psicoterapia e che non è stato ancora da lui verbalizzato.
D'altra parte la speciale trasparenza che il setting psicodrammatico rende possibile, riesce, oltre che temibile e impertinente, accorta ed efficace nel registrare l'evoluzione pulsionale o immaginale dei partecipanti. Qualcuno, a un determinato momento della sua vita nel gruppo, viene promosso a non più giocare i ruoli di cui pareva fosse diventato il caratterista. Un implicito riconoscimento nel criterio distributivo della compagnia ribadisce la sua evoluzione interiore. Potrei ricordare come esempio il caso di una ragazza di ventisette anni, orfana di padre, che aveva da sempre dormito nel letto matrimoniale con sua madre adattandosi volentieri al desiderio di questa, e che non fu più chiamata a recitare ruoli maschili da quando decise di dormire da sola in un suo letto e poté finalmente passare qualche notte fuori casa, riappropriandosi della sua femminilità.
Dal punto di vista delle ambizioni terapeutiche è interessante notare che la dinamica della sessuazione prosegue nel gruppo che ne ha dolorosamente rivelato l'esistenza al di là della sessualità apparente. Il processo di sessuazione è infatti un processo interpersonale dipendente dallo sguardo alienante o strutturante di altri. Ciò significa riconoscere allo sguardo il potere di definire o smantellare o ridefinire l'adesione dell'altro alla sua sessualità.

 


5-Il berretto a sonagli e l'apologo delle tre corde

Una commedia di Pirandello del 1917, Il berretto a sonagli, si presta a mostrare la relazione spesso sconcertante che intercorre tra la sessuazione e la dinamica dei giochi in un gruppo chiuso. La vicenda, in superficie comica, esprime l'effetto micidiale di smascheramento delle insegne pubbliche di virilità di un uomo anziano da parte di una donna, socialmente più forte e perciò in grado di fare il suo gioco. La sua vittima, socialmente debole, perdendo la partita, riuscirà però a salvare almeno la posta che aveva in mano alla partenza. Vediamo in che modo e perché.
I due giocatori sono Beatrice Fiorica e Ciampa: la prima, moglie gelosa e padrona potente: il secondo, marito rassegnato e impiegato devoto. Beatrice è la moglie del padrone di Ciampa. Ciampa è il marito dell'amante del suo padrone. Ciampa sarà accusato di tacita acquiescenza alla tresca tra i loro coniugi da Beatrice che, con lo smascheramento pubblico dell'adulterio, finirà per mettere in crisi l'identità sociale e sessuale del vecchio scrivano al quale lo scandalo sottrarrà le insegne della virilità siciliana di inizio secolo, un bene prezioso e collettivo indispensabile nel piccolo paese che, come un gruppo chiuso, si stringe attorno ai personaggi. Sarebbe certo possibile interpretare, al di là delle intenzioni esplicite di Pirandello, l'acquiescenza di Ciampa al tradimento da parte di sua moglie come dovuta all'identificazione proiettiva dello scrivano nel suo prestigioso padrone. Nella commedia il dolore di Ciampa appare parzialmente anestetizzato dalla rassegnazione di un uomo innamorato ma vecchio e povero, di fronte a una moglie desiderabile. Si pensi alle parole con cui Ciampa, a scandalo avvenuto, accuserà Beatrice:

"perché uno, tante volte — poniamo, brutto, vecchio, povero — per l'amore di una donna che gli tiene il cuore stretto come in una morsa, ma che intanto non gli fa dire: — ahi! — che subito glielo spegne in bocca con un bacio, per cui questo povero vecchio si strugge e s'ubriaca — che può saper lei, signora, con qual doglia in corpo, con quale supplizio questo vecchio può sottomettersi fino al punto di spartire l'amore di quella donna con un altro uomo — ricco, giovane, bello — specialmente se poi quella donna gli da la soddisfazione che il padrone è lui e che le cose son fatte in modo che nessuno se ne potrà accorgere? — Parlo in generale, badiamo! Non parlo per me! — È come una piaga, questa, signora: una piaga vergognosa, nascosta. E lei che fa? stende la mano e la scopre così... pubblicamente?" (12).

Nel primo atto della commedia Beatrice Fiorica architetta il piano con cui far sorprendere gli adulteri dalla polizia che le riesce di mobilitare capitalizzando sul suo potere sociale. A questo scopo Beatrice spedisce Ciampa in città con un pretesto ironico e atroce, comprare per lei una collana simile a quella che suo marito ha donato in segreto alla moglie di Ciampa. In un nervoso colloquio dove combina ordini e allusioni provocatorie, Beatrice rifiuta di spiegare a Ciampa il significato del suo tono sarcastico.


Ciampa capisce, da quella che lo psicologo definirebbe "la metacomunicazione" di lei, di essere accusato di un'infamante cecità. Egli indovina pure che con un gioco inconsulto, lo scandalo che smaschererà gli adulteri, Beatrice potrebbe far saltare in aria il suo precario equilibrio. Il vecchio scrivano devoto, il povero marito innamorato, cerca di mettere le mani avanti esponendo la sua filosofia-psicologia delle tre corde. Gli esseri umani possono funzionare come orologi regolabili con tre corde, una civile, una seria, una pazza. È una metafora, quella delle tre corde, che potremmo solo impoverire dicendo che allude al discorso del Super-io, dell'io e dell'es o al discorso della repressione, della comunicazione o del passaggio all'atto. In effetti essa allude a tutto ciò e ad altro ancora, a scelta. Pirandello si spiega molto meglio di uno psicologo, così:

... dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. — Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. — Non si può. E che faccio allora? Dò una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: — "Oh quanto m'è caro grato vedervi, caro il mio signor Fifì! " — Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio! (13).

Ciampa sostiene che per parlargli con quel tono, Beatrice deve aver girato o la corda seria o la corda pazza, "che le fanno dentro un brontolio di cento calabroni" ma che intanto pretenderebbe di parlare con lui con la corda civile. Inutilmente la invita a parlargli seriamente a quattrocchi, per il bene di entrambi, dando una giratina alla corda seria. La proposta non viene raccolta né capita. Ciampa è costretto a rientrare nei ranghi e, rassegnatesi a chiudere la corda seria per riaprire la civile, accetta di partire per Palermo la sera stessa. L'obbedienza al suo ruolo lo costringe a giocare la parte di assente che gli è assegnata nel gioco di massacro che va profilandosi.
Come ultimo tentativo Ciampa si presenta a Beatrice tirandosi dietro la moglie obbediente e composta come un animale domestico. Si offre di lasciargliela in pegno, per tenerla chiusa a chiave, come una proprietà, durante la sua assenza o addirittura di poggiarla in un canto nella cucina. Beatrice rifiuta con sdegno la mediazione. Ha solo bisogno di giocatori per il suo gioco, un passaggio all'atto svolto con la collaborazione di tanti ego ausiliari a sua disposizione, devitalizzati come pedine.
Allorché, fuori scena nell'intervallo dei due atti, la polizia irromperà nel luogo dell'adulterio, uno spazio ambiguo tra l'ufficio del signor Fiorica e la casa di Ciampa, troverà i sospetti adulteri in una situazione ambigua. È quel che basta per l'opinione pubblica ma non per la legge. Beatrice, sfogatasi, inizia a rimpiangere di aver ordito uno scandalo che tutta la famiglia le rimprovera.

 


6 - Perché Ciampa inciampa

Per l'opinione pubblica Ciampa è diventato ufficialmente cornuto anche se per la legge non c'è luogo a procedere contro i sospetti adulteri. Egli ritorna al paese, a cose avvenute, sconvolto, con la fronte rotta e insanguinata. Gli è successo di cadere per terra senza poter mettere le mani avanti. Proprio come suo padre che, quando gli capitava di cadere, si proteggeva le mani mettendosele dietro la schiena.
Nel momento in cui la virilità ufficiale di Ciampa, la sua immagine di marito, è smascherata, egli ricade, alla lettera, nell'identificazione poco strutturante nel suo padre naturale. Identificazione tanto precaria da spiegare il perché di quella idealizzante nel suo padrone. Per Ciampa rientrare nel nome del padre equivale davvero a inciampare, come mostra il gioco di Beatrice che compromette l'idealizzazione della "Persona" sociale, dell'identità sessuale e civile di Ciampa attraverso l'ufficio e l'ufficialità. Per effetto di questo gioco Ciampa non appare più portatore del fallo che lo garantiva. Il gioco ha causato il suo capitombolo ed entrambi rivelano dietro la sessualità la traballante sessuazione del personaggio. Cadendo per terra come suo padre, Ciampa ha messo all'orecchio, al posto della penna che fieramente ostentava nel primo atto come un'insegna devota e narcisizzante di scrivano modello, una ferita che fa sangue. Ciampa sostituisce all'emblema fallico, che lo legava al cavalier Fiorica, il fantasma de "le corna" e un taglio. Il gioco dunque oltre che rivelarla, ha effetto sulla sessuazione.

7 - La politica del finale ultimo

Con un altro gioco Ciampa riporterà la sessuazione al punto in cui s'era fermata all'inizio della storia. Una soluzione di genio, un gran coup de théâtre salverà la reputazione del protagonista. Dopo aver minacciato una strage Ciampa troverà una via di scampo per tutti proponendo a Beatrice, che urla di sentirsi pazza, di dirsi pazza davvero, ufficialmente pazza da doversi chiudere in una casa di cura per qualche mese. Che peso hanno per la gente le opinioni di una pazza? Per bocca di Ciampa, Pirandello definisce, nel 1917, sociale e non terapeutica la funzione dello spazio psichiatrico: la clinica serve a chi ne resta fuori. Solo a condizione di ristabilire il suo credito per questa via Ciampa promette di non commettere uno sproposito e la stessa famiglia Fiorica gli da compattamente ragione. L'onore di tutti sarà salvo: meglio una pazzia falsa di Beatrice che una vera pazzia di Ciampa. Nella geniale chiusura dei giochi la vittima riesce insomma a ribaltare a suo favore, esasperandola, una situazione che minaccia il precario equilibrio della sua architettura di difese.
È facile il confronto con altri finali ultimi di commedie di Pirandello in cui un espediente a sorpresa del protagonista scioglie a suo favore il nodo aggrovigliato della vicenda. Si pensi al tranquillo passo indietro di Leone Gala ne Il gioco delle parti o all'acting out


omicida di Enrico IV. Enrico IV è un aristocratico del XX secolo che da anni vive come il personaggio storico del secolo che impersonava allorché venne fatto cadere da cavallo in un caccia in maschera. Egli ha potuto realizzare attorno a sé una messa in scena permanente del suo delirio con ambienti, costumi, attori e comparse. Dopo molti anni i protagonisti della sua vita prima dell'incidente vengono a cercarlo nella sua "sala del trono", vorrebbero scardinare il suo congegno teatrale entrandovi dentro secondo le sue regole e illudendosi di non essere stati riconosciuti. Il loro sarà un maldestro tentativo di psicodramma in situ, che al paradosso voglia propinare il controparadosso, senza curarsi però di indagare preventivamente sulla vicenda psichica in atto. La figlia della vecchia amante del protagonista con la sua bellezza ridarà vita improvvisamente al ritratto in costume della madre che per Enrico è Matilde di Canossa. Il risveglio di Enrico IV però è di breve durata, instabile come può esserlo una fuga nella guarigione, nel corso di un'analisi. La malattia di Enrico del resto non sta nell'illudersi di essere il suo personaggio, ma nel non poter rinunziare al suo gioco. Anche in questo dramma la lisi assume il valore di una parabola: Enrico di scatto con una spada d'epoca uccide il suo "terapeutico" persecutore. Il quale, è colpevole tra l'altro, diremmo noi, di non essersi interrogato abbastanza sul suo desiderio di terapeuta né sulla domanda del suo "beneficiario". In un colpo solo Enrico si procura l'antica vendetta e il diritto a rinchiudersi ("... questa volta sì, per sempre...") nella follia di lusso che s'è costruito attorno (14).

8 - La parabola ambigua dei pupi

Torniamo al Berretto per un'osservazione conclusiva. È vero che il tema del ruolo sospeso tra soggetto e ambiente è strettamente collegato alla problematica della sessuazione. È anche vero però che la patologia di Ciampa è tutt'uno col sapere filosofico che Pirandello gli attribuisce nella parabola dei pupi. La sintetica commovente definizione del potere alienante del ruolo, con cui Pirandello fa di Ciampa un popolare divulgatore della sua filosofia, potrebbe anche essere letta dallo psicoanalista come documento della confusione tra vero e falso sé del personaggio:

"Pupi siamo... lo spirito divino entra in noi e si fa pupo, pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, 'santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede di essere. E allora cominciano le liti! Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentare fuori. A quattr'occhi non è contento nessuno della sua parte: ognuno, ponendosi davanti il proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri no; dagli altri lo vuole rispettato" (15).

Difficile a questo punto stabilire se Ciampa faccia l'anatomia di una triste verità nota agli psicologi sociali o l'apologia della sua alienazione nel falso Sé. La condizione di drammaturgo di filosofi dilettanti consente a Pirandello di aggirare le strettoie della teorizzazione pura riservate allo psicologo. Espresse come sono da personaggi in situazione, le teorie di Pirandello si relativizzano già nel nascere con l'evidenza dei fatti e la freschezza epistemologica del riso. L'intreccio del personaggio, le circostanze del suo pensare precisano la teoria nel momento stesso che la rendono disponibile alle obiezioni. Ed è forse questa impalcatura, aperta e non chiusa del sapere, il dono più rilevante che lo psicologo, rivoltosi al teatro di Pirandello alla ricerca di verifiche, può raccogliere con stimolante inquietudine.

(1) La convinzione di Moreno di aver influenzato Pirandello, di cui parla Zerka Toeman Moreno nell'intervista di Fernanda Pivano in questo stesso fascicolo, è confermata anche da Enrico Fulchignoni in una sua comunicazione personale.
(2) Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d'autore (1926), Mondadori, Milano, 1979, pp. 40-41.
(3) Moreno precisa che la sua influenza sulle idee di Lewin è limitata alla teoria e ai metodi di gruppo e a quelli basati sull'azione, cioè al lavoro che Lewin iniziò nel 1936 subito dopo il loro incontro. Il lavoro di Lewin in psicologia topologica e della Gestalt, precedente a questa data, resterebbe esente dall'influenza di Moreno. Cfr. J. L. Moreno, Preludes to my Autobiography, Beacon House inc., Beacon - New York, 1955, p. 92.
(4) Jack Gelber, The Connection, Grove Press, New York, 1957.
(5) Gaspare Giudice, Pirandello, Utet, Torino,  1963, p. 522.
(6) Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Boringhieri, Torino, 1966, pp. 250, 252.
Dopo aver notato che "l'interesse alla psicologia, alla psicopatologia, alla medicina, poteva sì avere certe radici autobiografiche precise (l'asma, il padre clinico, per Proust, la moglie pazza per Pirandello) ma era anche quello di una intera cultura", David considera l'influenza di Proust e Pirandello sul trentennio di letteratura occidentale a loro successiva. Egli osserva che "riesce oggi difficile fare lo smistamento nell'opera di uno scrittore qualsiasi che sia loro posteriore, tra il proustismo, il pirandellismo conscio e il freudismo più o meno consapevole venuto da altre fonti".
Sempre secondo David il fascino dell'espressione letteraria di Proust e Pirandello potrebbe aver costituito un freno allo sviluppo di dottrine psicologiche più recenti.
La constatazione che "le formulazioni di quegli scrittori... formino un sistema di rappresentazioni cristallizzato il quale si oppone a sistematizzazioni più moderne" non implica, a mio avviso, che la loro pregnanza significativa e la loro vivacità siano inferiori a quelle delle "sistematizzazioni più moderne" e delle loro pretese totalitarie. Resta infatti sospeso il problema costituito dalla ricchezza euristica del fascino letterario, non a caso presente nell'opera di Freud. Sul problema della psicopoiesi si veda di James Hillman "The fiction of Case History: a Round" in James B. Wiggins ed., Religions as Story, Harper & Row, New York, 1975, pp. 123-173.
(7) Giovanni Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Mondadori, Milano, 1981, pp. 150-151.
L'accostamento di Macchia riguarda i meccanismi della memoria e della psiche sotto suggestione: "Pirandello leggeva nei libri di Binet alcune verità che lo avrebbero quasi sconvolto. La personalità non era un'entità fissa permanente e immutabile. Era invece una sintesi di fenomeni che variava secondo gli elementi che la componevano. Ed era incessantemente in via di trasformazione. Nel corso di un'esistenza anche normale si può assistere al succedersi di un numero imprecisato di personalità distinte" (p. 151).
Quanto a Binet, Ellenberger pone le sue concezioni al massimo vertice della prima psichiatria dinamica e come punto di partenza dei nuovi sistemi di Janet, Breuer, Freud e Jung. Cfr. Henry F. Ellenberger, La scoperta dell'inconscio (1970), Boringhieri, Torino, 1972.
(8) Giovanni Macchia, Op. cit., p. 155.
(9) Ibidem.
(10) Salomon Resnik, Il teatro del sogno, Boringhieri, Torino, 1982.
(11) Cfr. i numeri 59 e 60 del Bulletin de la SEPT (Paris, 1980), dedicati al 3° Congresso della SEPT: "Le psychodrame et la sexuation", dove fu presentata una prima versione di questo articolo.
(12) Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli (1917), Mondadori, Milano, 1966, p. 51.
(13) Op. cit., p. 20.
(14) Pochi mesi orsono mi capitò di pensare spontaneamente alla situazione descritta da Pirandello in Enrico IV. Un piccolo comitato di una famiglia siciliana benpensante e benestante giunse a Roma per chiedere aiuto a proposito di una paziente designata che rifiutava qualsiasi approccio farmacologico e psicologico a una situazione descritta come delirante. L'invito a intraprendere una terapia familiare fu decisamente scartato dai congiunti. Mi sentii invece rivolgere in tutta serietà la richiesta di una diagnosi e di una terapia in situ e en travesti, inserendomi — così dissero — in casa loro come in uno psicodramma. La proposta era di fingermi il nuovo avvocato di famiglia per avvicinare e circuire benevolmente la paziente designata e poi "scardinarne" il delirio.
(15) Luigi Pirandello, op. cit., p. 23.

SUMMARY

Pirandello's "II berretto a sonagli (lit. "The Fool's Cap") in the light of Moreno and Freud.
The A. describes the psychological meaning of Pirandello's plays and their complete originality when compared to Freud and Moreno's thought.
Even though the play Il berretto a sonagli, written in 1917, could be interpreted in psychoanalytic and psychodramatic terms, the A. shows how it is impossible to interpret in a reductive way the delineation of its characters and the development and resolution of its plot.

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