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I NUMERI E IL CORPO di Renato Gerbaudo

Introduzione

Marco ha quattordici anni. Da due anni viene regolarmente al gruppo di psicodramma. Era stato portato dai genitori ad una consultazione psicologica, perché preoccupati del suo comportamento a casa e a scuola.
A casa era particolarmente aggressivo con la mamma, per anni ha mangiato soltanto latte e sostanze prevalentemente liquide.

A scuola, a causa del suo stato di disagio, provocava continuamente risse tra i compagni e l'ira degli insegnanti che regolarmente lo espellevano dalla scuola.
L'atteggiamento dei genitori nei suoi confronti era molto diverso: il padre chiedeva un aiuto perché il figlio si "normalizzasse", la madre era invece preoccupata di quello che poteva succedere al figlio lontano da lei. Si presentava insomma come un contenitore del figlio e si augurava che anche gli altri, gli insegnanti, il capo scout, lo psicologo facessero altrettanto.
Questa funzione di "involucro", che tra l'altro perfino il cognome della mamma richiamava, era stata più volte rappresentata nei giochi psicodrammatici di Marco.
Nei colloqui preliminari Marco, invece di parlare, preferiva muoversi continuamente e il suo corpo era scosso in quasi tutte le parti da una serie notevole di tics. Solo dopo qualche mese di psicodramma aveva incominciato a parlare, raccontando storie fantastiche senza accettare interruzioni e cercando di occupare da solo tutto lo spazio della seduta.
Marco attraversa ora un periodo in cui manifesta un cambiamento sia nei temi che porta, sia nell'atteggiamento fortemente elaborativo che dimostra nella successione delle sedute. La sua attenzione è concentrata prevalentemente sul suo corpo e le varie trasformazioni che progressivamente subisce.
Marco parla di numeri, di forme, di geometria che in qualche modo sembrano essere gli strumenti attraverso i quali opera una specie di "costruzione" dell'immagine del corpo e delle sue identificazioni sessuali.
È stato questo percorso a farmi interrogare su ciò che per me è lo specifico del lavoro dello psicodramma: il gioco dei significanti e la loro presa sul reale del corpo nella produzione di identificazioni immaginarie e il rapporto del soggetto con il suo desiderio.

1 - In principio era lo zero

Marco deve riprendere le sedute di psicodramma dopo una lunga pausa estiva e in un posto diverso dal precedente. È rimasto per un periodo di tempo l'unico partecipante di un gruppo composto da quattro ragazzi. Si tratta adesso di ricominciare e per qualche seduta sarà solo con i due animatori in attesa che entrino altri ragazzi nel gruppo.
In questo caso lo psicodramma rimane di gruppo, sia perché sono "presenti", nell'esperienza e nel discorso del partecipante, anche quelli che hanno lasciato il gruppo, sia perché si può fantasticare sugli eventuali "arrivi" di nuovi partecipanti.
La settimana prima di riprendere le sedute è stato ammalato con febbre alta. Quando arriva è dimagrito e abbastanza teso. Associa il nome della via in cui si svolgono le sedute con la parola "osso" e i morti. Poi racconta l'episodio di un incontro con un suo compagno di giochi del palazzo a cui è morto il padre. Questo ragazzo ha la sua età e una sorellina piccola come la sua. La madre dell'amico, secondo Marco, non sa fare niente senza il marito. A lui poi da fastidio il "bottone" del lutto che questo suo amico porta sul risvolto della giacca.
Gli dico che anche lui è stato per molto tempo senza di noi e che per un certo periodo non ci ha più visti. Inoltre ha dovuto cambiare il posto in cui ha luogo lo psicodramma, che gli fa ricordare le ossa dei morti.
Nella seduta seguente Marco riprende il tema del lutto, lamentandosi che non ci sono più gli altri ragazzi.
Fra l'altro, si chiede dove sia capitato. Sente la voce di un bambino che proviene dal corridoio: "questo bambino che parla è uno spastico ? " domanda.
Si mette a disegnare degli "O" e degli "8" mentre parla dei bei tempi andati, in cui si stava meglio e il luogo della terapia era più piacevole. Qui ha l'impressione di stare in una prigione. L'animatrice gli chiede che cosa possono essere quei numeri disegnati con il pennarello nero.
Marco risponde con una specie di apologo: "C'era un '80' solo
soletto e andava a casa. L' '8' dice allo 'O': 'Mi vuoi accompagnare?' ".


Lui vorrebbe giocare la parte dell' "8". I due erano sposati e avevano
due figli. L' "8" va dalla moglie e le dice: "Cara, vogliamo uscire?"
"Sì, usciamo", risponde lei. I figli, che dormivano, si svegliano e vanno tutti e quattro al cinema.
I figli sono il "7" (maschio) e il "9" (femmina). Dopo il film vanno a vedere un museo, dove incontrano all'ingresso un guardiano, il "10". Il museo è quello etrusco. I bambini vogliono toccare gli oggetti esposti, ma il guardiano li redarguisce e il padre gli da ragione. L'animatrice sottolinea questa doppia proibizione.
Dopo questo racconto Marco dice di aver visto alla TV Ligabue, che secondo lui era "un poveraccio", ma intelligente. Era basso e forse un po' "spastico". Ritorna il problema che venire da noi, dove forse ci sono anche dei bambini "spastici", si corre il rischio di essere confusi con loro. Da qualche parte ha sentito che il problema degli spastici ha a che fare in qualche modo con il parto. Lui, dice, è nato con "il forbice" (forcipe). Questo lapsus è particolarmente significativo perché introduce la dialettica tra il taglio e il rimanere attaccati o contenuti come nel caso della forbice o del forcipe.
Mentre chiede all'animatrice che cosa succede ai bambini appena nati, si tocca l'ombelico premendolo con un dito e dimostrando un'ansia crescente. Dopo che l'animatrice gli chiede che cosa gli faccia venire in mente quella domanda, risponde chiedendo che cosa potrebbe succedere se il cordone ombelicale non si taglia oppure se si apre l'ombelico.
Queste ultime domande all'animatrice rivelano l'importanza nel discorso di Marco della funzione del lutto e della separazione. Nella prima seduta Marco aveva messo in evidenza l'aspetto simbolico del bottone nero (a forma di zero) sul petto del suo amico, testimonianza di un taglio che corrispondeva alla perdita di un padre reale e contemporaneamente alla sua presenza simbolica.
Questo bottone o zero simbolico ha poi prodotto nell'associazione la storia tra uno zero (femmina) e un otto (maschio) che altro non è, nella forma, che un doppio zero. A dimostrazione di questo Marco durante le sedute disegna il corpo delle persone come un otto a cui aggiunge a piacimento degli attributi sessuali.
Ho quindi ipotizzato che questo zero sia il generatore di una serie di numeri da cui traggono senso e posizione gli altri numeri. Se, come ho fatto notare a Marco nell'osservazione, si mettono in fila i numeri della storia che ci ha descritto e si pone l'analogia che egli stesso ha fatto tra i numeri e i componenti della famiglia, avremo che:
0 è il principio generatore
7 è il figlio maschio
8 è il padre-marito
9 è la figlia femmina
10 è il guardiano che chiude la serie. Egli è inoltre il rappresentante di un divieto. È un numero che nella nostra cultura ha una certa importanza per i bambini (contare fino a 10, i dieci comandamenti, prendere 10 etc.).


C'è stato poi uno spostamento all'esterno della superficie corporea che segna il movimento nello sviluppo dell'identificazione sessuale: dal bottone sul petto al bottone della pancia (ombelico).

2. - II cerchio e la sfera: dai numeri al corpo

Nella seduta seguente Marco parla dei suoi disegni: tutta la pagina è ricoperta di peni stilizzati, a forma di forbici, confusi tra loro e che lui chiama "siluri". Tutti quanti hanno alla base due cerchi a forma di otto orizzontale. A rappresentare la congiunzione tra questi due "cerchi-palline-testicoli", Marco disegna i peli a forma di "m", che associa all'iniziale del suo nome e di quello della mamma. Dice che tutti questi disegni sono egiziani, che sembra voler significare misteriosi e indecifrabili.
Ritorna poi sul discorso dell'ombelico e dice: "Se me lo apro, esce tutta mamma!".
Mi sembra di assistere, nel discorso di Marco, ad una specie di "Gioco dell'oca", in cui questo cerchio compie un percorso in diversi punti significativi del corpo e in ogni parte in cui si mostra ha un riferimento preciso alla madre.
Inoltre, ogni volta che appare una nuova tappa, ci ricorda quella precedente. Ho notato che questo modo di fare di Marco ha spesso rappresentato una manovra, imperniata sulla fantasia, di avvicinamento ad una situazione nuova particolarmente difficile da affrontare.
In uno di questi racconti infatti dice, come se la cosa avesse scarsa importanza, che nei giorni precedenti è andato con la mamma dal dottore. Il quale "gli ha toccato i testicoli", perché all'inguine gli era spuntata una ghiandolina.
Gli chiedo se ne aveva parlato prima con la mamma e lui mi risponde di sì. Propongo di vedere la scena della visita al dottore.
Nella parte del medico Marco è molto rassicurante e si direbbe sollevato. In più dice con molta energia, rivolgendosi alla madre del ragazzo "Non si preoccupi signora, è solo un problema di sviluppo. La ghiandola scomparirà se Lei gli da questo sciroppo due volte al giorno, dopo i pasti".
Tornato a sedersi, è molto contento di aver fatto "bene" la parte del medico e incomincia a dirci che lui è forte e può, saltando, toccare il lato superiore dello stipite della porta.
Gli sottolineo che quanto dice è collegato al gioco: per crescere forse bisogna rinunciare ad essere tutto, per esempio anche l'altro sesso, ma che in compenso si scoprono anche delle energie disponibili a raggiungere dei traguardi desiderati.
La ghiandolina (siamo passati da una forma bidimensionale, il cerchio, ad una forma tridimensionale, la pallina) riprende il tema del bottone che mano a mano si muove e nella sua funzione significante, dinamizza parti del corpo e le mette in relazione tra loro. L'immagine corporea che ne deriva è a sua volta confrontata con l'immagine esterna del corpo degli altri. Marco prima di chiudere la seduta ci racconta le differenze fisiche tra lui e la sorellina che a volte paragona ad un coniglio o ad una lepre.


Quando Marco ritorna la settimana successiva riprende, come ha già fatto in altre occasioni, tutti i temi delle sedute precedenti, come per collegare nel suo discorso i frammenti che sono stati elaborati nei vari giochi. Sono momenti molto importanti perché rappresentano i tempi di elaborazione e di sedimentazione di un discorso di cui egli stesso indica i contenuti e i livelli possibili da analizzare.
Marco parla dell'esperienza religiosa della comunione, accennando all'ostia, "corpo di Cristo", che assume una particolare importanza alla luce delle sedute precedenti. Se pensiamo alla forma circolare dell'ostia e al fatto che viene assunta all'interno del corpo, abbiamo una corrispondenza metonimica tra l'elemento circolare (bottone, ombelico, ostia) e il corpo intero che rappresenta.
È a questo punto che Marco, mentre continua a parlare, disegna tanti cerchietti sul foglio, senza mai interrompersi. L'animatrice gli domanda che cosa siano e lui risponde "Sono tutte patate. Con le patate si fanno gli gnocchi. Con gli gnocchi si fanno i bambini!". Vorrebbe raccontare una storia, come per i numeri, sugli gnocchi: il padre gnocco, la madre gnocca, i figli gnocchi. Descrive poi una serie di compagni che hanno delle difficoltà a livello del corpo: uno non ci vede, un altro è "spastico" e li mette tutti in relazione a se stesso come se si stesse interrogando sulla sua immagine corporea e in relazione a quella di bambini con qualche handicap.
Le differenze che lo interessano lo fanno interrogare anche su che cosa significhi essere maschio e in che cosa consistano le differenze non soltanto anatomiche tra i sessi, come vedremo nelle sedute seguenti.
Marco ha notato per esempio che, in occasione di una visita scolastica alle catacombe, le bambine avevano paura e i maschi no. Lui ha avuto paura, forse che per questo deve considerarsi più femminile degli altri maschi?
Nella seduta precedente si era parlato della ghiandolina e come questa gli ponesse il problema della differenza dei sessi e infine erano spuntati nel discorso e nel disegno "i bambini gnocchi", parola che poteva anche significare bambini poco intelligenti e goffi.
Lo "gnocco" insomma diventa un rappresentante simbolico che getta luce anche sulla posizione di Marco rispetto ai suoi legami più importanti. Questo elemento, oltre a rappresentare una specie di "mappa dell'immagine del corpo", ne significa anche gli aspetti di relazione a cui questo corpo è fissato.

3. - I bambini "gnocchi"

Le tre sedute successive sono caratterizzate dall'elaborazione di ciò che questo rappresentante simbolico, che assume di volta in volta forme e significati diversi, mette in gioco le sue relazioni con gli altri - amico, medico, madre -.
Il gioco della prima di queste sedute è imperniato sul racconto di un dialogo tra Marco ed un suo compagno, che dalla


descrizione risulta essere effeminato nei modi e nel vestire. Questo ragazzo, detto "Cicci", diminutivo che sembra alludere a questa effeminatezza, provoca Marco dicendogli che le nuove scoperte scientifiche hanno dimostrato che "un vero uomo" possiede non due, bensì tre testicoli. Dichiara lui stesso di averne tre e mette in dubbio "la virilità" di Marco.
Nel gioco si vede come il dubbio di Marco sul numero dei testicoli si origini dal fatto di avere avuto una ghiandolina inguinale che potrebbe essere la manifestazione di questo testicolo soprannumerario. Se poi, come uno gnocco, è di fabbricazione materna, questa sua presunta "virilità" gli deriverebbe proprio dalla madre. "Accontentarsi di averne due", stando alle sue parole nel gioco, è un primo passo verso quella separazione in cui si può dichiarare maschio staccato dall'altro sesso, cosa che non sembra possibile al compagno presentato nel gioco.
La seduta successiva è dedicata al problema della trasmissione, si potrebbe dire dell'inoculazione in cui l'Altro "inietta" come degli anticorpi nel soggetto. Racconta di un prelievo di sangue effettuato da un medico, prelievo che, come dice Marco, permette di "avere figli" in futuro. Quello che vediamo nel gioco è che questo medico sembra non tanto prelevare ma iniettare qualcosa che con un lapsus significativo Marco dice che protegge dalla "luce-mia", al posto di leucemia.
Il dottore gli è sembrato, al momento del prelievo, "uno spacciatore di droga", frase che alimenta la nostra impressione che si tratti di qualcosa che viene iniettato e che produce, come la droga, una specie di "estraniamento" del soggetto da se stesso. Invece di essere come un vaccino che gli permette di identificarsi come maschio procreatore, l'iniezione sembra rappresentare un'introduzione dell'Altro che invade e acceca (non produce insomma la "luce-mia").
La terza seduta è forse quella più significativa del rapporto con la madre. Nel discorso iniziale Marco introduce il sospetto che la donna, la madre in particolare, possa generare per "partenogenesi, così come prepara "gli gnocchi fatti in casa". Ricordo che in romano c'è una frase che dice "Ridi, ridi che mamma ha fatto i gnocchi!" e che le nostre sedute sono di giovedì, giorno tradizionalmente dedicato a questo piatto. Gli chiedo di vedere la scena, da lui raccontata, di un suo ritorno a casa una domenica mentre la mamma stava preparando gli gnocchi.
Durante la scena appaiono due elementi importanti: Marco, nella sua parte, come vede la madre, esclama "Ho una fame da lupo " e noi sappiamo l'importanza per lui di questo animale. Spesso ha parlato del lupo divoratore di Cappuccetto Rosso e la lupa nutrice di Romolo e Remo, drammatizzandoli spontaneamente.
Nell'inversione di ruolo, nella parte della madre, Marco compie un gesto molto ampio per togliere una tovaglia da "una montagna di gnocchi", come per sottolinearne l'enorme quantità.
Finito il gioco gli faccio presente questo gesto da lui compiuto e Marco, con una battuta, dice che la madre "l'ha ricavato dalla terra", come se anche lui fosse stato piantato e raccolto dalla sola madre. Sembra dar corpo alla tradizionale storia dei bambini nati sotto un cavolo.


Proseguendo nelle sue associazioni, ci racconta una barzelletta "sporca": Pierino va dal droghiere a comprare un salame per la mamma. Visto che il droghiere non ne ha, Pierino si taglia il pisello e lo porta alla mamma affettato; la quale, dopo averlo messo in pentola, lo assaggia e gli dice "Buono!, me ne porti un altro?" "Aspetta che mi ricresca!" le risponde Pierino.
Sottolineo che la barzelletta contiene degli elementi attinenti alla seduta e al gioco: gli gnocchi che lui disegna come cerchi assomigliano un po' alle fette di salame e che comunque si parla di cibo. Mi viene in mente la modalità con cui si preparano solitamente gli gnocchi: si fa una specie di "salame" con la pasta e poi lo si taglia in "fette" uguali. Gli gnocchi sono prodotti dalla madre per il figlio, nella barzelletta il figlio offre qualcosa di suo alla madre. Questo "sacrificio" rituale è dovuto al fatto che il droghiere è sprovvisto di salame per la madre di Pierino. Il pene salame può essere conservato solo se il figlio non pensa che possa servire alla madre per essere incorporato.
Il fatto di disegnare continuamente gnocchi per tutta la seduta e su tutti i fogli può esprimere sufficientemente bene questo rapporto circolare tra lui e la madre: fare gli gnocchi come la madre rivela questo bisogno, sentito come continuo e incessante, di alimentazione ininterrotta di "mamma", come il disegnarli può esprimere immaginariamente questa restituzione nell'ambito della seduta. Restituzione che implica il sacrificio di ciò che lo caratterizza come maschio, in un processo rigenerativo che non sembra mai aver fine.

Considerazioni finali

Una delle funzioni specifiche dello psicodramma è quella di permettere agli analizzanti l'accesso al simbolico: vale a dire che, sia nel discorso che nel gioco, si fanno risaltare, mediante gli interventi degli animatori, i significanti, la loro articolazione e la loro presa sul reale. Ciascun partecipante sperimenta la differenza tra il discorso portato in gruppo e il gioco che taglia questo discorso e ne isola gli aspetti significanti. Come dice Paul Lémoine (1) non è coinvolto il corpo reale se non nella sua funzione di presenza e di supporto, né quello immaginario se non nella sua funzione di ripetizione e di rimemorazione di un corpo passato (altro); è in gioco il corpo simbolico, come rapporto tra un significante "ad alto potenziale psichico" e il corpo a cui è legato.
Nel caso di Marco abbiamo visto come l'identificazione sessuale sia regolata da una catena significante che parte dalla parola "zero", la cui forma assume di volta in volta significati diversi in una sequenza che ho descritto, funzionando come "un attivatore" di parti del corpo che mano a mano vengono investite in un lavoro di costruzione dell'immagine del corpo e dell'attribuzione a questo corpo di un sesso, che è regolato dal rapporto con l'Altro. La stessa parola "sesso" deriva da "sexus" che significa tagliato, separato. Il lavoro dello psicodramma è un lavoro di lutto, di separazione e anche di acquisizione di parti di sé, così come si può constatare nell'evoluzione delle sedute di Marco.


L'identificazione sessuale, definita come attribuzione soggettiva di un sesso, comporta un processo di separazione che non è il distacco da un sesso "complementare", ma, se così si può dire, l'effetto di significanti provenienti dal campo dell'Altro. Si può dire, nel nostro caso, che questo elemento circolare assunto come rappresentante materno provoca degli effetti metonimici sul soggetto.
"Della ricerca del complemento, dice Lacan (2), il mito di Aristofane da un'immagine patetica e ingannevole, articolando che è l'altro, la sua metà sessuale, che il vivente cerca nell'amore, l'esperienza analitica sostituisce la ricerca, da parte del soggetto, non del complemento sessuale, ma di quella parte di se stesso perduta per sempre, che è costituita dal fatto che egli non è che un vivente sessuato, e che non è più immortale".
Ora, è proprio dal numero, in quanto iniziatore di una serie, partendo da uno zero che non sta a significare "il nulla", ma origine e direzione, che ho tentato di illustrare la dialettica tra il soggetto e l'Altro, inteso non soltanto come la madre reale ma "il luogo" da cui il soggetto estrae il desiderio di questo Altro su di lui (che vuole da me?). Ancora, ricorrendo a Lacan (3), supponiamo che "riguardo a quanto di presenza dell'Altro è già implicato nel numero, per illustrarlo basterebbe dire che la serie dei numeri non può essere figurata che introducendovi lo zero, in modo più o meno larvato. Ora, lo zero, è la presenza del soggetto che, a questo livello, totalizza. Non possiamo estrarlo dalla dialettica del soggetto e dell'Altro. La neutralità apparente di questo campo nasconde la presenza del desiderio come tale".
Lo zero delle sedute di Marco, attraverso le sue diverse significazioni, può essere paragonato a quello che Freud (4), parlando della formazione dei sintomi, descrive come l'identificazione all'oggetto amato e fa l'esempio della tosse di Dora, che imita quella del padre. Aggiunge Freud che "degno di nota è il fatto che in queste identificazioni l'Io copia ora la persona non amata, ora invece quella amata. Deve del pari attirare la nostra attenzione il fatto che nell'uno e nell'altro caso l'identificazione è un'identificazione parziale, assai circoscritta, che si appropria soltanto di un aspetto della persona che è oggetto di identificazione". Quest'ultimo aspetto particolare, molto importante, è quello che Lacan elabora con il nome di "tratto unario", der Einziger Zug (5).
Questa relazione "energetica" nel caso di Marco, è espressa da questa insistenza nel disegnare e nel parlare continuamente di gnocchi. Nelle sedute successive definirà questi gnocchi come la benzina, il carburante per poter vivere. È stato proprio il problema, suscitato dallo psicodramma di Marco, che mi ha dato lo spunto per interrogarmi sugli aspetti identificatori della relazione madre-figlio e per tentare di districare gli aspetti di separazione e di differenziazione che permettono a Marco di riconoscersi come soggetto desiderante.
* Lo psicodramma dei bambini, così come viene descritto in questo articolo, non differisce nella sua impostazione teorica da quello psicodramma analitico di orientamento freudiano teorizzato alla SEPT di Parigi da Gennie e Paul Lemoine, analisti di scuola lacaniana.


Esistono comunque alcune specificità che caratterizzano lo psicodramma di bambini, costituite sia dalla modalità con cui si struttura « la domanda » rivolta al terapeuta che dal tipo di setting. Va pure tenuto presente che è in gioco il desiderio dello psicodrammatista in relazione al suo lavoro analitico e alla sua scelta di privilegiare l'ascolto di bambini. Questo desiderio è sempre in causa e pone agli psicodrammatisti un continuo lavoro di formazione e di analisi personale.
I) La domanda
Raramente la domanda di terapia è posta dal bambino. All'inizio egli viene condotto da uno o entrambi i genitori, a volte da parenti, che parlano per lui, raccontano le loro preoccupazioni, descrivono il disagio o i sintomi di cui il bambino è, secondo loro, portatore.
Freud aveva già fatto notare che i genitori chiedono che il bambino cambi, ma nella direzione da loro voluta: « ... I genitori pretendono che si guarisca il loro bambino, che è nervoso e indocile. Per bambino sano essi intendono un figlio che non procura difficoltà ai suoi genitori, che è per essi fonte di gioia e di soddisfazione. Il medico può riuscire a guarire il bambino, ma questo, una volta ristabilito, va tanto più decisamente per la sua strada da rendere i genitori assai più scontenti di prima. Insomma, non è affatto irrilevante se un individuo si rivolge allo psicanalista di propria iniziativa o perché altri lo spingono a questo, se desidera egli stesso cambiare o se invece lo desiderano solo i suoi congiunti che lo amano o dai quali ci si dovrebbe aspettare un tale amore » (da « Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile », ed. Boringhieri, vol. 9, pg. 139).
Fin dall'inizio è perciò indispensabile che la domanda dei genitori avvenga in presenza del bambino e che non esista alcun « accordo » al di fuori della sua adesione o del suo rifiuto. Nondimeno il bambino, durante il colloquio parla, gioca, interviene e la sua domanda può sorgere indipendentemente dai motivi che hanno spinto i suoi congiunti a consultare uno psicologo. « E' dunque essenziale, come afferma H. Fromm nel n. 62 del Bulletin della SEPT, che fin dai colloqui preliminari, i genitori accettino che si possa trattare di qualcos'altro del sintomo preciso per il quale hanno chiesto la consultazione».
Il più delle volte è importante dedicare alcuni colloqui individuali al bambino prima di intraprendere un gruppo di psicodramma. Una volta deciso che sarà « il discorso » del bambino ad essere ascoltato, i genitori vengono invitati a rimanere al di fuori dello spazio delle sedute e il loro contenuto non sarà rivelato dal terapeuta in nessun caso. Ai genitori sono proposte consulenze individuali o di gruppo con un terapeuta diverso da quello che si occupa del bambino. Queste sedute hanno lo scopo di riprendere la domanda dei genitori e di offrire loro la possibilità di avere uno spazio in cui poter focalizzare alcuni dei loro problemi personali di relazione con i figli.
Naturalmente le consulenze rispetteranno il livello del problema posto dai genitori e non costituiscono un'analisi personale non avendo essi stessi fatto un'esplicita richiesta. Le tecnica delle consulenze di gruppo sono costituite da un numero di sedute, a termine e con partecipanti fissi, di Gioco di Ruolo (Role-Playing). Questo lavoro con i genitori serve loro per sensibilizzare maggiormente sui problemi relativi al disagio dei figli e offre uno spazio di discussione sull'andamento della terapia dei bambini.


2) Il setting
Le sedute di psicodramma si svolgono una volta alla settimana nello stesso orario e nello stesso luogo e hanno la durata di un'ora. Il numero dei bambini è generalmente inferiore a quello dei gruppi di adulti. In particolare può variare da 3 a 6 bambini. Anche l'età non può essere troppo variabile e si assume indicativamente la regola di non superare la distanza di tre anni tra un bambino e l'altro. L'arredamento della stanza prevede alcune sedie, sistemate in cerchio, e un tavolo su cui ci sono alcuni fogli bianchi, matite e pennarelli. I partecipanti, se vogliono, possono anche disegnare, sapendo comunque che sarà unicamente « il discorso sul disegno » ad essere ascoltato.
La regola fondamentale è che ciascuno viene per parlare liberamente di tutto quel che vuole. L'animatore, dopo aver ascoltato gli episodi raccontati, può proporre ad un partecipante di « giocare » un episodio descritto. I giochi psicodrammatici sono simbolici: la rappresentazione è immaginaria, perciò se si deve drammatizzare ad esempio uno schiaffo o un bacio, si farà « come se » si desse uno schiaffo o un bacio al personaggio descritto. Se invece lo schiaffo o il bacio viene dato realmente, si esce dalle regole del gioco (acting out). I bambini, anche piccoli, capiscono benissimo la differenza, dopo poche sedute, tra gioco spontaneo e gioco psicodrammatico.
Si mettono in scena, dopo che il partecipante ha scelto tra i presenti i personaggi raccontati, soltanto episodi della vita reale, compresi i sogni. Non sono rappresentati, almeno su proposta dell'animatore, le scene cosiddette « fabulate », in cui i personaggi sono i protagonisti di fantasie, tratti in genere da films, cartoni animati, fumetti, in una parola le scene immaginate per puro godimento o per realizzare un desiderio insoddisfatto.
In questo tipo di setting lo psicodramma freudiano si caratterizza rispetto ad altre forme di psicodramma, di tipo psicanalitico Widlöcher, Lebovici, Anzieu e altri.
Il numero degli animatori di una seduta di psicodramma è di due persone, che generalmente si alternano nelle due funzioni peculiari: l'animazione e l'osservazione.
3) Il desiderio dello psicodrammatista
Chi desidera diventare psicodrammatista deve necessariamente aver partecipato ad un gruppo di 1° livello, in cui abbia analizzato i suoi problemi personali. Gli psicodrammatisti hanno anche un'esperienza di analisi individuale.
Nel gruppo di 2° livello (di formazione), che segue il precedente, l'aspirante psicodrammatista, alla presenza di uno o più didatti, anima un gruppo di colleghi che, a turno e in sedute diverse, occupano il posto di analizzanti, di animatori o di osservatori. Questo gruppo serve ad approfondire l'analisi del proprio desiderio di diventare psicodrammatisti e a lavorare sui « punti ciechi », che inevitabilmente ciascuna persona rivela in relazione ai suoi problemi in un setting terapeutico.
Infine in un gruppo di 3° livello (di supervisione) gli psicodrammatisti affrontano i problemi del loro lavoro terapeutico, analizzati da un didatta. Questo gruppo è molto importante per rimettere in gioco ciò che, a livello del desiderio dello psicodrammatista, è celato nel transfert con gli analizzanti.


Un aspetto rilevante nell'esperienza dello psicodramma di bambini è il lavoro nell'Istituzione pubblica. Oltre che alla famiglia lo psicodrammatista deve rispondere ai problemi dell'organizzazione rappresentati dall'Istituzione con cui è in rapporto. La strutturazione di un setting nel servizio pubblico comporta una serie di problemi che necessitano un approfondimento, tuttora molto intenso e attuale nei gruppi di studio e di lavoro.
Questi problemi si riferiscono ad alcuni degli aspetti salienti del lavoro psicoterapeutico nell'Istituzione (il pagamento delle sedute, il rapporto del terapeuta con gli altri operatori che si occupano degli stessi bambini, gli obiettivi dell'Istituzione e l'offerta di uno spazio « soggettivo » di ascolto psicanalitico all'interno di una struttura necessariamente burocratizzata).
Va  infine  sottolineato che l'area di  intervento dello psicodramma non è soltanto quella del sintomo o del disagio dei bambini (che possono essere caso mai un punto di partenza) ma 'soprattutto quella di un ascolto del desiderio che muove una domanda tesa non esclusivamente alla « guarigione » ma al cambiamento.

 


(1) P. Lemoine, Da una conferenza inedita, Parigi, 1979 ottobre.
(2) L Lacan, Il seminario Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, Einaudi, Torino              1979, p. 209.
(3) J. Lacan, Ibidem, p. 230.
(4) S. Freud, Scritti, voi. 9  da  "Psicologia delle masse e  analisi  dell'Io" (1921), Boringhieri, Torino, 1981.
(5) J. Lacan, Il seminario Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, Einaudi, Torino, 1979, p. 260.


SUMMARY


The Body and Numbers
The Author describes the essential aspects of a series of psychodrama sessions with a young boy. In the sessions, Marco tells stories in which the protagonists are numbers. The psychodramatic plays stress the connection between these numbers and Zero, the opener of the series. This Zero has a different meaning in each session and seems to be very important in the patient's process of sexual identification. Going through many transformations, this Zero becomes an important element in Marco's relationship with his mother.

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