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RAPPRESENTARE UN'AZIONE (DRAMA) PUO' PORTARE A TROVARNE L'ANIMA di Giuliano Scabia

Ho sperimentato varie vie di teatro, ma ciò che forse ha più modificato il mio modo di rappresentare è stato muovermi dentro personaggi e figure "mitiche" di grande estensione temporale. Per esempio, ho camminato per circa due anni con l'uomo selvatico (il Gorilla quadrumane), portandolo per paesi e città.

Se vogliamo considerare i satiri e Pan stesso figure primarie di uomini selvatici, e Tarzan delle scimmie e King Kong come incarnazioni recenti (ma anche il guerrigliero dei monti, il contadino rituale e il "selvaggio" dell'antropologia ne sono rappresentazioni moderne), il personaggio risuona in una quantità di "testi" (immagini e scritture), estremamente variati nel tempo, ma coerenti. Recitare (o portare) un personaggio del tipo uomo selvatico è molto diverso dal recitare Amleto o Liolà, che sono segnati in un contesto definito, e partendo da tale contesto vanno decifrati e confrontati con la nostra presenza.
Una figura in parte riducibile alla forma uomo selvatico è la diade Diavolo/Angelo, che recito da cinque anni per paesi e città grandi e piccole. Anche il Diavolo è un personaggio estremamente esteso, compreso tra tradizione religiosa e tradizione teatrale e non solo teatrale. Volevo interrogare la "maschera personaggio" e la "figura" Diavolo e Angelo.
L'azione si svolge in questo modo (per una descrizione complessiva rimando al volume Il Diavolo e il suo Angelo, ed. Casa Usher). Percorro la città o il paese in cui vengo invitato senza avvisare dell’ora e del luogo del passaggio. Gioco i 44 pezzi (tirate, operine, lazzi, vendite, improvvisazioni, danze, musiche) ripetendoli continuamente, perché sempre nuova è la gente che incontro. Entro nelle case, nei negozi, ovunque trovo uno spiraglio.
Che cosa ho osservato col passare del tempo? Che l'azione (il dramma: cioè un testo) ha avuto un andamento del tipo: prima fase, con duplice reale paura nei confronti del personaggio e della tenuta del personaggio di fronte al pubblico casuale; seconda fase di crescita e maturazione del testo (i pezzi da 22 sono diventati 44) e di liberazione dalla paura; epiloghi.
L'inizio ha costituito per me una vera e propria nascita psicologica e l'uscita da alcune dipendenze (soprattutto quella del tempo/ spazio teatrale, legato a un luogo determinato e ad un'ora fissata); e soprattutto la liberazione da una residua paura del Diavolo. In seguito "la commedia" ha continuato ad accrescersi e a mutarsi, come un essere vivo (perché un testo vero è un essere vivo).
C'è stata anche una provvisoria conclusione qualche mese fa (settembre '83), nel cratere del monte Vulture, in Lucania. Raccontando la conclusione mi avvicino a una possibile estensione del significato di psicodramma.
Gli organizzatori mi hanno detto: "Nel cratere del Vulture c'è un antico santuario dedicato a San Michele Arcangelo. Ti proponiamo di cominciare di là il giorno della festa di San Michele, il 29 Settembre. La festa non c'è più, perché da tre anni il santuario è chiuso. Ma molti vengono ugualmente, e sperano che la festa ci sia".
Abbiamo cominciato a metà pomeriggio. Gente ce n'era. Un tempo, mi disse qualcuno, convenivano là in più di centomila da tutta la Lucania. Ho cominciato ad avanzare, legato per la corda all'Angelo che suonava il violino, sulla striscia di terra fra due piccoli laghi circondati dal bosco. La gente veniva fuori udendo la musica, e di colpo mi sono sentito al centro di una tensione sconvolgente, mai prima provata facendo teatro. Alcuni gridarono: " È  pe Santu Michele! È pe Santu Michele!". Ho capito che stavo diventando il celebrante della festa che non c'era più: e a quel punto ho anche capito la mia commedia, la sua psicologia: ho capito che avevo "rivissuto" la struttura "sacra rappresentazione" e ho provato in atto (così ho creduto) la differenza fra teatro profano e cerimonia sacra.


In quella funzione di celebrante ho resistito solo pochi minuti. Ho raccontato una storia antica che comincia così: Un giorno Dio creò gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini, e fra gli Angeli ce n'era uno che si chiamava Lucifero... Una favola: Poi sono scappato via, non sarebbe stato possibile reggere la festa (ma la fuga è uno dei pezzi della mia commedia). Molti avevano preso i santini (uno con l'immagine dell'Angelo, l'altro del Diavolo) e li baciavano. Il gesto di dare il santino era ricondotto alla sua funzione conosciuta, senza osservare il contenuto dell'immagine. Bastava accennare ad un gesto perché tutto il simbolo venisse evocato. Eppure era a tutti chiaro, credo, che si trattava di una rappresentazione.
Ho capito che la forma (l'anima?) del mio dramma là finiva svelandosi nella sua vera natura (avrei potuto arrivarci per altra via, forse). È per questo che mi permetto di usare la parola psicodramma in doppio senso: che la commedia (il dramma) ha mostrato a me la sua psiche, e che la mia psiche si è svolta e trasformata attraverso l'azione (il dramma) da me e dal mio Arcangelo recato.

 


SUMMARY

The Soul of the Drama
The Author, actor and playwright, describes his theatre experience through mythical plays with primitive and wild characters that he performed in fields and lanes in the country.
Seeking contact with country people, entering their houses and shops, the text of the comedy develops slowly growing and changing like a living creature: the play in fact has a Soul. During one of the performances, based on the contrast between the Angel and the Devil, the rural community reacted showing spontaneous manifestations of religiosity just as if they were at a more conventional sacred representation.

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