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IL GIOCARE E IL SEDERE di Giancarlo Durelli

Come Pirandello, Jacob Moreno stabilisce l'equazione vita-teatro fin da quando, giovane medico, racconta favole di sua invenzione ai bambini che si radunano intorno a lui nei giardini di Vienna, per poi proporre loro giochi di improvvisazione invitandoli a dare nuovi nomi ai compagni.

Il gioco diventava così, come il teatro, lo spazio psichico, dove ciascuno poteva mettere in scena i propri conflitti e trasformare le proprie immagini.
Era nato il teatro della spontaneità, una prima fase dello psicodramma teso a liberare quelle forze rinnovatrici di una cultura che non trovano posto sulla scena e tanto meno tra le quinte e restano in sala, tra il pubblico.
Lo spettatore, entrando in conflitto con l'attore, si accorge che la rappresentazione non riguarda i suoi vissuti; a questo punto il teatro scende dal palcoscenico e diventa teatro di gruppo.
L'attore venuto dal pubblico cerca qui la propria spontaneità; entrato con la maschera, nella ricerca del suo autore ideale, ha trovato, o per lo meno cerca, la propria autonomia dall'autore di professione. Nella trilogia pirandelliana del teatro nel teatro questo percorso si esprime persino nella successione dei titoli: dai Sei personaggi in cerca d'autore in cui è evidenziata una radicale mancanza, alla ricerca di sé stessi di Ciascuno a suo modo, per giungere infine allo scontro tra l'autonomia degli interpreti ed il regista in Questa sera si recita a soggetto.
Fin qui le somiglianze tra Moreno e Pirandello. Scrive Ottavio Rosati:
         
"Entrambi, espressero la crisi come conflitto tra vita e forma, e misero in scena sia l'inversione dei ruoli tra palcoscenico e platea, sia l'autonomia del personaggio abbandonato ed in ricerca dell'autore... Ma Pirandello è artista e non rinuncia a formalizzare in opere d'arte il conflitto tra la vita e la forma. Moreno è terapeuta e propende decisamente per i benefici della spontaneità...così il superamento del teatro tradizionale per Pirandello consiste in una sintassi mentre per Moreno sfocia in una nuova pragmatica della messa in scena".
Si tratta dell'autonomia che porta all'incontro con la propria soggettualità. Di una pragmatica che rivela la sua efficacia terapeutica sviluppandosi in una nuova pragmatica della vita. Lo psicodramma terapeutico nasce per un caso fortunato e con un parto spontaneo. È la storia di Barbara e George che tutti conosciamo.
Vorrei raccontare alcuni momenti del lavoro del "Rebis" di Torino dove il gioco psicodrammatico viene sistematicamente seguito da un'elaborazione critica e dall'analisi junghiana.
Un partecipante portò al gruppo di psicodramma questo sogno sullo psicodramma:

L'analista mostra a me e al gruppo un foglio sul quale è disegnata una figura piana: un poligono con molti lati, quasi un cerchio. Al suo interno sono tracciate due linee rette non ortogonali che si intersecano al centro e collegano quattro dei numerosi vertici.
Ogni partecipante deve esprimere al gruppo le associazioni evocate dall'immagine.
Io dico: "La linea più orizzontale mi fa pensare ad una relazione paritaria tra due persone. Quella più verticale ad una relazione


interiore con il profondo".
L'analista mi risponde: "Dopo quello che hai detto mi vedo costretto a rivedere le mie teorie. Dovrò cambiare il mio punto di vista".
Questa promessa di cambiamento però mi sembra un rimprovero. Provo una profonda irritazione.
Solo al risveglio sento che il sogno propone nuove prospettive. Capisco che la mia irritazione è collegata alla tendenza a autoleggitimarmi solo attraverso l'opposizione e che questa è un'altra forma di dipendenza.

Il gruppo associa al sogno le immagini della bussola, della rosa dei venti, della ruota, e dell'orologio che segna il tempo della trasformazione. Si parla di una figura geometrica dagli infiniti vertici e dalle infinite dimensioni, di una geometria dell'inconscio che la coscienza, col suo sentire tridimensionale, può cogliere solo in parte.
Direzione, movimento, spazio, tempo del cammino di individuazione: queste allusioni del sogno ora sono più chiare. Amplificati dal gruppo, i messaggi del sogno si fanno più nitidi. Ma non basta evocare le immagini. Perché si trasformino occorre l'elaborazione attraverso il gioco, grazie al quale la coscienza entra in relazione con la dimensione immaginale, col mondo degli inferi.
Il gioco in psicodramma è il ponte sul quale Ade ed Ercole si incontrano, non necessariamente per combattersi. Ma è anche quell'area transizionale indagata da Winnicott dove diventa possibile al paziente creare nuovi simboli e fare nuove esperienze.
Veniamo perciò alla rappresentazione di questo sogno, sapendo che la scelta degli Io ausiliari, come interpreti dei ruoli, da sempre importanti indicazioni.
La parte dell'analista che fa la proposta di cambiamento viene affidata ad una donna giunta alla fine del suo percorso analitico. Le due linee rette sono impersonificate da una coppia: quella orizzontale da un uomo col quale il sognatore sente di avere stabilito nel gruppo una relazione paritaria, quella verticale (che sottolinea la profondità ma anche la difficoltà dell'incontro) da una donna che nel gruppo incarna l'atteggiamento sentimentale. Il poligono simile a un cerchio, il contenitore delle linee è rappresentato da tutto il gruppo.
La spazialità e le posizioni assunte dai personaggi nel gioco rimandano al sognatore ed al gruppo la quaternità degli elementi. Sono infatti quattro le parti messe in gioco. Le due rette, il maschile ed il femminile, vengono distese incrociate all'altezza dei genitali per simboleggiare il punto focale in cui la relazione di interdipendenza si trasforma in una relazione di intersoggettività.
Giocando, il sognatore si trova di fronte alla sua funzione analitica interna e nello scambio dei ruoli con il personaggio dell'analista se la può assumere in prima persona. La proposta che nel sogno viene avanzata dall'analista diviene un interrogativo che trasforma la linea retta della rigidità nella linea curva della flessibilità.


Al gioco segue il momento della riflessione in gruppo che permette la metabolizzazione dei simboli. Non è infatti sufficiente giocare o sognare per vivere creativamente l'inconscio. La coscienza deve giocare con le immagini dell'inconscio e ricombinarle in nuovi modelli. Solo così lo specchio della riflessione consente ai simboli di alimentare l'anima ed all'Io di incontrare nuovi punti di vista.
È proprio in questa co-riflessione sui sentimenti che il gruppo si interroga sulle immagini rappresentate.
La direzione orizzontale propone una relazione paritaria. La direzione verticale una relazione interna fondata sul riconoscimento della nostra alterità: l'inconscio sentito come altro. Le due linee di relazione hanno il loro punto focale nella genitalità in cui il rapporto di dipendenza orale si trasforma in rapporto paritario e creativo.
Il gruppo sottolinea anche una terza relazione finora rimasta in ombra: quella dell’Io del sognatore con la propria funzione analitica-riflessiva che propone il superamento sia della dualità simbiotica sia della triangolarità edipica.
Nell'eco variegata del gruppo le chiavi di lettura si moltiplicano: la X disegnata dalle due rette sembra portare l'incognita dell'interrogativo e rimanda alla X cromosomica. Qualcuno infatti la associa all'incontro tra biologico e psichico, tra microcosmo e macrocosmo. Il poligono dagli infiniti vertici, poi, come un mandala propone al gruppo il simbolo del Sé.
Il rapporto tra il momento della ristrutturazione delle immagini e quello dell'elaborazione è al centro di un secondo sogno, sempre sullo psicodramma, portato da un altro partecipante.
Ecco il sogno:
Sto scendendo una scala quando all'improvviso svengo e cado. Quando riprendo coscienza capisco di dover rifare una seconda volta questa scena della "perdita della coscienza" di fronte ad un regista.
Torno a scendere la scala ma quando inizio la caduta appare un ragazzo che, per non farmi far male, mi abbraccia i fianchi e mi tocca il sedere.
Sono sconvolta ma il regista dice: 'È andato proprio tutto bene perché il tuo sedere è un 'anticamera. È grosso, anche se è posteriore. '

Questo sogno, con humor, segnala che in psicodramma al momento della ripetizione - riimmaginazione nel gioco e nella scena segue necessariamente quello insostituibile del "sedere".
È il momento dell'elaborazione analitica che si svolge appunto stando seduti sulla propria sedia. È questo momento riflessivo e prudente del "sedere" che porta al paziente l'abbraccio e l'ascolto, il "fare anima" terapeutico del gruppo e del regista.

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