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LO PSICODRAMMA DI MORENO E IL SUO SIMULACRO PIRANDELLIANO di André Bouissy

I rapporti tra Pirandello e Moreno sono un terreno di ricerca quasi vergine. Per quanto ne sappiamo noi, una semplice allusione in una nota a piè pagina nel Pirandello di J. Chaix Ruy (Editions Universitaires, Parigi, 1957, p. 76), un breve articolo di Enrico Fulchignoni sul Corriere della Sera :

Fulchignoni-Pirandello e lo Psicodrama Fulchignoni

 

e i fascicoli di Atti dello Psicodramma curati da Ottavio Rosati. Fulchignoni ricorda alcune date della carriera di Moreno e fornisce una preziosa testimonianza sulla sua attività di psicodrammatista negli ultimi anni della sua vita. Fulchignoni insiste, a giusto titolo, sulla necessità, per capire la storia dello psicodramma, di tener conto del fatto che Moreno fu allo stesso tempo psichiatra e uomo di teatro. Senza enunciare in altro modo la spinosa questione della parentela tra le teorie e le pratiche rispettive di Pirandello e di Moreno, egli lascia, per finire, la parola al secondo:

"Pirandello è stato uno straordinario uomo di teatro e io un medico straordinario, però un giorno o l'altro, col calendario alla mano bisognerà pur stabilire chi è stato il primo a inventare questa modalità dello spettacolo 'improvvisato' ".

Disponiamo, ma senza poterne fare degli argomenti, di alcune testimonianze orali e di seconda mano. In particolare di Prampolini, il quale assicurava che Pirandello leggeva Daimon, il periodico lanciato nel 1918 da Moreno a Vienna. Sarebbe urgente esaminare tutti i numeri di questo periodico (1918-1919) in cui, accanto a vari canovacci di assiodrammi, figuravano ardenti perorazioni per un teatro della spontaneità. Non escludiamo nemmeno che Pirandello abbia ricevuto una qualche eco, attraverso i futuristi o i suoi amici "grotteschi" del Messaggero verde, delle attività, talvolta clamorose, di Moreno. Il fatto che non vi faccia alcuna allusione non ha importanza, trattandosi di un autore abile nel cancellare le proprie tracce o indifferente a tali questioni di "paternità". Non abbiamo ancora potuto avere accesso alla collezione di Daimon e la nostra conoscenza dell'opera di Moreno è molto lacunosa. Così queste note non hanno, per il momento, altra ambizione che quella di aprire un caso. Ad ogni modo la prova - se si riesce a stabilirla - di una o più influenze puntuali poco aggiungerà alla constatazione di ampie zone di intreccio e sovrapposizione testimonianti una forte osmosi culturale nell'Europa dell'immediato dopoguerra.

Ricordiamo alcuni dati (in ordine cronologico):
— H. Bergson introduce in filosofia il concetto di spontaneità. Moreno gli attribuirà il merito di avere, sotto le diverse formulazioni di "dati immediati", di "slancio vitale" o di "durata", posto questo concetto al centro della sua opera, senza tuttavia riuscire a darne una definizione razionale (J.L. Moreno, Il teatro della spontaneità).
Bergson è una lettura comune di Moreno e di Pirandello, il quale vi fa riferimento e persino lo commenta nel suo teatro.
"Quando seppe che Aristofane aveva scritto una commedia nella quale egli, Socrate, era presentato come un personaggio comico, venne a mostrare se stesso, in carne ed ossa, nella genuina forma psicodrammatica, agli Ateniesi presenti allo spettacolo, per provare in tal modo che l'attore il quale ne assumeva la parte nella scena non gli rendeva giustizia".
(cfr. J.L. Moreno, Principi di sociometria, di psicoterapia di gruppo e sociodramma, Milano, Etas Kompass, 1964, pp. 27-28).
Un giorno del 1911, Moreno, ispirandosi a questo esempio, disturba la rappresentazione del dramma Le imprese di Zaratustra. Questo atto, che fonda il teatro della spontaneità, ci è stato consegnato in quello che possiamo considerare il primo protocollo psicodrammatico sotto il titolo Die Gottheit als Komoediant (riprodotto ne Il teatro della spontaneità). Vi si trova, tra le altre cose, una ricusa dell'attore professionista.

"A questo stadio lo psicodramma era unicamente un fatto critico... Lo spettatore entra in conflitto con l'attore, con la sua non-spontaneità, con il fatto che le parti recitate non sono le parti personali. Il teatro si sposta dal palcoscenico alla platea; diventa un teatro di gruppo. Riflettendo come uno specchio la struttura del teatro convenzionale, lo dissolve... Quello che vuole Moreno è il ritorno dal teatro rappresentato al dramma vissuto"
(cfr. D. Anzieu, Lo psicodramma analitico del bambino e dell'adolescente, Roma, Astrolabio, 1979, p. 26).

Verso il 1918. Le prime sessioni, delle quali si trova un resoconto su Daimon, si svolgono in guisa di dialoghi socratici:

"Per le sue dimostrazioni Socrate, anziché i discorsi alle masse, scelse la forma del dialogo; come controparte prese un personaggio rappresentativo: un sofista, (cfr. Moreno, Principi, p. 27).
Questa tecnica è utilizzata in quella che la maggior parte degli autori considerano la prima forma di psicodramma: l'assiodramma, una tecnica di verifica dei valori comunemente riconosciuti (le "conserve culturali") e dei "ruoli sociali".
Sul concetto moreniano di "ruolo" e sulla distinzione tra assunzione di ruolo (role taking) e gioco di ruolo (role playing) cfr. J. Moreno, Manuale di psicodramma, voi. I, "II teatro come terapia", (Astrolabio, 1986, p. 226 e sgg.). Vi si insiste sulla funzione dei "ruoli" nella formazione della personalità: tutti noi impersoniamo in ciascun momento dei ruoli: quello di padre, di madre, di figlio, di impiegato, di capo ufficio (Sartre vi aggiungerà quello di cameriere).
Sotto l'influenza delle pressioni sociali abbiamo tendenza ad automatizzare questi ruoli, a stabilizzarli, strutturarli, farne dei "ruoli in conserva". La funzione dello psicodramma consisterà nel rendere alla persona la sua spontaneità, nel "deconservarlo" (cfr. P.G. Weil, Psychodrame et psychanalyse, in "Le psychodrame, Bulletin de Psychologie", 285, 1969-1970, pp. 726-735).
"Si parte sempre dal fattizio, prodotto dal condizionamento sociale precedente, dagli stereotipi, dai 'ruoli di composizione', dai mestieranti e dal cattivo teatro, per arrivare ogni tanto, nel migliore dei casi, attraverso la riscoperta della spontaneità e del genio creatore ad essa associato, all'autenticità".
(cfr. J. Ardoino, Réflexions sur le psychodrame en tant qu'expé-rience cruciale, id. p. 742).
Non confondiamo per questo il fattizio dei "ruoli in conserva", imitatore e impoverente, con la finzione o la simulazione, che sono già, sul piano dell'immaginario, invenzioni che possono portare, sul piano del reale, a creazioni, a modificazioni della vitalità.
Il fattizio è devitalizzato, il fittizio può essere ipervitalizzante. Attraverso la rappresentazione dei ruoli psicodrammatici è liberata la spontaneità dell'individuo imprigionato negli stereotipi sociali.
I concetti, di "ruolo" (Moreno) e di "parte" (Pirandello) sono spesso sinonimi.
Scrive Moreno (op. cit.):

"Attraverso la rappresentazione dei ruoli i partecipanti avranno la possibilità di avvicinare situazioni, ruoli che non sono i loro, di capire dall'interno il punto di vista dell'altro".


Però la pratica dello psicodramma e la sua finalità, già terapeutica, non coincidono con quelle di una commedia come Il gioco delle parti. Pirandello arriverà molto più tardi allo scambio dei ruoli e alla ricerca di una catarsi attraverso la liberazione di ruoli fissi. Ma già, e con virulenza forse maggiore che in Moreno, il suo gioco delle parti sfocia in una dimostrazione implacabile della loro artificiosità, mentre l'assiodramma, molto più conservatore, cerca in alcuni casi di conferire loro vitalità e dunque legittimità nuove.
Durante tutta questa prima fase delle sue ricerche, Moreno rimane molto attaccato al modello teatrale che contesta. Il salto qualitativo si situa allo Stegreiftheater di Vienna tra il 1921 e il 1924 secondo alcuni autori, tra il 1922 e il 1925, stando ad alcune dichiarazioni di Moreno, con l'utilizzazione del teatro della spontaneità a fini terapeutici o almeno catartici (ma, come in Freud, i due aggettivi sono quasi sinonimi): un'esperienza che avrà gli ampi sviluppi che sappiamo. L'opera, molto teorica, ispirata a Moreno dalle sue attività di direttore dello Stegreiftheater fu pubblicata nel 1923 da G. Kiepenheuer, Berlino - Postdam. Non vi si trova quasi nulla sugli inizi del teatro terapeutico, che da Moreno sono stati ricostituiti successivamente nel Manuale di Psicodramma: "L'essere umano soffre fondamentalmente del fatto di non poter realizzare tutti i ruoli che porta in sé. La sua grandezza, che è di potere sempre fare più di quanto faccia, è allo stesso tempo la sua miseria: l'angoscia gli deriva dalla pressione esercitata da tutti questi ruoli non utilizzati e che chiedono di esistere."
(cfr. J.L. Moreno, op. cit.).
Ma questa aspirazione alla molteplicità può essere talmente rimossa che i disturbi psicologici provengono molto spesso dal credere di essere un dato personaggio, e che occorra coincidere interamente con la propria immagine. La funzione del ruolo è quella di "penetrare nell'inconscio a partire dal mondo sociale, e dargli forma e ordine" (cfr. J.L. Moreno, Psychotérapie de groupe et psychodrame, P.U.F., Parigi, 1965, p. 77).
Ma esiste una patologia del ruolo dovuta alla sua automatizzazione, alla sua sclerosi. Come nota D. Anzieu:
"Rimozione, fissazione, ripetizione, cristallizzazione dei sintomi, impantanamento del soggetto nell'immagine di sé: tutti i caratteri dell'inconscio freudiano sono presenti nel ruolo fisso. Come abbiamo visto, la spontaneità rappresenta l'altro aspetto di questo inconscio, l'ispirazione demoniaca, l'energia creatrice, il rinnovamento dei ruoli. L'assunzione del ruolo rinchiude; il giuoco di ruolo libera", (op. cit., p. 69).
Come rendere all'uomo la sua spontaneità creatrice? Attraverso lo psicodramma, che consiste nell'analizzare i ruoli", nel ricostituire la loro storia, nel rendere l'individuo conscio della loro importanza nella nostra vita e nell'eziologia delle nevrosi, nel mettere in rilievo i nostri conflitti tra ruoli diversi, tra il sé e il ruolo sociale, e più in particolare quando questo ruolo sociale reprime (o rimuove) il Sé autentico.


Le tecniche messe in opera dallo psicodramma terapeutico sono state descritte troppo spesso per enumerarle ancora. Le ricorderemo soltanto volta per volta. Per il momento diciamo che esse consacrano la scomparsa del testo preparato in precedenza, sostituito alla fine da un semplice canovaccio a partire da un fatto diverso drammatizzato ("die Lebendige Zeitung", anche chiamato "die Dramatisierte Zeitung", "Living Newspaper". In Italia: il "Giornale vivente") e dunque la scomparsa dell'autore a favore del "medium", del "conduttore di rappresentazione", del "regista terapeuta", dello "psicodrammatista", del "creaturgo", del "suggeritore di creatività"; l'omologazione attore-protagonista-soggetto-paziente; l'introduzione dei coterapeuti ("Io ausiliari"), attori improvvisati e improvvisatori che possono essere altri pazienti; una definizione del "cast", della distribuzione, che ingloba attori dello psicodramma e pubblico, del quale è sollecitata la partecipazione attiva, così da provocare un'osmosi tra palcoscenico e platea.
Psicodramma vuole anche dire valorizzazione di ciò che è ancora fluido, incandescente, incompiuto, preferito all'espressione definitiva, e dunque promozione della parola viva, del dramma vissuto, che prendono il posto del testo fissato e rappresentato.
Apparentemente tutto distingue la volontà di taluni personaggi pirandelliani di "fare teatro", di realizzarsi, al di fuori del tempo e dello spazio, in una qualche forma assoluta, dalla volontà dell'attore psicodrammatico di realizzarsi quale persona attraverso la rappresentazione teatrale. Ma faremo notare ancora una volta che la volontà di "consistere" sotto la forma di opera d'arte è dibattuta e rimessa in causa incessantemente (ma con una forza tutta nuova nelle commedie dette del "teatro nel teatro") dalla pressione della volontà di vivere.

Questa sera si recita a soggetto

"Nell'oscurità iniziale si ode solo la voce del direttore che stabilisce il contatto con il pubblico. Illuminato dalla luce, prima crescente poi intensa, il direttore discute con gli attori, ed eventualmente con l'autore, del problema che sta per essere recitato, della suddivisione in scene successive, delle parti assegnate a ciascuno. Gli attori si 'scaldano' alle loro parti...".
Così Anzieu (op. cit., p. 27) descrive gli inizi di una sessione allo "Stegreiftheater' '. Si potranno utilmente avvicinare queste poche linee alle prime pagine di Il direttore. Hinkfuss, questo gnomo alla Hoffman, ha le pretese demiurgiche e l'autorità tirannica che furono di Reinhardt e di Moreno: "L'unico responsabile sono io!"; "Farò io, farò io: tutto da me"; "Sarò qui tra voi pronto a intervenire a un bisogno... per supplire a qualche manchevolezza del lavoro, con chiarimenti e spiegazioni". L'autore? "Stiano tranquilli, l'ho eliminato". Gli attori? "Devono rappresentare le parti secondo l'interpretazione che io ne avrò fatta".
Il pubblico, invitato "a prestarsi gentilmente", dovrà anche lui filar dritto: Hinkfuss non intende "chiamarlo a comizio" e non accetterà che contesti il suo lavoro durante la rappresentazione. (Il tener a bada e controllare il pubblico, giustificato da ragioni... estetiche, erano anche, come abbiamo visto, una delle preoccupazioni di Moreno).


Certo l'opera scenica che Hinkfuss intende sostituire all'opera scritta (questa "robetta"!) con grande rinforzo di effetti luminosi si situerà molto lontano dall'ascetismo scenografico proprio dello psicodramma e ci rinvierà a Reinhardt. Ma oltre all'intervento tipicamente moreniano di Hinkfuss, agli inizi della commedia, per esporre "il caso" che sarà trattato, e per presiedere al rito psicodrammatico della "presentazione" ("Solo presentazioni, carissimi e basta"), rimane il fatto che egli dovrà, volente o nolente, mettere in scena un'azione data come del tutto improvvisata. E questo, salvo smentita, non era cosa abituale per i registi, espressionisti o no.
Si potrebbero, certo, cercare le ragioni psicologiche che spingono Pirandello a "integrare", come scrive Gramsci, "la stesura letteraria con la sua opera di capocomico e di regista. Il dramma del Pirandello acquista tutta la sua espressività solo in quanto la "recitazione" sarà diretta dal Pirandello capocomico, cioè in quanto Pirandello avrà suscitato negli attori una determinata espressione teatrale e in quanto Pirandello regista avrà creato un determinato rapporto estetico tra il complesso umano che reciterà e l'apparato materiale della scena".
(cfr. Letteratura e vita nazionale, Einaudi, Torino 1966, p. 52).
Ma per l'appunto, questa irrefrenabile vocazione di "capocomico" e di "regista" non ha forse trovato nell'esempio di Moreno, come in quello di Reinhardt, e forse di Evreinov e di qualche altro, potenti incitamenti? Quanto al "determinato rapporto", che Granisci non definisce in altro modo, non è forse "determinato" in qualche modo da ciò che Pirandello aveva potuto sapere delle esperienze dello "Stegreiftheater?".
In particolare l'esperienza del "canovaccio", preferito ai testi preesistenti alla rappresentazione. Gramsci, nel 1934, finisce col considerare tutta l'opera di Pirandello in una prospettiva che si potrebbe qualificare psicodrammaturgica:
"II teatro pirandelliano è strettamente legato alla personalità dello scrittore e non solo ai valori artistico-letterari 'scritti'. Cosa rimarrà del suo teatro? Un canovaccio... dei pretesti teatrali, non della 'poesia' eterna"
(ibidem., p. 53).
Si legge nella prefazione del I volume di Maschere nude: Questa sera si recita a soggetto segue secondo un'annotazione dello stesso autore — una linea inversa rispetto a quella dei Sei personaggi: nella "commedia da fare" gli attori non possono dare vita scenica alla vicenda dei personaggi; nella "recita a soggetto" gli attori, immedesimandosi nella parte danno nuova vita ai personaggi di un canovaccio". Pirandello esplorò forse sistematicamente le vie aperte dalla sua rivoluzione drammaturgica, quali altrettanti corollari di un teorema iniziale, oppure fu convinto (e da cosa?), negli otto anni che separano i Sei personaggi da Questa sera, delle virtù eccezionali dell'improvvisazione su canovaccio? Un'improvvisazione che non assomiglia assolutamente a quella della "commedia dell'arte", che Moreno aveva ben dimostrato essere "una vittoria delle mnemotecniche, in parte consapevoli, in parte inconsapevoli sulla spontaneità" (Teatro della spontaneità, pp. 154-156). Ciò che Pirandello esige, è un'improvvisazione catartica che decentri l'individuo, liberi il linguaggio bruciante della vita.

 


Personaggi e persone.

Per G. Genot (Pirandello, Seghers, Paris, 1970, p. 201) gli attori di Questa sera si recita a soggetto tentano "una doppia inversione, che porterebbe dalla vita alla vita passando attraverso una rappresentazione interiorizzata". Da qui la loro rivolta contro la tirannia di Hinkfuss, il quale pretende servirsi di loro a maggior gloria di un teatro che trasforma esseri viventi in personaggi, invece di facilitare il loro accesso alla spontaneità creatrice. ("Come vuoi che pensiamo più al suo teatro noi, se dobbiamo vivere?"; "Quando si vive una passione, ecco il vero teatro!"). Questa rivendicazione molto moreniana — diventare persone — rimanda Hinkfuss verso il teatro tradizionale, anche se per un istante ha potuto atteggiarsi a psicodrammatista.
Gli attori in rivolta cercheranno dunque di sfuggire alla loro condizione di attori paradossali, di creatori di "conserve culturali". Essi cercano di estrarre da se stessi la verità, spiando ansiosamente il suo sorgere nella libertà ("La vita che nasce non la comanda nessuno!").
La recitazione improvvisata porta all'incandescenza l'impegno delle persone:
IL PRIMO ATTORE: ...Vedo, sento che è piena della sua parte come io della mia; soffro a vedermela davanti... con questi occhi, con questa bocca, tutte le pene dell'inferno; lei trema, muore di paura sotto le mie mani... Teatro no, non possiamo più né io né lei, metterci a fare adesso il solito teatro; ma come lei grida la sua disperazione e il suo martirio, ho anch'io da gridare la mia passione che mi fa commettere il delitto: bene: sia qua, come un tribunale che ci sente e ci giudichi" (Atto III).
Insomma gli attori hanno ereditato dall'aspirazione del Figlio di Sei personaggi e dall'Enrico IV : sfuggire alla fissazione e partorire, anche con grida di dolore, le possibilità che portavano in sé. Così l'attrice Barbara, in una memorabile sessione dello "Stegreiftheater", aveva gettato le basi dello psicodramma terapeutico rappresentando con una spontaneità ed una potenza meravigliose un ruolo di prostituta sventurata al quale apparentemente niente l'aveva preparata. Allo stesso modo vediamo gli atto di Questa sera precipitarsi verso la propria catarsi. Catarsi definita, secondo la buona logica psicodrammatica, non come una semplice identificazione inconscia del soggetto coi personaggi che vivono gli avvenimenti drammatici, ma come un "ritorno alla matrice di identità primitiva. Infatti il sentimento drammatico non potrebbe nascere finché il soggetto finge, finché conserva il suo riserbo interiore. Recitare è più che giocare. La drammaticità non si riduce affatto alla pura situazione ludica. Occorre impegnarsi, fino a perdervisi, nell'azione rappresentata. Così si realizza l'identità di sé e del personaggio di cui si assume il ruolo" (D. Anzieu, op. cit. p. 38). A questa identità ci si può avvicinare con altri mezzi, per esempio la tecnica di concentrazione dell'attore secondo Stanislavsky, ma, almeno nel teatro occidentale, e fino a data recente, a solo vantaggio delle "conserve culturali".
Moreno pone il problema inverso; come passare dalla produzione — o dalla riproduzione — di un'opera d'arte a un cambiamento nell'essere umano?
— Reale e immaginario.


Questa sera termina, come Sei personaggi, con l'indifferenziazione finale (quasi) raggiunta tra reale e immaginario. Allo stesso modo l'essere umano dovrebbe ritrovare, attraverso la pratica dello psicodramma, l'unità originale che gli fu propria, da bambino (id., p. 19).
Moreno, un giorno del 1912, avrebbe apostrofato Freud con queste parole: "Bene, dottor Freud... lei analizza i dei pazienti sogni. Io cerco di dar loro il coraggio di sognare ancora" (in Manuale di psicodramma, Astrolabio, Roma, 1985, p. 66).
Il mago Cotrone de I giganti della montagna, ultima incarnazione sulla scena di Pirandello, conosceva questo aneddoto, lui che riassume il consiglio finale all'umanità sofferente in un unico verbo: "Sognate!".

Una commedia in forma di psicodramma: Ciascuno a suo modo

La scelta dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore per fornire la trama a un'operazione metateatrale come Ciascuno a suo modo non è casuale per Pirandello. Vi era in questa scelta un primo vantaggio: storia di passioni, essa sottraeva l'impresa alla critica di freddezza intellettuale, di "cerebralità", prestandosi allo stesso tempo, come già Sei personaggi in cerca d'autore a "una notevole satira dei procedimenti romantici" (1). Persino i suoi eccessi, i suoi deliri, paradossalmente facilitavano il distanziamento dell'opera-pretesto. L'opera narrativa era dominata dall'inquieta ed inquietante figura dell'attrice cinematografica Varia Nestoroff. Essa diverrà la Moreno, che Delia Morello rappresenterà in un ruolo chiave.
Solo la sanguinosa conclusione della trama del romanzo sarà sostituita da una "caduta" che troppo è stata qualificata come inattesa, non avendo capito che il progetto del drammaturgo tendeva solo a questo risultato, a questa catarsi di un genere nuovo. Quanto al fatto diverso intorno al quale era costruito il romanzo (il suicidio del giovane artista), esso fornirà il corpo del delitto e l'oggetto del dibattito su una scena che ha l'aria d'un tribunale. L'accusata, Delia (alias Amelia, alias Varia), la donna in fuga, la priva di radici, la contaminata, è la sorella delle "dive" del cinema muto italiano, delle Francesca Bertini, delle Fina Menichelli, divoratrici d'uomini, terrori delle madri, flagello dei patrimoni. È frigida, odia il proprio sesso e la propria bellezza, è assetata di vendetta e di uomini, incapace di amare in sé altro che il proprio corpo. Questa nipote di Nastasia Filippovna pensa tuttavia che "un angelo per una donna è sempre più irritante di una bestia".
Ad esso preferirà sempre un Rogojine, un Michele Rocca (alias Barone Nuti). Chi potrebbe accusarla di questo, se non il sessuofobo autore del quale essa è il sogno segreto e ossessivo? ("Sono io che, più di tutti gli altri lo tentavo", nota la figliastra, in Sei personaggi in cerca d'autore).
Quante volte non è già entrata di forza nella sua opera? Come mendicante russa in Quand'ero matto; come Fulvia Gelli (alias Flora, alias Francesca) in Come prima, meglio di prima, come sconosciuta (Elma o Lucia?) in Come tu mi vuoi, e in quanti altri?


Si limita a passare, del resto. Tentata dalle resistenze borghesi o dal "sogno" di una vita puramente tragica, combattuta dai vizi nell'oscurità del suo corpo" (2), riparte sempre verso il ruolo assegnatole dall'attività fantasmatica.
Come scrive Jean Spizzo: "Se Delia Morello esercita un fascino così fatale sugli uomini, è perché può prestarsi a non essere che uno specchio di fronte al vuoto degli altri" (3). Ma il soggetto dell'opera non è proprio la rivolta di un personaggio sognato, ma anche molto reale (la donna alienata) contro la propria inesistenza? Delia vuole disperatamente "consistere", è la condizione per finalmente esistere, sentirsi viva e vera. È a causa di lei e per lei che la farsa della versatilità del primo atto si trasforma, nel secondo atto, nel dramma dell'inconsistenza. Lanciamo l'ipotesi che sia per guarire Delia Amelia da questo male, che è anche quello di Enrico IV e ... il proprio che Pirandello abbia scritto questa commedia in forma di psicodramma.
Nel novero dei precedenti storici all'allargamento dello spazio scenico tramite la rappresentazione del pubblico notiamo, tra i più suggestivi, quello del Cavaliere del Pestello Ardente, opera elisabettiana di Beaumont e Fletcher, nella quale "il pubblico, sotto forma di una famiglia di bottegai, interveniva violentemente nel corso di uno spettacolo che giudicava inferiore come lirismo e come dispiegamento di 'grandezza' a ciò che si aspettava dal teatro" (4). Anche il teatro classico francese fornirebbe dei precedenti, da Rotrou a Moliére e da Corneille a Marivaux, nei quali ci asterremo dal vedere altrettante fonti (5).
In compenso è difficile supporre che l'autore di Ciascuno a suo modo abbia ignorato taluni testi contemporanei quali la Discussione di due critici sudanesi a proposito del futurismo (6) o manifestazioni altrettanto chiassose quali la "Prima esposizione libera futurista", nella quale fu notata, tra il pubblico, la presenza di quella che la rivista Lacerba chiamò "natura morta verde bile di tre filosofi crociani" (7).
Dobbiamo a Luigi Squarzina la recensione dei precetti della poetica teatrale futurista enunciati, in taluni casi, ancor prima del Manifesto del teatro sintetico futurista del 1915 (8). Essi forniscono altrettante piste che un giorno andranno esplorate. Ricordiamone alcuni: il dramma dovrà sfociare sull'avvenimento; l'azione scenica invaderà l'orchestra e gli spettatori si trasformeranno da osservatori ih attori; verrà ridicolizzata la sciocca pretesa dell'osservatore medio di sapere come andrà a finire; a teatro non si danno abbastanza schiaffi; il personale, direttore compreso, interverrà nell'azione; il teatro dovrà trascinare la vita con sé, farne esplodere le contraddizioni; largo posto sarà fatto ai topoi della vita moderna: la strada, la gente, i giornali, ecc. (9).
In quegli anni di forte osmosi culturale ritroviamo molte di queste novità nella drammaturgia di altre avanguardie. È così che un avvenimento capitale della storia del teatro ha ispirato la scena decisiva in cui si innestano a telescopio il secondo e il terzo piano definiti dall'autore nell'intervista rilasciata a Virgilio Martini: quando la Moreno aggredisce sulla scena l'attrice che interpreta il ruolo della Morello.
Un giorno del 1911 a Vienna, Jacob Levy Moreno, ispirandosi all'esempio di Socrate, era andato sulla scena del teatro a contestare un'opera durante la sua rappresentazione. Tale fu l'atto fondatore del "Teatro della spontaneità" (Stegreiftheater). Didier Anzieu descrive in questi termini lo psicodramma moreniano:


"II teatro passa dalla scena all'auditorio". Diviene un tesoro di gruppo. Rispecchiando la struttura del teatro convenzionale lo dissolve (...). Ciò che vuole Moreno è tornare dal teatro rappresentato al teatro vissuto" (10).
È possibile vedere solo un caso nel fatto che la donna "che è stata molto a lungo in Germania" e che ripete tredici anni dopo il gesto storico del 1911, abbia conservato questo nome, esotico per l'Italia, di Moreno?
Suggeriamo per ultimi dei ravvicinamenti con Ciò che più importa, quattro atti di Nicolas Evreinoff (11) che Pirandello aveva messo in scena al teatro dell'Arte (nono spettacolo della stagione 1925). Lì le angosce esistenziali erano combattute attraverso un gioco drammatico al quale presiedeva una specie di illusionista filantropo, il dottor Fregoli. Perché non si impersona impune-mente un ruolo. Una volta accettato, esso ha una influenza reale sulla vita, che può essere felicemente trasformata attraverso le virtù terapeutiche del teatro. Un'altra commedia di Evreinoff, dal titolo "umoristico" de La gaia morte, già messa in scena a Parigi da Copeau nel 1922, comparve nella locandina del Teatro d'Arte nel 1925. Il tragico della morte vi è stemperato, come così spesso in Pirandello, attraverso la rappresentazione di questa morte. Nell'epilogo, Pierrot inserisce nelle sue battute degli appelli al pubblico.
La prima edizione del tomo VII della seconda raccolta delle Maschere nude comparve nel 1924 a Firenze, presso Bemporad; la seconda, nel 1926 sempre presso Bemporad, e rigorosamente identica alla prima. Non lo stesso vale per la terza, comparsa nel 1933 (12) presso Mondadori: essa presenta l'importantissima aggiunta di una Premessa, preambolo in cui si descrivono scene improvvisate, le uniche veramente improvvisate di tutto il teatro pirandelliano, verificatesi nella strada, alle porte del teatro, davanti ai botteghini, nel corridoio circolare e nel foyer.
La nota apposta sulle locandine, la vendita dei giornali all'ingresso non sarebbero dunque anteriori al 1933. Si deve a Steen Jansen d'aver attirato l'attenzione su questa questione e stabilito questa cronologia di una "rivoluzione" definita tramite la messa in opera di diverse tecniche di "teatro nel teatro" al fine di ottenere un "sottodistanziamento", uno scomparire della frontiera tra la finzione della trama drammatica e la realtà dello spettatore (13).
Lo storico non può più ignorare che le due prime edizioni di Ciascuno a suo modo lasciano quasi intatta la frontiera tra palcoscenico e sala, dato che il pubblico di cui è questione è un pubblico-personaggio che compare solo sulla scena, e che bisogna aspettare l'ultima versione perché tra i due pubblici si instauri una confusione, un "mescolamento spaziale", dirà Gerard Genot. Sull'entrata in scena, in senso letterale, degli spettatori — novità specifica della commedia — della quale l'autore pensava che avrebbe avuto effetto di allontanare e di respingere "in una specie di secondo piano" la finzione artistica (14), Jansen fa giustamente notare che: "questo sdoppiamento, questo allontanamento non poteva contribuire ad abolire la separazione tra finzione e realtà. Passata la prima sorpresa, il lettore o lo spettatore riescono ad accomodare la loro percezione in modo da vedere una finzione primaria (il teatro) all'interno della quale se ne trova un'altra secondaria (la casa di donna Livia e la casa di Francesco Savio)" (15).


La sua conclusione per contro ci sembra discutibile:
"Rimane come una contraddizione interna: mentre nell'universo della finzione si dimostra che la finzione del dramma può cambiare la vita degli spettatori, renderla simile a se stessa, la 'forma drammatica' che è data a Ciascuno a suo modo mantiene distinti e separati l'universo della finzione dell'opera e la realtà del pubblico vero (lettori e spettatori) e dimostra dunque indirettamente che l'influenza di cui abbiamo parlato poteva esercitarsi solo difficilmente o affatto" (16).
Ora, se Pirandello ha scontato un effetto di distanziamento, intervenendo, all'inizio del primo intermezzo, tra il primo e il secondo piano di rappresentazione della realtà, non si è fermato solo a questo. Ancor prima della fine dell'intermezzo il pubblico (quale dei due in realtà?) scoprirà che la commedia che è rappresentata sulla scena è "a chiave", il che avrà come effetto di riportare gli spettatori "a una specie di terzo piano", vale a dire di riportarli verso il "vissuto" dato che si suppone che l'avvenimento rappresentato sia realmente accaduto. Lasciamo la parola all'autore:
"La presenza in teatro, tra gli spettatori della commedia, della Moreno e di Nuti stabilirà allora per forza un primo piano di realtà, più vicino alla vita (....). Si assisterà poi nel secondo intermezzo corale al conflitto tra questi tre piani di realtà, allorché da un piano all'altro i personaggi veri del dramma assalteranno violentemente quelli finti della commedia e gli spettatori che cercheranno di interporsi. E la rappresentazione della commedia non potrà più, allora, aver luogo"(17).
Guardiamoci tuttavia dall'arrivare alla conclusione di un'incompatibilità tra teatro e vita. Un fatto si impone: Pirandello tende qui verso un teatro capace di creare vita o almeno, di "modificare la vitalità", come avrebbe detto Moreno. Questa era già l'aspirazione inespressa del figlio dei Sei personaggi in cerca d'autore a un padre che non fu — o non fu più? — un autore drammatico, e quella esplicita di Enrico IV a un padre "mago" capace di strapparlo al fascino del proprio riflesso per poter vivere infine "questa povera vita (....) dalla quale è escluso".
Così è su una sovrapposizione "a telescopio" della finzione e della vita che termina questa commedia, come del resto le altre due della trilogia del "teatro nel teatro".
Nessuno contesta più il finale di Sei personaggi in cerca d'autore o di Questa sera si recita a soggetto; perché occorre che si contesti questo, che non è né più né meno inverosimile? Non dobbiamo farci domande sul grado di credibilità dei nostri contemporanei, ma solo interrogarci, come fa Jansen, sulla capacità di questa "forma drammatica" di "cambiare la realtà degli spettatori", in questo caso della Moreno e di Nuti, i soli che non siano dati come veri spettatori. Ottenendo, per esempio, gli effetti che si possono aspettare dallo psicodramma, dal quale Pirandello potrebbe ben aver preso in prestito alcune tecniche provate: il "giornale vivente" o il "giornale drammatizzato" per il preambolo del 1933; il coinvolgimento del pubblico, nei due intermezzi; la presenza attiva di un "medium socratico"; "l'inversione dei ruoli"; i soliloqui; i dialoghi "in libertà".


Come in uno psicodramma riuscito, la commedia si interrompe quando le due persone "sotto giudizio" hanno raggiunta la spontaneità, madre dell'autenticità (18), secondo le esortazioni di chi conduce il gioco. Ma, in fin dei conti, queste due "persone" erano anche degli attori! L'improvvisazione non li riguardava; né l'autenticità era l'obiettivo che perseguivano. Siamo dunque in presenza di un simulacro di psicodramma nel quale la finzione assorbe senza residuo un "primo piano della realtà" l'esistenza del quale era pura ipotesi.
Con Ciascuno a suo modo dunque non è più possibile dubitare dell'incontro tra la rivoluzione drammaturgica pirandelliana e lo psicodramma moreniano. Riassumiamo uno per uno i punti in comune
— Il giornale vivente o giornale drammatizzato.
"Una delle forme meglio corrispondenti al nostro ideale è la presentazione di notizie del giorno". Esso si impone durante gli anni di vita dello "Stegreiftheater" (cfr. Moreno II teatro della spontaneità, p. 200). "La rappresentazione di questa commedia dovrebbe cominciare... con l'annunzio (gridato da due o tre strilloni) e la vendita di un "Giornale della Sera" (cfr. Pirandello, premessa a Ciascuno a suo modo).
Il soggetto della "commedia sul palcoscenico", rappresentata da attori tradizionali, e degli intermezzi che mettono in gioco i "personaggi momentanei" (come non pensare agli "attori del momento" cari a Moreno?) consiste nelle reazioni contraddittorie a un qualsiasi fatto enigmatico trovato nel giornale.
— Il Dramma del conflitto.
"In un teatro della spontaneità tutto il pubblico fa parte del cast — non solo pochi attori professionisti". (Il teatro della spontaneità, p. 113).
È la grande novità di Ciascuno a suo modo nella produzione del suo autore: il coinvolgimento del pubblico, in interazione col palcoscenico, sia che esso trabocchi sulla platea, sia che uno spettatore prenda d'assalto il palcoscenico per aggredire un attore — evidente reminiscenza del gesto di Moreno-Socrate del 1911!
Ebbene gli stessi "leader" del pubblico, i "critici", le due scene simultanee o alternate, li ritroveremo — anche se con funzioni diverse — in Ciascuno a suo modo.
— Il medium socratico moreniano.
Tale potrebbe essere definito Diego Cinci. Egli non ha pace finché non ha messo gli altri personaggi della "commedia sul palcoscenico" in contraddizione con se stessi, costringendoli a partorire la loro "verità":
"Staccalo da te il pagliaccetto che ti fabbrichi con l'interpretazione fittizia dei tuoi atti e dei tuoi sentimenti e t'accorgerai subito che non ha nulla da vedere con ciò che sei o puoi essere veramente, con ciò che è in te e che tu non sai e che è un dio terribile, bada, se ti opponi ad esso...".


Ritroveremo qui la polemica contro le interpretazioni nobilitanti che ci impediscono di conoscere noi stessi e ci privano, a profitto di qualche conserva culturale, della nostra spontaneità creatrice. È ciò che significa in questa tirata la messa in guardia finale contro la rimozione di ciò che di più autentico c'è in noi. Contro "le forme fittizie in cui si era rappresa la nostra sciocca vita quotidiana" Diego Cinci trova accenti profetici: "Ah, finalmente! — L'uragano, l'eruzione, il terremoto!".
Sarebbe troppo facile denunciare, a proposito di questo mito dell'autenticità, l'illecita semplificazione delle scoperte freudiane che si trovano sia in Moreno, sia in Reich sia in... Pirandello.
Ciò che qui ci interessa è sottolineare fino a che punto le procedure e il discorso di Diego assomigliano a quelli del direttore - terapeuta, sia che esso costringa i suoi "pazienti" a riconoscere l'ampiezza della loro rimozione (cfr. la tirata su le "anime reiette" o questo commento, tra altri: "Tu dai ragione adesso a Francesco Savio... sai perché? per reagire contro un sentimento che covi dentro, a tua insaputa"), sia che li esorti ad abbandonarsi ai desideri di cui ha rivelato l'esistenza (cfr. nel secondo atto, la tirata del "pagliaccetto"), sia che presieda allo scambio dei loro ruoli.
— L'inversione di ruolo.
"DIEGO: Se tu sinceramente ti sei ricreduto, facendo tuoi, dunque, tutti i vituperi scagliati da Palegati contro di lui... — è chiaro! — invertite le parti. Rocca ora dovrebbe schiaffeggiare te" (Ciascuno a suo modo).
Se si mette l'accento sul narcisismo dell'autore e del suo personaggio alter ego non si mancherà di notare che l'evanescenza del terzo determina quella reversibilità dei ruoli che incessantemente la evoca e la provoca. Diego con i suoi giochi di specchi (cfr. in particolare la sua tirata del "pagliaccetto") lo conferma abbondantemente.
Il nostro proposito è solo suggerire una spiegazione storica dell'inversione dei ruoli che si opera in Ciascuno a suo modo, secondo modalità ancora più schiettamente psicodrammatiche che in Sei personaggi, nel quale vi è solo trasmissione del ruolo dai personaggi agli attori.
Infine possono essere qualificati come psicodrammatici (soprattutto nel contesto):
— Le identificazioni successive di Diego con la vittima e col responsabile del suicidio (anche se è sempre in ballo il suo narcisismo).
— I soliloqui, altra pratica molto importante dello psicodramma (i ricordi di Diego, la confessione a mezza voce dei suoi sentimenti, del suo desiderio sono talvolta una sorta di delirio autocontrollato).
— I dialoghi in libertà nei quali ciascuno segue il filo dei propri pensieri, apparentemente senza riferimento al discorso dell'altro. Ciascuno, in preda alla propria ossessione fondamentale, sembra rispondere in un assolo ma comunica talvolta a un livello più profondo.


— Numerosi particolari inquietanti, quali il salotto dei Palegari, qualificato come "cappella delle confessioni" e soprattutto questo personaggio presente fino all'ossessione, come seduzione e come minaccia: l'attrice, la classicissima "vamp" degli anni Venti, "che tutti sanno chi è", "che è stata in Germania tanto tempo". Essa finirà col rinnovare il gesto storico di Moreno andando sul palcoscenico ad aggredire l'attrice che impersonava il suo ruolo e non le rendeva giustizia.
No. Non è a caso che Pirandello l'ha chiamata... la Moreno!


 

1) Prefazione di Pirandello all'edizione del 1925 di Sei personaggi in cerca d'autore. Senza parlare di una dimensione autoironica, di una sorta di pastiche del pirandellismo che può benissimo coabitare umoristicamente col chiasso e col furore.
2)   A. Navarria, Pirandello prima e dopo, p. 53.
3) J. Spizzo, "Pirandello: Théâtre du reflet, théâtre du conflit" in Lectures pirandelliens, Centre de recherche de l'Université de Paris, 1978, p. 197.
4)   G. Dumur, Pirandello, L'arche, Paris, 1955, p. 133.
5) Vedi M. Ruff, "Corneille e Pirandello", in Chaiers du Sud, 1950, p. 109-114 J. Bastaire, "Pirandello ou la Dérision baroque", su Esprit, 1958, p. 976-984.
6) Vedi Vita italiana, 1978, n. 10, p. 964-967.
7) Ibid.
8) Soprattutto sul Manifesto del teatro di varietà del 1913.
9) L. Squarzina, "Pirandello e la maniera...", in Pirandello e il teatro del suo tempo, ed. del Centro Nazionale di studi Pirandelliani, Agrigento, 1983, p. 164-165; L. Tallarico, "Pirandello e l'avanguardia storica..., ibid, p. 298-299.
L'influenza del futurismo, una delle più forti che siano esercitate dal nostro autore non è stata, ci sembra, correttamente valutata. Si cita il famoso giudizio di G. De Benedetti: "La poesia più vera di Pirandello è nell'aspirazione al mondo di prima" ("Una giornata di Pirandello", Saggi critici, Milano, Mondadori, 1955, p. 281), e si arriva troppo presto alla conclusione di incompatibilità tra la volontà dei futuristi di "far emergere i desideri generati dall'attesa del nuovo" e il progetto più o meno consapevole del drammaturgo di "ricostituire, grazie a un ritorno del mondo di prima i personaggi spezzati dal gioco di pagliaccetti che è la vita" (L. Tallarico, art. cit., pag. 299). Si ha certo diritto di preferire la regressione narcisista all'aspirazione all'Edipo, ma non quello di ignorare la loro alternanza.
10)   D. Anzieu, Lo psicodramma analitico del bambino e dell'adolescente, Astrolabio, 1979.
11) Nicolas Evreinoff (1879-1953). Questo drammaturgo e regista russo era stato animatore del Krivoe Zerkalo (Lo specchio deformante), fondato nel 1908 a San Pietroburgo, dove aveva ampiamente praticato la critica del teatro attraverso il teatro. Il suo Théâtre dans la vie (Stock, Parigi, 1930) contiene l'esposizione delle sue tesi di cui Pirandello si farà portavoce in diverse circostanze. Si può supporre che quest'ultimo conoscesse sin dagli inizi degli anni Venti l'opera di colui che, nel 1926, diverrà suo amico.
12) È noto che, al momento della creazione da parte di Niccodemi, tutto cominciava sulla scena. Purtroppo si ignora se le cose fossero andate diversamente nel 1928, in occasione delle rappresentazioni napoletane del Teatro d'Arte, per la regia dello stesso Pirandello. Si veda a questo proposito L. Squarzina, art. cit., p. 166-167, e l'intervista in questo numero di Atti dello psicodramma.
13) S. Jansen, "L'unità della Trilogia come unità di una ricerca continua", ne II teatro nel teatro di Pirandello, Centro Nazionale di studi Pirandelliani, Agrigento, 1977, p. 222-236. L'espressione "sotto-distanziamento" è di Oscar Bùdel ("La questione della distanza estetica nel teatro di Pirandello", in Atti del congresso internazionale di studi pirandelliani (1961), p. 306-307.
14) Nella grande didascalia del primo intermezzo, p. 174.
15) S. Jansen, art. cit., p. 228.
16) Ibid.
17) Si sarà notato che questa divisione in tre piani non corrisponde esattamente a quella dell'intervista a Comoedia. Sulle contraddizioni e sulla "truffa strutturale" di Ciascuno a suo modo, si veda il già citato articolo di J.M. Gardair, p. 115-126.
18) Si parte sempre dal falso, prodotto dal condizionamento sociale anteriore, dagli stereotipi (...) per arrivare nel migliore dei casi, attraverso la scoperta della spontaneità (...), all'autenticità", (J. Ardoino, "Reflexion sur le psychodrame en tant qu'expérience cruciale", ne Le Psychodrame, n. 285 (numero speciale) del Bulletin de psychologie, 1970, Università di Parigi, p. 742.

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