Giocare il Sogno, Filmare il Gioco
LO PSICOCINEMA DI MORENO
TEATRO STABILE DI TORINO - CINEMA GIOVANI (1990)
Luciana Sica, SCUSI, MA LEI E' UN ATTORE? NO, UN PAZIENTE
LA REPUBBLICA, 28 aprile 1990 (Clicca qui per l'archivio de LA REPUBBLICA)
Cent' anni fa, a Bucarest, nasceva Jacob Levi Moreno, l' inventore dello psicodramma. La parola è abusata, particolarmente cara ai cronisti di nera, comunque utilizzata nel linguaggio di tutti i giorni. Lo psicodramma di Moreno è invece una psicoterapia di gruppo basata sull' azione: nel termine il suffisso dramma (da drama, teatro) ha preso il posto di analisi. Il divano di Freud è stato trasportato su un palcoscenico vero o immaginario. La comunicazione puramente verbale è affiancata dal lavoro teatrale impostato sul fare e non solo sul dire, sulla rappresentazione e sulle storie dei pazienti-attori, sulla distribuzione dei ruoli e sul linguaggio del corpo, sul gioco. Giocare il Sogno, Filmare il Gioco: il Teatro stabile di Torino, diretto da Luca Ronconi, celebra il centenario della nascita di Moreno con due laboratori sui rapporti tra psicodramma e cinema (si terranno il 4, 5 e 6 maggio e i primi tre giorni di giugno).
Giocare il sogno: ai gruppi parteciperanno anche attori di professione come Alessandro Haber, a cui sarà affidata ad esempio l' interpretazione teatrale dei sogni. Filmare il gioco: i laboratori saranno interamente ripresi da tre troupe televisive per un progetto di documentari scientifici affidati a Raitre. Il finanziamento della regione Piemonte consente la gratuità dell' iscrizione aperta a giovani psicologi, educatori e ricercatori attivi nel campo dello spettacolo e della comunicazione. Sarà il Centro torinese di solidarietà a ospitare i laboratori e i suoi partecipanti.
L' esperimento è ideato e diretto da Ottavio Rosati, psicodrammatista e analista junghiano del Cipa (il Centro italiano di psicologia analitica). Non si tratta soltanto di decifrare le immagini e le associazioni verbali, come in psicoanalisi, spiega Rosati. Nello psicodramma, il terapeuta è il regista che mette in scena le vicende traumatiche, i sogni, le fantasie dei pazienti-autori-attori. E poiché la recitazione è più diretta della narrazione verbale, la dimensione inconscia del discorso diventa evidente. Per l' attore psicodrammatico la trama da rappresentare non è fuori di lui, ma in lui. Come nei Sei personaggi di Pirandello: E dov' è il copione?. E' in noi, signore. Tanto clamore nota Rosati per un libro banale come Seduzione sul lettino, il diario di una paziente che ha una storia d' amore con il suo analista!... Tra la fredda neutralità dell' interpretazione analitica tradizionale e l' equivoco dell' incontro sessuale si trova lo spazio dell' acting out terapeutico. Mi riferisco al gioco, alla possibilità di agire nello spazio, interagire in gruppo, condividere esperienze esistenziali, fare ricorso anche al corpo e alla materia. Uscendo dall' ambito strettamente psicologico e terapeutico, le tecniche e le teorie dello psicodramma hanno influenzato più o meno direttamente il teatro e il cinema. Certamente il lavoro di Moreno ha contribuito alla formazione di esperienze di teatro radicale come quella del Living Theatre e di scuole di recitazione come quella di Lee Strasberg. E come nel caso di Freud e Schnitzler quelli di Moreno e Pirandello sono stati percorsi autonomi, ma assolutamente analoghi. Ormai anche i più austeri freudiani hanno abbandonato le resistenze iniziali nei confronti dello psicodramma. Del resto, già negli anni Cinquanta, Cesare Musatti trasgredì alla canonica immobilità del lettino e azzardò alcuni esperimenti di psicodramma in compagnia di Franco Fornari. "L' unica volta in vita mia che ho creduto mi venisse un infarto," confessò Musatti in un' intervista. "Dovevo fare il ruolo del padre cattivo e i miei colleghi, che assistevano, si spaventavano perché mi alteravo, battevo il pugno sul tavolo gridando: 'Il padrone sono io!' Capisce?".
Cristina Caccia, LA PSICHE IN PALCOSCENICO
LA STAMPA , 28 aprile 1990 (Clicca qui per l'archivio de LA STAMPA)
Giocare il sogno, filmare il gioco è il titolo del laboratorio che il Centro Studi del Teatro Stabile propone per il 4, 5, 6 maggio e poi per l'1, 2 e 3 giugno prossimi. Partecipano al progetto Regione, Comune e Festival Internazionale Cinema Giovani. Nel centenario della nascita di Jacob Levi Moreno, padre dello psicodramma, il Centro Studi riprende la ricerca sul rapporto tra teatro e psicoterapia. Già nel 1986 infatti organizzò al Carignano la versione psicodrammatica di Ciascuno a suo modo di Pirandello, per la regia di Ottavio Rosati. Ancora Rosati dirige quest'anno il laboratorio, sull'uso dell'immagine e della videoregistrazione nello psicodramma e nell'analisi di gruppo. L'iniziativa è rivolta a psicologi e educatori, oltre che a giovani del campo dello spettacolo. Le tecniche psicodrammatiche infatti sono spesso utilizzate nei programmi per il recupero della tossicodipendenza: come al Centro Torinese di Solidarietà di Don Fini (strada Funicolare 47, Superga), dove si svolge il laboratorio. I partecipanti faranno rappresentare in scena da un gruppo di attori, tra cui Alessandro Haber, i drammi dei loro sogni.
Il lavoro sarà ripreso da una troupe televisiva, rivisto e discusso. I filmati verranno poi utilizzati in una trasmissione scientifica curata dallo stesso Rosati. La terapia psicodrammatica rappresentò una svolta rivoluzionaria nella storia della psicanalisi. Ribalta infatti la regola freudiana del limitare la comunicazione: la comunicazione è enfatizzata e trasferita dal lettino al palcoscenico.
Patrizia Marcoroni, TELEVISIONE E PSICODRAMMA
IL GAZZETTINO DI TORINO, 12 marzo 1991
ROMA - Alvaro piange. Seduto scompostamente sulla pedana in legno del palcoscenico. Ha la fronte bagnata di sudore. Gli occhi stanchi, infossati. Tutta la sua persona è come contratta in uno sforzo sovrumano, come se stesse sollevando chili di zavorra. È la sua pena. Quella che lo fa andare a letto triste, la sera e lo fa risvegliare scontento di sé al mattino. Piange e dice: “E' colpa mia se tu stai morendo». Alvaro sta immaginando di parlare con il padre morto, di cancro da tre anni. Di quella morte si sente, responsabile perché, a volte, è arrivato anche a desiderarla. Ora, come in un sogno, sta riparlando con il padre che non c'è: confessa la sua colpa, spiega. Tira fuori il magone che gli sta chiudendo la gola, come in una morsa. Intorno, ci sono altre persone, che in uno scambio ed in un alternarsi continuo di ruoli, lo aiutano ad esternare il suo dramma.
Questo è solo un frammento di un programma singolare che vedremo su Raitre, il prossimo autunno. Questo ed altro, naturalmente: storie d'amore, di guerra e d'altri tempi. Storie di viaggi e di donne, d'infanzia, di fantasmi e di famiglie. Insomma, storie di vita vissuta.
“Da storia nasce storia” infatti, non è una rubrica di favole serali per bambini insonni. Non è neanche la solita trasmissione del genere intimo-confidenziale, per telespettatori un po' impiccioni e predisposti al pettegolezzo. E' invece, la trasposizione televisiva delle esperienze più significative che verranno vissute all'interno di cinque laboratori di psicodramma organizzati dal Centro Studi del Teatro Stabile di Torino. I laboratori di psicodramma - la terapia inventata negli Anni Venti a Vienna da J. L. Moreno basata non solo sul dialogo a due, ma anche sullo sguardo ed azione spontanee di un gruppo - sono previsti per i quattro fine settimana di maggio e sono aperti a chiunque abbia voglia di rappresentare la propria storia di vita in un'esperienza di gruppo. Sono esclusi però, casi patologici, che richiederebbero una terapia lunga ed avrebbero un impatto emotivo troppo forte sul pubblico.
L'idea è nata nell'estate del '90, quando più di settanta giovani, provenienti da varie paesi d'Europa, si incontrarono nella comunità terapeutica del Centro torinese di solidarietà di Superga. Per sei giorni diedero vita ad un lavoro sui rapporti tra televisione e psicodramma. Parteciparono all'iniziativa, allora, anche tre famosi attori: Milena Vukotic, Alessandro Haber e Rosalia Maggio. Tutto ciò è diventato lo spunto per un' ulteriore esperienza da portare, però, questa volta, davanti al grande pubblico della televisione.
Per l'ideatore del programma -Ottavio Rosati psicologo analista, allievo di Aldo Carotenuto e Mario Trevi, membro del Centro Italiano di Psicologia Analitica e presidente dell’ Associazione per le Ricerche sullo Psicodramma- non c'è rischio di coinvolgimenti emotivamente insostenibili da parte dei telespettatori. "Assistiamo tutti i giorni a scene di guerra, morte e sangue - dice Rosati - anche mentre siamo a cena. Non vedo, quindi, il pericolo di rimanere soffocati da un dramma personale. Lo psicodramma, del resto, è un incontro che prevede un percorso che conduce alla catarsi, alla liberazione. Un processo salutare di cui entra a far parte anche lo spettatore."
Cristina Caccia, SUL PALCOSCENICO RECITA LA PSICHE
LA STAMPA, 28 aprile 1990 (Clicca qui per l'archivio de LA STAMPA)
Un laboratorio teatrale per gli educatori
Sul palcoscenico recita la psiche. Giocare il Sogno, Filmare il Gioco è il titolo del laboratorio che il Centro Studi del Teatro Stabile propone per il 4, 5, 6 maggio e poi per l'I, 2 e 3 giugno prossimi. Partecipano al progetto Regione, Comune e Festival Internazionale Cinema Giovani.
Nel centenario della nascita di Jacob Levi Moreno, padre dello psicodramma, il Centro Studi riprende la ricérca sul rapporto tra teatro e psicoterapia. Già nel 1987 infatti organizzò al Carignano la versione psicodrammatica di Ciascuno a suo modo di Pirandello, per la regia di Ottavio Rosati. Ancora Rosati dirige quest'anno il laboratorio, sull'uso dell'immagine e della videoregistrazione nello psicodramma e nell'analisi di gruppo. L'iniziativa è rivolta a psicologi e educatori, oltre che a giovani del campo dello spettacolo. Le tecniche psicodrammatiche infatti sono spesso utilizzate nei programmi per il recupero della tossicodipendenza: come al Centro Torinese di Solidarietà di Don Fini (strada Funicolare 47, Superga), dove si svolge il laboratorio.
I partecipanti faranno rappresentare in scena da un gruppo di attori, tra cui Alessandro Haber, i drammi dei loro sogni. Il lavoro sarà ripreso da una troupe televisiva, rivisto e discusso. I filmati verranno poi utilizzati in una trasmissione scientifica curata dallo stesso Rosati. La terapia psicodrammatica rappresentò una svolta rivoluzionaria nella storia della psicanalisi. Ribalta infatti la regola freudiana del limitare la comunicazione: la comunicazione è enfatizzata e trasferita dal lettino al palcoscenico. Informazioni al 830.702.
I. Car, GIOCARE IL SOGNO FILMARE IL GIOCO
LA STAMPA, Venerdì 4 Maggio 1990 (Clicca qui per l'archivio de LA STAMPA)
Due laboratori del Centro Studi dello Stabile - L'iniziativa da oggi in ricordo di Jacob Levi Moreno
TORINO. Il buio è una condizione necessaria alla confessione, per questo il set dovrà avere delle luci particolari, molto basse, per non frenare, intimidire il linguaggio segreto che viene dal corpo. Sotto quei riflettori da troupe leggera per 6 giorni sarà attuata una scommessa, un esperimento di psicodramma. "Giocare il Sogno, Filmare il Gioco" questo è il titolo dei due laboratori di psicoterapia attraverso il teatro e il cinema, organizzati dal Centro studi del Teatro Stabile in collaborazione con l'Assessorato alia Gioventù, la Regione e il Centro Torinese di Solidarietà per il recupero e la prevenzione della tossicodipendenza. L'idea è di Ottavio Rosati che darà il via da oggi al 6 maggio a questa esperienza mai proposta in Italia. I lavori poi riprenderanno l'uno, il due e il tre giugno nella scuola di Formazione del Centro Torinese di Solidarietà. I giovani potranno affidare i loro sogni ad attori professionisti, fra questi anche Alessandro Haber che per primo ha aderito all'iniziativa.
Sarà cosi celebrato il centenario della nascita di Jacob Levi Moreno, il padre dello psicodramma. "Il corpo parla da solo. Ognuno di noi comunica con il movimento senza volerlo, e a volte dice molto di più delle parole," afferma Ottavio Rosati. "Per questo filmeremo i due lavori. Come sosteneva Moreno, il cinema terapeutico non produce avventure di massa da proporre a milioni di uomini rassegnati in poltrona. E' invece un'orma artigianale e preziosa di cinema indipendente, un'esperienza basata sull'incontro e sul fatto che lo spettatore può diventare attore e viceversa. Vogliamo restare lontani da quelle persone che non avendo avventure nella vita cercano un analgesico, una pillola assistendo alle grandi storie degli altri. E' una proposta che lotta contro la solitudine e il disagio di ognuno. Non sarà mai cinema d'autore e neanche prodotto industriale. Il pubblico non assiste passivamente alla proiezione, ma può interromperla, fare correzioni, introdurre nuovi elementi. Un modo di raccontarsi che non assomiglia neanche alla situazione narrata in La rosa purpurea del Cairo di Woody Alien, perché l'incontro fra i personaggi non è dentro allo schermo ma davanti".
Questo particolare uso del cinema richiede nuove forme di selezioni e di montaggio, sia per la duttilità delle immagini sia per la grande quantità di materiale girato. Il video diventa così indispensabile per oltrepassare gli ostacoli produttivi delle riprese in celluloide. La televisione non sarà più la «Grande Seduttrice», ma un mezzo per esprimere spontaneità.
La partecipazione al seminario non obbliga a quote d'iscrizione, è aperta a venti psicologi e operatori piemontesi e ad altri dieci ragazzi che lavorano nel campo dello spettacolo e della comunicazione provenienti da tutta Italia. Il materiale video sarà poi utilizzato didatticamente anche nelle comunità di recupero, perché, come dice Rosati: "Il gruppo vince dove fallirebbe la più grande delle analisi individuali".
Oreste del Buono, QUANDO PAPA GIOVANNI MIRACOLO' ROSALIA MAGGIO
LA STAMPA, Sabato 16 Marzo 1996. (Clicca qui per l'archivo de LA STAMPA)
ROSALIA Maggio non è nata a Napoli come gli altri Maggio, ma a Palermo, dato che la compagnia "Maggio - Coruzzolo - Ciaramella" da molti anni aveva preso l'abitudine di trasferirsi in Sicilia per trascorrervi almeno quattro mesi in un giro che partiva da Palermo e vi tornava. Il nome Rosalia è, dunque, un omaggio alla Santa protettrice del capoluogo siciliano. Non è l'ultima Maggio, comunque. Dopo di lei, risulta infatti nata nel 1926 Margherita, che, però è morta e così Rosalia è restata la più giovane, la guagliona per così dire dei Maggio. È stata lei, quindi, quella più prodiga di informazioni non solo su se stessa, ribelle quasi come il fratello Dante, ma anche su tutta la sua straordinaria famiglia. E non si è limitata alle interviste ai giornali tanto spesso infedeli, ma parlando ai microfoni della radio su sollecitazione del regista-psicologo di tendenza junghiana Ottavio Rosati che con lei, Milena Vukotic e Alessandro Haber ha realizzato per la Rai di Torino la videoserie Giocare il sogno, Filmare il sogno basata sulla messa in scena di sogni interpretati da attori.
‹Una volta partiti i motori delle telecamere, nello studio attrezzato dalla Rai in un locale della collina di Superga un giorno di un freddissimo maggio torinese (1991)› scrive Nino Nasiello nel suo bel libro Tempo di Maggio (Tullio Pironti editore, 1994), ‹che le "ruselle", in questo mese da sempre in fiore a Napoli, come cantate da cento poeti e altrettante canzoni ("Rose, che belli rrose e torna maggio..."), potevi soltanto sognarle, Rosalia "entrò nella parte" per il suo psicodramma. A Rosalia importava poco, per la verità, l'aspetto scientifico del lavoro al quale era stata chiamata da Rosati, anzi da "Ottavio" come, con affettuosità napoletanamente azzeccosa sin dai primi contatti per il workshop Giocare il sogno, Filmare il Gioco, chiama abitualmente il regista-psicologo. Si è solennemente impegnata ad essere sincera, ha finanche giurato in tal senso "sulle anime benedette di papà e di mamma"', sottolineando che "i Maggio sono gente d'onore", portando simultaneamente una mano sul petto.
Come in un finale di sceneggiata. Rosalia parla e sembra che tiri fuori la storia del "cascione" personale. Che poi è l'ideale grande baule dal quale gli eredi della Commedia dell'Arte estraevano i "soggetti" comici o drammatici a seconda dell'esigenza delle "piazze", trasformando deboli canovacci in spettacoli completi. Con tanto di protagonista, antagonista, madre nobile, donna di spolvero, amorosa, mamo, generico primario...›. Ed ecco Rosalia tirar fuori dal ‹cascione› una storia di miseria. (Errata Corrige: In realtà Rosalia Maggio narra la storia di papa Giovanni sul set di “Da Storia Nasce Storia” - N.d.r.) Miseria nera ai tempi in cui gli studenti facevano il Sessantotto e lei era in pensiero per il sostentamento delle figlie Patti e Doddy, una storia con al primo capitolo l'osservazione dei traffici a pochi passi da casa sua di due prostitute imbellettate e bellocce, in attesa fiduciosa e fruttuosa di clienti. Ogni macchina che si ferma, una delle due sale e s'allontana. Un movimento continuo. E, a un certo punto, Rosalia è presa da un'ispirazione, dice alla amica vicina di casa con cui si sta sfogando: ‹Mò me vesto, m'acconcio, mi trucco e provo anch'io a far come quelle all'angolo di via Marconi›. L'amica pensa che Rosalia scherzi, ma poi la vede tirar fuori dall'armadio un abitino tutto avvitato che usava spesso in scena, quando doveva recitare da donna provocante. Lo infila, dopo essersi tolta la sottoveste, e passa al trucco senza prestare ascolto alle proteste dell'amica che si affannava a cercar di trattenerla. Finisce di truccarsi. Un trucco molto pesante. Ora non le manca che avviarsi alla porta. Il televisore, però, è restato acceso. ‹Fu in quel momento che avvenne il miracolo, sì, il miracolo›. Sul teleschermo appare, dilatandosi come per traboccare, il faccione di Papa Giovanni. E Papa Giovanni la guarda. Quello sguardo dal video blocca Rosalia. È un pasticcio: parla la televisione, parla l'amica. Fa rumore anche il telefono che squilla alla disperata. Rosalia risponde, e sente con un tuffo al cuore all'altra parte del filo la voce del suo agente Ciccio Perti che ha da comunicarle una notizia fantastica. Deve passarla a prendere d'urgenza per accompagnarla alla De Laurentiis a firmare per una sua partecipazione al film Mènage all'italiana. Le vogliono affidare la parte della madre di Romina Power, ma, prima, vogliono vederla. Dopo tutto, cosa c'entra lei, napoletana verace, con quel film?... Menage all'italiana, 1965, di Franco Indovina, interpreti Ugo Tognazzi, Anna Moffo, Dalida, Monica Silwes, Maria Grazia Buccella, Romina Power, Paola Borboni... Il Mereghetti nel senso di Dizionario dei Film 1996 (Baldini & Castoldi, 1995) si ferma qui nell'elencare i nomi degli interpreti. Al placido Alfredo (Tognazzi) piacciono le donne ma non il matrimonio: con falsi documenti da scapolo ne sposa una decina. Inseguito dalle mogli e dalla polizia trova un'ultima scappatoia. ‹Storiella di consumo ispirata a un fatto di cronaca: fiacco› recita la sinossi. In realtà ad Alfredo i matrimoni piacciono troppo e proprio per questo rischia. ‹Un film movimentato, ma senza denti...› lo definisce sibillinamente Giovanni Grazzini nella recensione sul Corrierone. Ma per Rosalia Maggio è davvero il ricordo di un miracolo. ‹Senza cambiare vestito misi uno scialle sulle spalle e scesi in strada. Perti arrivò di lì a poco, andammo alla De Laurentiis, firmai il contratto e mi diedero anche un anticipo di duecentomila lire tutte in una botta. Mi sentii venir meno quando il cassiere della produzione contò le banconote per passarmele. Pregai Perti, che mi riaccompagnava a casa, di fermarsi davanti a un pizzicagnolo e lo salutai: “Ciccio, mò tengo che ffà”.
Entrai nel negozio e feci una spesa grande, come chi può usa fare soprattutto alla vigilia di Natale, che è una festa per tutti, anche per i puverielle. Spesi trentamila lire e mi portai a casa un sacco di ben di Dio... Ma, prima di tornare a casa, entrai in una chiesa e, piangendo, ringraziai Papa Giovanni che mi aveva salvato due volte.
“Da allora sono una sua devotissima, sono andata anche a pregare a Sotto il Monte, al suo paese...”. La confessione di Rosalia incrementa prodigiosamente gli ascolti di Raitre di domenica 10 novembre 1991 in seconda serata, pure essendo opposta alla fortunatissima La Domenica Sportiva in onda su Raiuno. Un grande successo, ma, come sempre accade con i grandi successi, anche il fiorire di dubbi accanto all'ammirazione. Dubbi, certo, non sulla recitazione appassionata di Rosalia Maggio, ma sulla sua sincerità, ovvero sulla veridicità del non fatto confessato. Del resto, qualche dubbio aveva sfiorato anche Ottavio Rosati, nel corso della realizzazione dello psicodramma.
Così aveva provocato l'eterna guagliona, rinfacciandole il miracolo drammaturgico contemplato in Filumena Marturano, per cui Titina De Filippo nei panni dell'ex prostituta risulta salvata e allontanata dalla tentazione dell'aborto, grazie alla Madonna delle Rose, venerata nell'edicola votiva di un vicolo di Napoli. La risposta di Rosalia all'amico era stata, però, veemente: “Ma che me fotte a me di Filumena Marturano? Filumena sarà stata pure lei una madre, forse, ma così... Penso che tutte le mamme, esclusa qualcuna, fanno questo per i figli. Si prostituiscono pure per non far mancare niente ai figli. Sì, sì. Ho sentito in televisione che una mamma andava a comprare la droga per il figlio. Eh, più sacrificio di questo?...”.
Quando affida ai microfoni questa confessione, Rosalia ha settant'anni, ma si sente guagliona come sempre. ‹Mia sorella ha avuto una grande sventura, quella di essere bella. È una vera fregatura, perché in vecchiaia non ti rassegni. Io ho lasciato il teatro al momento giusto. Lei vorrebbe insistere e fa male...› sentenzia l'ultraottantenne Pupella Maggio nel suo affascinante libro Poca luce in tanto spazio (Grassetti editore, 1995). Un singolare libro costruito dalla grande attrice, selezionando tra le interviste rilasciate in varie occasioni le affermazioni che a lei sono apparse più significative. Racconta Carlo Grassetti, esprimendo ancora il suo stupore: ‹Era una tranquilla serata primaverile atta a riordinare appunti ed idee per un editore come me che deve bilanciarsi per far collimare risorse economiche con aspirazioni. Una telefonata mi distolse dai pensieri.
Era un amico che con tono entusiasta mi comunicava: "Pupella Maggio ha intenzione di far pubblicare un libro sulla sua vita e potrebbe affidarlo a te, vedrai che si farà viva...". La prima lezione ricevuta dall'editore designato risulta essere stata quella relativa al farsi un buon caffè. La lezione numero 1: "E' fondamentale che prima della bollitura venga messo un cucchiaino di caffè anche nell'acqua della caffettiera." Poca luce in tanto spazio è un testo prezioso per chi voglia approfondire le cognizioni sulla tribù dei Maggio. A esempio: "Mio padre si chiamava Domenico e da ragazzo, per guadagnare qualche soldo, si mise a fare il barbiere. Ora, siccome a quei tempi i barbieri suonavano tutti il mandolino, anche lui si ingegnò a pizzicare questo bellissimo strumento. Ci riuscì così bene che cominciarono a chiamarlo a fare le serenate... Papà, era proprio nù bello guaglione. E, siccome teneva pure 'na buona voce, succedeva a volte che quando andava a fare una serenata a una ragazza, questa dimenticava lo spasimante che aveva ordinato l'omaggio e si innamorava di lui, il mandolinista cantante... Capitò che un giorno si accampò a Napoli un circo equestre nel quale lavoravano cinque sorelle, una più sfiziosa dell'altra. Una delle cinque, Antonietta Gravante, aveva il ruolo di 'eccentrica' ed era brava nel fare tante cose: sapeva ballare, sapeva dire le poesie e cantava pure le canzonette di successo, così papà, quando la vide e la sentì, se ne innamorò. Successe perciò che lasciò il suo mestiere di barbiere, ed entrò a far parte del circo: aveva sedici anni... Papà e mamma si sposarono che lui aveva diciotto anni e lei diciassette. Insieme, perché anche nel lavoro volevano rimanere uniti, formarono un duetto che andò a raccogliere successi a Parigi, dove si esibivano nientemeno che alle Folies Bergeres..."
"Andavano a Parigi a fare i duetti e intanto continuavano a far figli. Mamma li faceva, li allattava e poi li dava a nonna. Lavoravamo tutti, noi ragazzini in una compagnia che faceva sceneggiate il pomeriggio, poi venne la legge di Mussolini che impediva ai minori di lavorare. In un certo qual modo era anche una famiglia severa: mio fratello Enzo fumò la prima sigaretta davanti a mamma a trent'anni. In teatro, da grandi, ci arrivammo in sei: Enzo, Icadio, Rosalia, Margherita ed io...". Si tratta di un pesce in un libro così curato, di un lapsus stranamente sfuggito a tutti, o di un riaffiorare di un familiare antagonismo tenace. Ma come mai manca Dante? Per un motivo o per un altro, i Maggio non recitano quasi mai tutti insieme. C'è sempre qualcuno che resta fuori. Soprattutto, Dante e Pupella. A volte nelle sue interviste Pupella ammette che i Maggio sono stati una famiglia terribile. "Sì, questo sì, più dei De Filippo. Perché eravamo così diversi. Beniamino da giovane era molto bello. Dante era stupendo. Rosalia una meraviglia. Ma con la loro semplicità, i miei fratelli pensavano che la bellezza non sarebbe passata mai. Io, invece, avendo questo corpicino che sembra un oggetto d'affezione, ho cercato sempre di curare l'interno perché l'interno è molto importante e perciò l'umiltà, la fiducia negli altri mi fanno assai bene. Chissà cosa avremmo potuto fare stando in scena tutti insieme. L'esperienza del botteghino e della critica legata alle infinite repliche messe in scena da Calenda Na sera 'e Maggio, è stata stupenda. E fu bello anche prima, quando andammo per una serata speciale al Festival del teatro di piazza a Montecelio di Guidonia. Così uguali, così diversi: ci hanno definito anche così, una definizione azzeccata...".
Il 1982 è l'anno in cui il resto d'Italia scopre i Maggio. Meglio tardi che mai. Ma quanta distrazione, quanta negligenza, quanta ingratitudine per i veri nostri benefattori. In Tempo di Maggio Nino Masiello racconta bene antefatti e fatti e fa parlare Beniamino. Un giorno Beniamino Maggio viene interpellato telefonicamente, non capisce bene, ma gli pare che chiedano la sua disponibilità a partecipare a una specie di Festival. "Avevo capito bene, però, che gli organizzatori si erano assicurati la presenza di Pupella, l'attrice di Eduardo, e volevano costituire un trio di famiglia, chiamando me e Rosalia. L'ultima volta che avevamo recitato insieme era stato nel... non mi ricordo, ma non perché abbia perduto la memoria all'improvviso, è solo che sono passati proprio tanti, tanti anni... Alla proposta non risposi subito, volevo parlarne con Rosalia. Feste di piazza non ne facevo più da tempo, da quando mi ero stancato di essere sballottato da un paese all'altro..." Rosalia si mise nelle orecchie: 'Beniamì, è una bella occasione, vedrai che pubblico troveremo, vedrai quanti intellettuali. E poi, figurati, ha detto sì Pupella... Decisi di partecipare... Me ne fregai di quanto mi aveva detto Dante quando lo avevo informato di che cosa con Rosalia andavamo a fare. Con Dante, come con Rosalia e con le buonanime di Enzo e Margherita, tranne qualche momento di freddezza, che può capitare nelle migliori famiglie, avevo sempre mantenuto un ottimo rapporto: io sapevo a isso e isso sapeva a me, ci rispettavamo senza approfondire. Dante, però, mi aveva messo in guardia: 'O masto d'a famiglia sì tu, fa attenzione al manifesto e al programma, stabilisci bene quello che devi fare, attenzione che poi la vedetta diventa Pupella, se non metti le cose in chiaro prima...’. Dante non aveva una grande considerazione per Beniamino. Beniamino, invece, apprezzava molto Dante, ma poi faceva le cose a modo suo: “Dante è sempre stato il più scetato, il più sveglio dei Maggio anche in fatto di organizzazione, nessuno può dire di averlo fatto fesso almeno una volta nella vita", dice Beniamino. "Ma io ragionai filosoficamente: esami a me non può farli neppure il Padreterno, il quale ha tante cose cui pensare che non può preoccuparsi pure di me. Andiamo in questa piazza, a questo Festival, e vediamo chi sa difendersi meglio...".
E va con le sorelle incontro al più straordinario dei successi. Settantacinque anni, Beniamino; settantadue, Pupella; sessantadue, Rosalia. È domenica 31 luglio 1982.